Lo splendore del Quattrocento a Roma
Data: Sabato, 03 maggio 2008 ore 15:54:40 CEST
Argomento: Comunicati


Al Museo del Corso una rassegna di 170 opere, che vuole fare luce sul rilancio della città papale avvenuto nei secoli XV e XVI ad opera di artisti quali Mantegna, Piero della Francesca, Filippo Lippi, Donatello, Pinturicchio e Perugino. Nel nostro immaginario l'arte a Roma si identifica soprattutto con due momenti: il Cinquecento, che vede protagonisti Raffaello e Michelangelo, e la grande stagione barocca dominata dal genio di Bernini.

 
 
Ma com'era la città prima di allora? E qual era il suo ruolo nel campo delle arti? Una visita alla mostra «Il Quattrocento a Roma», che si inaugura domani e raccoglie, per la cura di Maria Grazia Bernardini, Marco Bussagli e Claudio Strinati, circa 170 opere tra dipinti, sculture, plastici, ceramiche, arredi, medaglie, disegni, stampe (catalogo Skira), chiarisce come l'esplosione avvenuta nei secoli successivi abbia avuto il suo processo di incubazione e di crescita neanche tanto sotterranea, proprio negli anni in cui Firenze, Mantova, Ferrara e le grandi corti del Nord della penisola davano il meglio di loro. Questo perché da un certo momento in poi la capitale dello Stato Pontificio diventa un centro in cui si ritrovano i migliori artisti del tempo. Piero della Francesca, Masolino, Masaccio, Gentile da Fabriano, Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Perugino, Botticelli, Luca Signorelli, Pinturicchio sono solo alcuni tra i pittori che vengono a decorare le cappelle gentilizie all'interno delle chiese e a soddisfare le commissioni papali. La Cappella Sistina, luogo simbolo dell'Urbe dove Michelangelo lascerà le sue fatiche pittoriche più imponenti, è nel Quattrocento che vede la luce. Grazie a Sisto IV, una specie di papa-imperatore.

Il punto è questo: Roma rinasce su Roma. Attraverso l'antichità il papato capisce le potenzialità della città. La svolta si ha nel 1417, con Martino V Colonna. Da allora il papa indossa i panni di Cesare creando un collegamento ideale tra la città imperiale e quella pontificia. E così tutto cambia: si gareggia in sfarzo e bellezza con la grandezza del passato, a cui si aggiunge la suggestione del sacro. E la miscela funziona. Come dimostra questa esposizione che ci conduce alla scoperta di una città quasi sconosciuta (è paradossale, ma è la prima volta che si tenta una ricognizione su questo periodo romano), dividendo l'itinerario per temi: l'urbanistica (con una carta digitale interattiva costruita su quella miniata tra il 1411 e il 1416 dai fratelli Limbourg), i papi, la vita civile e religiosa, lo scrigno dell'antico, la rinascita delle arti. È in quest'ultima sezione che si incontrano capolavori come la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, esempio straordinario di armonia tra atmosfera intima e quasi quotidiana e purezza assoluta delle forme. Oppure la piccola Madonna delle cave di Andrea Mantegna. Se queste due raffigurazioni di Maria la interpretano quasi come se fosse un elemento architettonico che abbraccia e protegge come la Chiesa, Filippino Lippi la inquadra invece come figura che elergisce dolcezza e grazia, una madre bambina dallo sguardo malinconico. Gli arriva dal suo maestro Botticelli, ma anche dalle figure femminile di suo padre, Filippo Lippi. Come questa splendida Vergine annunciata che è tutta una citazione dall'antico.

