PERCHE' NON PROUST?
Data: Luned́, 21 aprile 2008 ore 10:32:25 CEST
Argomento: Rassegna stampa


 

A scuola dai grandi romanzieri

Da qualche settimana è disponibile in libreria un interessante testo, "L'orientamento narrativo a scuola", scritto a quattro mani da due autori toscani, Federico Batini e Simone Giusti. Il saggio propone l'utilizzo di alcuni grandi romanzi per l'orientamento scolastico dei ragazzi delle scuole medie e superiori. Tema quantomai attuale, non solo per l'obiettivo (aiutare i giovani nelle scelte riguardanti il loro futuro), ma soprattutto per la metodologia.


È possibile - si chiedono gli autori - rendere qualcuno capace di fare delle scelte? Ed è possibile, infine, che tutto questo si possa ottenere attraverso la conoscenza dei libri di J.K. Rowling, Ian Mac Ewan o Saramago? Il libro si propone di utilizzare la narrativa per sviluppare la capacità di dare un ordine, un rilievo e un senso ai fatti della vita, diventare capaci di affrontare le situazioni nuove e inaspettate, immaginare il futuro e progettare soluzioni per costruirlo attivamente.

Parallelamente all'uscita del libro sono stati realizzati ad Arezzo e provincia tre progetti che utilizzano la metodologia proposta nel volume: percorsi di orientamento scolastico, scrittura e lettura, rivolti a ragazzi delle medie inferiori, superiori e ad un gruppo di genitori. Per i ragazzi delle scuole superiori i percorsi erano incentrati sulla lettura e comprensione de "Il conte di Montecristo", il celebre romanzo di Alexandre Dumas, e de "Il racconto dell’isola sconosciuta" di José Saramago. I ragazzi delle medie invece avevano come tema centrale del loro percorso Peter Fortune, protagonista de "L'inventore di sogni" di Ian McEwan e due romanzi di Harry Potter, "La camera dei segreti" e "Il prigioniero di Azkaban". Da parte loro, i genitori sono stati invitati a partecipare ad una serie di seminari e incontri a tema, curati da docenti universitari.M.Allo (da La Stampa)

Da sempre Proust desiderava essere un romanziere........

 

Alla domanda iniziale “Suis-je romancier?”, “Ogni artista è allora come il cittadino di una patria sconosciuta, da lui stesso dimenticata, diversa da quella da cui verrà, apparendo sulla terra, un altro grande artista”.Proust

