IL SEME DELLA VIOLENZA
Elliot. Pagine 510. Euro 22,50
Salvatore Lombino
È un libro che mette in scena, il fenomemo del cosiddetto «bullismo», come viene chiamato oggi, ma soprattutto il tema della violenza nel mondo dei ragazzini e i difficili rapporti con la realtà degli adulti.
H a più di cinquant’anni questo romanzo, pubblicato per la prima volta nel 1954 e subito diventato un best-seller, grazie anche il film di Richard Brooks, uscito l’anno successivo e interpretato da un giovanissimo Sidney Poitier e da Glenn Ford, vincitore di quattro premi Oscar. Si tratta di Il seme della violenza: riletto oggi, nella nuova edizione italiana, finalmente integrale, di Michele Bruni che ripristina i tagli effettuati per le edizioni italiane precedenti, non sembra sentire i segni del tempo che è passato, tanto attuale è il tema che affronta e tanto stringenti sono le riflessioni sul compito educativo dell’insegnante.
(Vd. in La Stampa Un "Tribunale scolastico"contro il bullismo ) così si esprime Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio:
«L’istituzione del Tribunale Scolastico potrebbe rappresentare un tentativo serio di risoluzione rispetto ad un fenomeno da considerarsi emergenziale e fin troppo sottovalutato, teso a conferire all’istituzione scuola una buona dose di quell’autorevolezza per svariate ragioni venuta meno a causa, soprattutto, di un perdonismo dilagante e di inopportune omissioni».
È particolarmente significativa così questa riproposta perché ci mette di fronte ad un caso letterario che è molto simile a quello di Georges Simenon, per anni considerato solo come l’autore delle inchieste del commissario Maigret. Chi è Evan Hunter? Uno dei tanti pseudonimi usati per firmare i suoi libri (è stato uno scrittore assai prolifico) da Salvatore Lombino, di origine italo- statunitense, nato a New York nel 1926, cresciuto nel quartiere di East Harlem e scomparso tre anni fa, nel 2005. Oltre a quello di Evan Hunter ne ha usato molti altri, tra i quali anche quello per il quale è più conosciuto in Italia, Ed McBain, la firma per i suoi innumerevoli romanzi polizieschi, quelli della serie dell’87° Distretto, che iniziano ad uscire nel 1956 e pubblicati con regolarità, quasi annuale, fino all’anno della morte. Uno scrittore dai molti nomi, tutto da riscoprire quindi a partire da questo ritratto potentissimo di una scuola americana degli anni Cinquanta e della figura di un insegnante che con le sue domande, il suo interrogarsi sul confronto con la realtà e l’utopia pedagogica in cui crede, interpreta indirettamente il senso di disorientamento che si legge nella scuola italiana di oggi, alla ricerca di una motivazione che porti i ragazzi a prendere di nuovo sul serio lo studio, ad aver fiducia nel valore dell’educazione.
L’esperienza di Richiard Dadier che accetta un posto d’insegnante di lingua inglese presso una scuola professionale (particolare che rimanda all’autobiografia di Lombino/Hunter, che prima di iniziare a lavorare in un’agenzia letteraria e di diventare scrittore, aveva trovato un primo impiego proprio in una scuola professionale) e si trova di fronte ad una classe di ragazzi difficili, dove la sfida alla sua persona è implacabile, tanto da lasciarci, un giorno, la faccia gonfia e sanguinante, si rivela fondamentale, per lui, l’insegnante, che nonostante tutto cerca di non mollare, di non desistere rispetto al suo compito. Una scrittura secca e un racconto teso, intervallato dalle riflessioni del professore, fanno di questo romanzo un piccolo capolavoro, che afferma con forza il vero aspetto che la scuola ha perso, quello di intendere il mestiere di insegnante all’insegna della creatività e non come semplice esercizio impiegatizio. Ciò che salva il professore, che gli permette di opporsi a tanta ostilità e violenza da parte degli studenti è l’essersi accorto che «anche insegnando sarebbe potuto diventare un grande creatore». E gli ritorna alla mente l’utopia che gli ha fatto scegliere l’insegnamento, la possibilità «di prendere l’argilla di una mente non ancora sviluppata», per poterla «plasmare trasformandola in un cittadino pensante, reattivo e responsabile». Solo in quel modo è certo di compiere «davvero un’opera di creazione » e tutti i suoi ostinati tentativi, descritti nel romanzo, vanno nella direzione di questo desiderio profondo.(A cura di M.Allo Da Avvenire)
Sveliamo l'enigma delle origini di Ed Mcbain alias Salvatore Lombino e il giallo delle sue origini
( da La Sicilia)
Il giallo americano ha sangue siciliano nelle vene anche se si tingono… di giallo le origini di Salvatore Lombino, alias Ed Mcbain, prolifico scrittore recentemente scomparso (è morto a Weston nel Connecticut il 6 luglio scorso), universalmente conosciuto per avere inventato la celebre saga dell’87° Distretto, una delle serie più longeve e prolifiche della letteratura poliziesca: oltre cinquanta titoli pubblicati con milioni e milioni di copie vendute in tutto il mondo.