Filippo non è tra gli artisti che vengono a Roma, ma invia qui la sua Madonna in trono con quel bambino così tornito che rivela il desiderio, tutto fiorentino, di costruire l'immagine attraverso il volume. Gli esempi e i pittori che arrivano da fuori scuotono il clima cittadino in quegli anni un po' attardato su posizioni come quella, ancora goticheggiante, di Leonardo da Roma. Ma quando ti trovi davanti Perugino hai già presente il Raffaello che verrà, la Roma del pieno Rinascimento, l'epopea di Giulio II, quello delle stanze vaticane, che, non a caso, era un discendente di Sisto IV. Una parte fondamentale nell'ambito delle arti a Roma nel Quattrocento è quella svolta da Antoniazzo Romano che si rivela interprete di un gusto innovativo, attento a non interrompere però il filo con certa eleganza tipica del mondo cortese. A parte la pittura e la scultura, la mostra offre la possibilità di un'immersione nella vita civile e religiosa attraverso gli oggetti: ecco reliquari, calici, croci, ma anche piatti, mobili, strumenti musicali e addirittura un salvadanaio. Ci sono poi i plastici di San Pietro prima dell'intervento michelangiolesco e una tela con piazza Navona in cui non sono anora arrivati a gareggiare Bernini e Borromini. Da non perdere assolutamente sono i due dipinti di Bartolomeo di Giovanni (restaurati, come molti altri oggetti per l'occasione) con i turisti che passeggiano sul Pantheon durante il Ratto delle Sabine che sta avvenendo in un'arena. Una vera invenzione teatrale.(da La Stampa) M.Allo
Andrea Mantegna è nato a Isola di Carturo (Padova) nel 1431 ed è morto a Mantova nel 1506. Fu allievo a Padova dello Squarcione e si formò in un ambiente culturale molto fecondo per l'apporto degli artisti toscani che vi erano allora attivi: Paolo Uccello, Andrea Castagno e Donatello.
Fino al 1460 quando Mantegna si trasferì a Mantova come pittore di corte per Ludovico III Gonzaga, realizzò capolavori come il Polittico di S. Luca la Pala di S.Zeno e l'Orazione nell'orto.
Nel lungo periodo in cui Andrea Mantegna rimase a Mantova (la foto è la casa di Andrea Mantegna) decorò la cappella del Castello di S.Giorgio di cui oggi rimane solo il trittico con l'Adorazione dei Magi, la Circoncisione (Firenze, Uffizi) e la Morte della Vergine (Madrid, Prado). Questi capolavori preannunciano la realizzazione della decorazione della Camera degli Sposi nel Castello di San Giorgio.
L'affresco completo delle pareti e della volta raffigura un padiglione aperto su aerosi paesaggi, in cui si articolano le due scene della Famiglia di Ludovico Gonzaga radunata per una cerimonia e dell'Incontro del marchese Ludovico col figlio Francesco cardinale e del suo seguito in un tono altissimo di serena ed epica classicità.
Negli ultimi anni Mantegna cercò di indirizzarsi verso una ripresa degli scorci audaci e delle forme violentamente definite dal disegno; vedi il Cristo morto (Milano, Brera).
Alla tarda attività dell'artista appartengono anche il Parnaso e il Trionfo della Virtù nello studiolo di Isabella d'Este e ora al Louvre. Mantegna realizzò molte opere come Sansone e Dalila, Il trionfo di Scipione, Giuditta con la testa di Oloferne, ecc... attraverso le quali esercitò un profondo influsso sulla pittura rinascimentale.


Pietro Vannucci, detto il Perugino nasce a Castel della Pieve, l'attuale Città della Pieve, tra il 1442 e il 1550; la data non è certa perché i documenti che certificano l'anno di nascita sono contradditori.

Il padre, Ser Cristoforo di Pietro Vannucci, un personaggio importante in quanto priore della città e massima autorità delegata al mantenimento della pace, e la madre, Lucia di Giacomo di Nunzio Betti, misero al mondo una numerosa prole: ben otto figli di cui Pietro era il maggiore.