Da sempre Proust desiderava essere un romanziere, ma questo desiderio rimaneva irrealizzato: sarà questo il tema di À la Recherche du temps perdu. Pigrizia, malattia, lutti, e impotenza a scrivere saranno gli ostacoli che si frappongono all’opera sognata.
La Recherche è la storia di una vita dall’infanzia all’età adulta, ma è in primo luogo la storia di una vocazione alla scrittura: il racconto, nella sua struttura circolare, inizia dalla fine della storia, in cui il protagonista diventa scrittore e compone l’opera che il lettore sta leggendo. Il meccanismo non sarà svelato che nell’ultimo volume, Le Temps retrouvé, nel quale infine il protagonista ha vinto la sua incapacità di scrivere. Il filo del romanzo è - allora - come il protagonista diventa scrittore. La Recherche mette in scena l’impotenza a scrivere: il protagonista soffre di una mancanza di talento, di una quasi invincibile pigrizia ed è spesso sul punto di rinunciare. Sono i momenti intensi procurati dal caso di un’impressione sensibile a rilanciare il suo bisogno di scrivere, fino alla rivelazione finale. Le insonnie liberano la memoria volontaria e i biscotti quella involontaria: questi presupposti vengono riattraversati in ordine inverso al momento in cui si svela l’accesso alla verità intemporale: ne Le Temps retrouvé lo spettacolo del mondo invecchiato rivela così l’azione del tempo. Il cerchio si chiude allora sulla definizione delle due temporalità del romanzo, quella irreversibile della vita e quella, reversibile, dell’Arte. Ciò che il protagonista trova alla fine del suo percorso non è esterno a lui, ma al contrario, è l’unità del suo io conquistata sullo sbriciolamento della sua vita passata.
“Come si sa, Alla ricerca del tempo perduto è la storia d’una scrittura. … La nascita di un libro che noi non conosceremo ma il cui annuncio è il libro stesso di Proust, si compie, come un dramma, in tre atti. … La storia che viene raccontata dal narratore ha dunque tutti i caratteri drammatici d’una iniziazione; si tratta di una vera e propria mistagogia
[s. f. presso gli antichi greci, iniziazione ai culti misterici. - Garzanti], articolata in tre momenti dialettici: il desiderio (il mistagogo postula una rivelazione), l’insuccesso (egli si accolla i pericoli, la notte, il nulla), l’assunzione (proprio quando il fallimento sembra essere completo, egli ottiene la vittoria). Ora, per scrivere la Recherche, Proust ha vissuto di persona questo iter iniziatico; al desiderio precocissimo di scrivere … ha fatto seguito un lungo periodo, fatto certamente non di insuccessi, ma di brancolamenti, come se la vera e unica opera si cercasse, si abbandonasse, si riprendesse senza mai trovarsi; e come quella del narratore, questa iniziazione negativa è andata compiendosi, se così si può dire, attraverso una certa quale esperienza della letteratura: i libri degli altri hanno prima affascinato e poi deluso Proust … questa “traversata della letteratura” … così simile all’itinerario iniziatico, pieno di tenebre e d’illusioni, si è potuta compiere per mezzo del pastiche (quale migliore testimonianza di fascinazione di demistificazione del pastiche?), dell’entusiasmo sconfinato (Ruskin) e della contestazione (Sainte-Beuve). Proust andava così avvicinandosi alla Recherche (di cui, come si sa, certi frammenti si trovano già nel Sainte-Beuve), ma l’opera non riusciva a “ingranare”. Le unità principali erano già lì … esse provavano a combinarsi in vario modo, come in un caleidoscopio, ma mancava ancora l’atto federatore che doveva permettere a Proust di scrivere la Recherche senza mai interrompersi, dal 1909 alla sua morte, a prezzo d’una segregazione di cui si sa bene quanto essa ricordi quella del narratore stesso, alla fine de Il tempo ritrovato. - (Roland Barthes, Il grado zero della scrittura, Einaudi)
Iniziando a comporre l’opera dal suo inizio e dalla sua fine, e poi nutrendola dall’interno, Proust si è premunito contro la peggiore conseguenza dell’incompiutezza: la mancanza di conclusione. Dal 1909 al 1922, in qualunque momento di un’esistenza che egli sa minacciata, Proust è in grado di consegnare ai posteri un romanzo in cui sarà comunque presente l’essenza del suo messaggio. Tredici anni di lavoro amplieranno l’opera in maniera considerevole, e il suo stesso spessore finirà per acquisire senso dilatando il tempo vissuto dal protagonista e conferendo un valore ancora maggiore alla sua illuminazione finale, poiché questa è stata preceduta da una moltitudine di prove. Durante gli anni, la Recherche guadagnerà in ampiezza e in simmetria ben oltre la formula concepita da Proust: e saranno queste caratteristiche a conferirle la completezza che mancava a Jean Santeuil.

Dopo aver aperto il ventaglio dei sensi (limitati nel Santeuil al solo olfatto) i soli capaci di restituire all’uomo il suo passato, Proust restringe il ruolo affidato alla vista, il senso più correntemente utilizzato dagli uomini, perché il più vulnerabile alle analisi dell’intelligenza, e quindi il meno propizio a un tuffo nel proprio io interiore.
La Recherche è anche, se non soprattutto, una ricerca di verità, un romanzo filosofico che risponde a una dottrina estetica: l’arte è priva di misura comune con la vita ma la trascende, in quanto unica vita vera, così come l’io creatore non è il Sé sociale perché l’artista crea calandosi in se stesso.
“L’opera di Proust descrive un immenso, incessante apprendistato. Questo apprendistato vive sempre due momenti (in amore, nell’arte, nello snobismo): un’illusione e una delusione; da questi due momenti nasce la verità, cioè la scrittura: ma tra il sogno e il risveglio, prima che la verità emerga, il narratore proustiano deve assolvere un compito ambiguo (dato che esso conduce alla verità attraverso non pochi equivoci), che consiste nell’interrogare disperatamente i segni: segni emessi dall’opera d’arte, dall’essere amato, dall’ambiente frequentato.”











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