Ed Mcbain era italo-americano di seconda generazione, nato a New York nel 1926, figlio unico di un postino, Charles Lombino, e di sua moglie Marie Coppola. Altri dati certi sono i seguenti: nel 1955 viene girato il film "Il seme della violenza" dal romanzo omonimo di Evan Hunter, best-seller che Salvatore Lombino scrisse con tale pseudonimo. Nel 1958 Salvatore diventa Ed McBain, e dà inizio all’87° Distretto, dove emerge la figura di Steve Carella, poliziotto dalle chiare origini italiane. La serie è ambientata a Isola, facilmente riconoscibile come New York. Nel 1976 inaugura una nuova serie poliziesca con protagonista l’avvocato Mattew Hope di Calusa, Florida. E intanto, negli anni, crescono gli pseudonimi: Evan Hunter, Ed McBain, Richard Marsten, Hunt Collins, John Abbott, Ezra Ennon, Curt Cannon. Dietro tutti questi nomi c’è sempre il nostro Salvatore Lombino che nel 1963 firma la regia del capolavoro “Gli uccelli” di Alfred Hitchcock. Nello stesso anno, un altro illustre regista, Akira Kurosawa, completa “Anatomia di un rapimento”, tratto dal romanzo “Due colpi in uno”, scritto sempre da Salvatore/McBain.
Sulle origini dei suoi genitori però, la questione rimane tutt’ora aperta. Fonti autorevoli hanno indicato che i suoi erano originari di Bisacquino, paesino in provincia di Palermo, da dove ad inizio del Novecento era già partito per l’America a soli sei anni, tale Capra Francesco, meglio noto con il nome di Frank Capra, grande regista che firmò capolavori del cinema come “La vita è meravigliosa”, “Accadde una notte”, “È arrivata la felicità”, e lavorò con mostri sacri come James Stewart e Gary Cooper.
Sennonché, altre autorevoli fonti sostengono che la famiglia fosse di origine lucana. Per risolvere questo giallo, abbiamo contattato la dottoressa Giangrosso dell’ufficio anagrafe di Bisacquino e qui ci dicono che i Lombino sono arrivati da Palermo solo nel 1942, quando in paese serviva un elettricista. In precedenza non si trova alcuna traccia nei registri di Lombino o Coppola (il cognome della madre). Ci invitano a parlare con Salvatore Lombino (quando si dice il caso!), ovvero il discendente di quella famiglia in trasferta, che lavora all’ufficio anagrafe del comune di Sambuca di Sicilia. Anche l’omonimo del nostro Mcbain ci conferma quanto già detto e ribadisce che i Lombino sono originari di Palermo dove esiste perfino un cortile Lombino nel quartiere Brancaccio.
Spostiamo il tiro e contattiamo a Milano, lo storico, Carlo Oliva, autore de “La storia sociale del giallo”. Anche l’autorevole Oliva ci allarga le braccia. Ripieghiamo su Tecla Dozio, la celebre libraia dell’altrettanto nota libreria del giallo e amica personale di Mcbain. Sulle origini siciliane o lucane, è buio pesto ma ci racconta aneddoti dove è possibile leggere in filigrana il perché di tanto mistero.
“Ho incontrato molte volte Mcbain, veniva in Italia spesso, almeno
una volta all'anno, anche per conto suo senza che la Mondadori lo sapesse
ufficialmente. Arrivava con l'aereo a Milano, si fermava per la cena e per
la notte e, la mattina successiva, raggiungeva la sua meta di vacanza; quasi
sempre Venezia. Per anni –continua la libraia- non ha mai negato le sue origini italiane poi, ad un certo punto, non ne
ha più voluto parlare arrivando a impedire che uscisse una bellissima introduzione
a "Il seme della violenza" perché citava le sue origini. Un episodio divertente è capitato una volta in libreria, dove ha guardato con stupore un libro suo edito da Longanesi (non ricordo se fosse "Figli"
o "Amanti"), non ricordando di averlo mai scritto e anche il titolo originale
non gli di diceva nulla. Era un uomo generoso, mi regalò un bellissimo racconto
inedito per "G", la rivista del giallo. Era una persona molto spiritosa e
ironica. Il suo metodo di lavoro era molto "da ufficio". Per tre mesi lavorava
dalle 9 alle 17 poi un mese di vacanza seguito da un tour promozionale di
due mesi, poi altri tre mesi di scrittura, altro romanzo, e via così”.
La questione sulle origini dunque rimane. Noi riteniamo che siano sicilianissime e continuiamo…ad indagare.