Castel della Pieve, all'epoca, era considerata un distretto di Perugia ed essendo, Pietro Vannucci, vissuto molto tempo nella sua
cittadina fu considerato da tutti perugino, donde il suo nome.
Formatosi a due grandi scuole, quella indiretta di Piero della Francesca ad Arezzo - che aveva lasciato un segno tangibile di sé nell'ambiente umbro-marchigiano - e quella fiorentina di Andrea del Verrocchio, di cui il Perugino fu allievo nel periodo 1470-72, l'opera del Perugino rappresenta uno dei punti più alti di quel tentativo di sintesi dei maggiori risultati raggiunti dai maestri della prima generazione rinascimentale.

Furono sue caratteristiche la grazia, la soavità e la purezza del disegno, il fascino delle teste di giovani e di donne, l'armonia degli atteggiamenti e dei movimenti, lo splendore del colore, l'eleganza delle architetture.

Fosse indotto all'ipocrisia per avere una vita ricca, comoda e facile? Se la risposta è affermativa è semplice dedurre che ci riuscì molto bene perché Vasari scrisse: ". per denari arebbe fatto ogni male contratto ." e Pietro Vannucci divenne benestante.

I dipinti giovanili (le Madonne dei musei di Parigi, Londra, Berlino; alcuni dei pannelli con Storie di San Bernardino , Perugia, Pinacoteca, ecc..) rivelano l'assimilazione delle luminose, nitide atmosfere di Piero della Francesca in un gusto più descrittivo e ornato (Presentazione di Gesù al Tempio , Roma, Collezione Morandotti), sul quale agiscono anche gli insegnamenti del Verrocchio sopratutto per quanto riguarda la dimensione che diventa più monumentale e il trattamento della luce e della materia che diventano più raffinate e sensibili.

La fama del Perugino si accrebbe notevolmente dopo gli importanti incarichi ricevuti da Sisto IV alla corte papale a Roma, dove fu presente dal 1478 per affrescare la cappella della Concezione in San Pietro; dei dipinti rimangono solo alcuni frammenti.

Nel 1481-82 lavora alla decorazione ad affresco della Cappella Sistina, accanto al Botticelli, al Ghirlandaio, al Rosselli (Storie di Mosè , Storie di Cristo, tra cui la celebre Consegna delle chiavi a Pietro, che ebbe valore propositivo non solo per il giovane Raffaello ma per una parte notevole della cultura contemporanea). In quegli anni Perugino è un artista lanciato e la sua fama è in costante crescita non solo in Italia ma anche all'estero, in particolare in Francia e in Spagna.

Le richieste delle sue opere aumentano talmente da non riuscire a rispettare gli impegni assunti e le scadenze prestabilite, deludendo i committenti che molto spesso gli revocano l'incarico riservandolo ad altri artisti.

La fama e la ricchezza fanno molto spesso riaffiorare l'indole rissosa e rozza dell'artista tanto che in una notte d'inverno del 1486, a Firenze, insieme ad un balordo, suo collega pittore di Perugia, un certo Aulista d'Angelo picchiano un uomo. Entrambi saranno condannati, Aulista, verrà frustato e imprigionato; Perugino, reo confesso, artista di alta fama, ma soprattutto protetto dalla potente famiglia dei Della Rovere se la caverà soltanto con una multa e senza che la condanna sminuisca, in qualche modo, il giro delle sue commesse.

Presso Assisi dipinge nella cappella della Porziuncola in Santa Maria degli Angeli la Crocifissione; a Firenze realizza tre tavole per i frati di San Giusto alle mura; per le monache di Foligno realizza Il Cenacolo nell'ex convento di Sant'Onofrio e per la Chiesa di Santa Maria del Cestello la Visione di San Bernardo (ora a Monaco, Alte Pinakothek).

Nel 1490 entra a far parte dell'équipe di Lorenzo il Magnifico lavorando accanto a Botticelli, Ghirlandaio e Filippino Lippi, nella Villa dello Spedaletto a Volterra; artisti, questi, che aveva già incontrato a Roma, quando con loro aveva collaborato ai dipinti della Cappella Sistina.

L'ambiente culturale mediceo rappresenta un polo intellettuale di altissimo rango, vi partecipano i più alti nomi della cultura, della letteratura, della lirica, . che insieme al Magnifico imprimono un gusto raffinato, umanistico, sofisticato a tutto ciò che ruota in quell'ambiente.

Il Perugino si adegua subito e con Apollo e Dafni evade dal consueto repertorio religioso per dedicarsi alla perfetta inquadratura prospettica e alla evocazione romantica del tenero paesaggio umbro, collocando, con calibrata armonia, le figure assorte e contemplative, atteggiate secondo ritmi di grazia ed eleganza.

Nel 1493 Perugino sposa Chiara la bellissima e giovanissima figlia di Luca Fancelli, il famoso architetto fiorentino di Palazzo Pitti.

La dote della moglie, rigorosamente depositata presso il Monte delle Graticole a tassi di interesse di molto vantaggiosi, la aumentata produzione di dipinti che Perugino diffonderà in tutta l'Italia centrale, prima, e settentrionale, poi, lo arricchiscono sia finanziariamente e sia stilisticamente fino a raggiungere una purezza di forme e colori precorrente il classicismo del Cinquecento, quello di Raffaello che di Perugino fu l'allievo più importante.

La vasta attività dell'artista nel periodo a cavallo del secolo, aiutato anche dalla sua scuola che annoverava tra gli allievi, oltre a Raffaello, anche Pinturicchio, Ghiberti, ecc., presenta i massimi risultati della sua arte poetica ( Apollo e Maria , Parigi, Louvre; Visione di San Bernardo , Monaco, Alte Piakothek; Affreschi del Collegio del Cambio a Perugina, 1497-1500, ecc.).

Anche la ritrattistica con figura a mezzo busto su uno sfondo di paesaggio sfumato o di profilo su sfondo scuro dimostrano le capacità altissime dell'artista di una pittura fine e meticolosa da toccare la perfezione soprattutto nei dipinti di piccolo formato.

Da questo momento inizia il periodo della stanchezza, Perugino, si accorge che la sua fama sta declinando, altri nomi si affacciano alla ribalta dell'arte: Fra' Bartolomeo e Andrea del Sarto, Leonardo che propongono opere nuove, anche i suoi allievi come il Pinturicchio, Andrea d'Assisi detto l'Ingegno, Eusebio di San Giorgio e, soprattutto, Raffaello.

Nel 1508, il Papa Giulio II, protettore da sempre di Perugino, nel tentativo di reinserire l'ormai anziano pittore nella decorazione di alcune stanze del palazzo papale, lo convoca a Roma per inserirlo nell'équipe formata da Luca Signorelli, Baldassarre Peruzzi, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, Bartolomeo Suardi detto il Bramantino e altri ma il progetto svanisce per mancanza di un accordo generale. Il Papa taglia corto: chiude i rapporti con tutti e commissiona il lavoro a Raffaello.

Episodi analoghi, Perugino, ne subirà ancora; Firenze ormai è diventata estranea, a volte anche ostile; vi si reca solo per riscuotere gli interessi sulla dote della moglie; la sua vita è limitata a Perugia, dove ricopre cariche pubbliche e, dopo aver chiuso la sua bottega, si dedica alla compravendita immobiliare e alla ricerca di commissioni presso confraternite e parrocchie di campagna per le quali effettua numerose opere che ormai hanno perduto l'estro e l'ambizione figurativa di un tempo.

A Fontignano, un borgo a pochi chilometri da Perugia, nel 1523, viene colpito dalla peste e muore lasciando incompiuti un dipinto dedicato alla Madonna con il Bambino e un grande affresco dedicato al Presepe , entrambi per l'oratorio dell'Annunziata; quest'ultimo, staccato nell'Ottocento, si trova ora al Victoria and Albert Museum di Londra.

Malgrado avesse lasciato nel testamento la sua volontà di essere sepolto nella tomba che aveva acquistato, nel luglio del 1515, per sé e per i suoi famigliari, presso la Chiesa della Santissima Annunziata a Firenze, essendo morto di peste, fu sepolto in tutta fretta in aperta campagna. Solo due anni più tardi la moglie si prodigherà per traslare i resti nella Chiesa di Sant'Agostino a Perugia, ma ciò non avverrà.
Il Beato Angelico è un pittore italiano del primo Rinascimento che ha unito la vita di devoto frate a quella di pittore completo.

È stato chiamato Beato per le sue pitture che erano soggetti religiosi, e per la sua personale straordinaria carica di umanità.

Originariamente chiamato Guido di Pietro, Angelico è nato a Vicchio, Toscana.

Entrato in un convento domenicano in Fiesole nel 1418 è diventato frate dopo il 1425 usando il nome di Fra Giovanni da Fiesole.

Anche se il suo insegnante è sconosciuto, ha cominciato probabilmente la sua carriera come illustratore dei messali e di altri libri religiosi.

Ha cominciato a dipingere pale d’altare ed altri pannelli; fra i suoi primi lavori importanti sono la Madonna delle stelle (1428?-1433, San Marco, Firenze) e di Cristo nella gloria circondato dai Santi e dagli angeli (Galleria Nazionale Londra), che presenta più di 250 figure distinte.

Tra le altre opere di quel periodo sono l’Incoronazione della Vergine (San Marco e Louvre, Parigi) La deposizione e Il giudizio (San Marco).

Il suo stile maturo si vede nella Madonna dei tessitori di tela (1433, San Marco), che caratterizza un bordo con 12 angeli musicanti.

Nel 1436 i Domenicani di Fiesole spostarono il convento a San Marco a Firenze, che era stato recentemente restaurato da Michelozzo.

Angelico, a volte aiutato dagli assistenti, dipingeva molti affreschi per il chiostro, la casa del capitolo e le entrate delle 20 celle dei corridoi superiori.

Le più impressionanti di questi sono “La Crocifissione”, “Cristo pellegrino” e “La Trasfigurazione”.

La sua pala d’altare per il San Marco (1439?) è una delle prime rappresentazioni riconosciute come Conversazione Sacre: “La Madonna fiancheggiata dagli angeli e dai santi che sembrano dividere uno spazio comune”.

Nel 1445 l’Angelico fu stato convocato a Roma dal papa Eugenio IV per dipingere gli affreschi per la Cappella del Sacramento in Vaticano.

Nel 1447, con il suo allievo Benozzo Gozzoli, ha dipinto gli affreschi per la cattedrale in Orvieto.

Le sue ultime opere importanti, affreschi per la cappella del papa Nicola in Vaticano, sono scene dalle vite dei santi Stefano e Lorenzo (1447-1449), probabilmente dipinte dai suoi disegni dagli assistenti.

Dal 1449 al 1452 Angelico divenne priore del suo convento in Fiesole.

È morto nel convento domenicano a Roma il 18 marzo 1455.

Angelico ha unito l'influenza dello stile gotico elegante decorativo di Gentile da Fabriano con lo stile più realistico dei Maestri del rinascimento come il pittore Masaccio e gli scultori Donatello e Ghiberti, tutto di chi hanno lavorato a Firenze.

Angelico era ugualmente informato delle teorie della prospettiva proposte da Leon Battista Alberti.

La rappresentazione di Angelico delle espressioni facciali devote e del suo uso di colore per intensificare l'emozione, è particolarmente efficace.

La sua abilità nella creazione delle figure monumentali, nel rappresentare il movimento e nel suggerimento dello spazio profondo con l'uso della prospettiva lineare, particolarmente negli affreschi romani, lo contrassegna come uno dei più grandi pittori del rinascimento.













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