Nel bel mezzo del dramma dei precari....
Data: Sabato, 19 aprile 2008 ore 20:22:58 CEST
Argomento: Rassegna stampa


 

Carlo Bordini
Gustavo. Una malattia mentale


Una piccola cellula trotskista o il domiciliatario dell’Illusione. Questo è Gustavo. La sua goffaggine, il suo linguaggio diretto, a tratti anche folle, è la rivalsa nei confronti del proprio vissuto, ma anche verso chi oggi rappresenta il Potere. Per Gustavo, gli Altri, quelli che hanno conquistato il diritto di camminare sopra il pavimento, hanno il Potere, il diritto di Esserci. Gustavo il mondo lo guarda dall’esterno, anzi, da un piccolo foro che gli permette di vedere il grigio del mondo, ma anche i colori...
Nel bel mezzo del dramma dei precari, così diffusamente e variamente raccontato da tanti giovani autori italiani, ecco che all’improvviso Carlo Bordini ci ricorda che anche i garantiti non se la passano poi tanto bene. Gustavo, la sua ultima creatura, è appunto un ministeriale dal posto sicuro, un attempato esemplare di una specie destinata a rapida estinzione dal funesto trionfo del libero mercato. Egli potrebbe condurre una vita tranquilla: ha una casa, una macchina, la passione della scrittura, tutta la libertà che vuole. Dunque cos’è che non va? E’ che proprio il modesto agio e la tranquillità che gli deriva dal posto fisso gli hanno sempre dato la forza di rifiutare la visione borghese della vita, e di rincorrere la felicità hic et nunc, evitando matrimonio, figli, e ogni tipo di rapporto impegnativo con gli altri, cosicché adesso - quando il romanzo comincia - lo vediamo ormai solo e distrutto – una specie di patetico Don Giovanni al tramonto - nella casa di un suo amico di gioventù. E qui la vita gli presenta il conto della sua hybris sotto la forma di un’incalzante follia. Un succedersi di angosce, terrori, incubi, allucinazioni, attacchi di demenza e amnesie, come delle Erinni, lo perseguitano in ogni istante della giornata, ma egli, proprio come un antico eroe, non si lamenta, non si pente, non mette in atto nemmeno ora quel comportamento borghese, calcolante, che forse sarebbe ancora in grado di salvarlo. La sua anima, cresciuta e formata nell’abbandono totale e incondizionato ai richiami della bellezza, del piacere e della poesia, non glielo permette. La sola difesa che gli rimane è la virile accettazione e inclusione della follia nel suo Io. Così riesce a non esserne travolto. La passività e il fatalismo che l’hanno sempre assistito gli danno adesso la forza di contemplare il suo disastro con distaccata ironia, e di ricavare dall’osservazione dei suoi stessi incubi, fantasmi e terrori, una strana e sottile gioia estetica: la stessa che poi si comunica al lettore del romanzo. (A cura di M.Allo)
Eccovi da RAINEW  l'intervista di L.Sorrentino

Marco Maugeri ha detto che il suo libro è un capolavoro. Ha definito Gustavo un Trattato sull’Illusione. Per Maugeri lei è uno dei più grandi scrittori surrealisti. Maugeri ha anche detto che il surrealismo di Bordini è il suo candore...
Il giorno prima della presentazione di Gustavo ho visto un lungo documentario su Federico Fellini in televisione. A un certo punto Fellini ha detto: «Io non dirigo il film. E’ il film che dirige me.» Ecco, per quanto riguarda me, posso dire qualcosa di analogo: «Io non scrivo: io sono scritto». Il problema è lasciarsi scrivere senza opporre ostacoli di carattere intellettualistico, senza porre rigidità, rinunciando al dover essere, ma abbandonandosi all’essere. Forse il mio candore dipende dal fatto che quando ho scritto Gustavo, non sapevo assolutamente che cosa stavo scrivendo, e soprattutto, non cercavo di scriverlo bene. Lasciavo che il flusso venisse e che io 'fossi scritto', 'scritto' da qualcosa che usciva dalla mia testa senza porre difficoltà.

In Gustavo lei racconta la storia di un’ossessione amorosa con un linguaggio di confine, tra realtà e irrealtà... Ma in Gustavo lei sostiene anche, più in generale, l’impossibilità di alcuni rapporti umani...
Gustavo è un libro che smonta pessimisticamente l’idea che si possono avere rapporti fraterni con gli amici, con le donne con cui si è stati. Mostra e sostiene anche l’impossibilità di una certa educazione civile, politicamente corretta.

Flaubert, ne L’educazione sentimentale, con una ferocia veramente grande, fa a pezzi il mito dell’amore romantico e ci balla sopra. Flaubert, come tutti sappiamo, racconta la storia di due persone che non riescono a vivere un rapporto. Alla fine, lei gli dà una ciocca dei suoi capelli, ma questi capelli sono bianchi, perché loro non sono mai riusciti a vivere questo supposto Grande Amore che apparentemente provavano l’uno per l’altro. In Gustavo non si parla del Grande Amore, bensì dell’Utopia: di incontrarsi al mare, dove le teste degli amici sono diventate delle persone, ma anche dell’Utopia che si possono avere rapporti affettuosi con le donne che si è amato. Con Marina, ma pure con Olga - un personaggio di donna che appare solo all’inizio e alla fine del libro, e solo al mare, e solo in costume da bagno, dove c’è persino il Grande Vecchio che prende il sole -. Ecco: questa Idea, che è un’Idea politicamente corretta, cerco di smontarla. Nell’Appendice al libro, c’è una frase velenosa che dice di Gustavo che è un intellettuale collettivo.

Intellettuale collettivo in termini marxisti era il Partito. Forse questo libro è un velenoso dimostrare che non solo il Grande Amore non ha senso, ma anche che i nostri affetti, i nostri Grandi Miti contemporanei, sono senza senso. Il sogno di Gustavo, alla fine, è una grande metafora. Nel sogno Gustavo incontra le donne che ha amato e gli uomini, i suoi amici, che non sono diventati delle teste, ma delle persone. E a quel punto si crea l’Unità. L’Unità di quello che prima era una frantumazione, del reale e della mente. Però questa Unità è un’Utopia. Perché Gustavo alla fine torna nel magazzino delle scope da cui era partito e in cui c’era una scala che portava al mare… e la scala non c’è più...

Tra i vari sensi di colpa di Gustavo c’è anche quello verso la generazione alla quale Gustavo appartiene. Una generazione che ha commesso degli errori?
Nel libro faccio dire a Gustavo un paio di frasi molto caustiche... Certo, abbiamo sbagliato troppe cose...

Nel suo libro lei a un certo punto parla di un occhio di vetro che guarda Gustavo. E’ un occhio immobile, dal quale Gustavo si lascia guardare, senza sapere di essere guardato. Ma poi, Gustavo immagina di stare, egli stesso, dentro l’occhio che guarda. Bordini, che cos’è questo guardare, e lasciarsi guardare? E’ la memoria del vissuto che si avvicina e si allontana?
Nel libro c’è molta nostalgia. Gustavo è infatti, anche un libro sul passato, sulla memoria. Gustavo è 'un dopo', 'un ex'. E’ uno che è amato, che ha avuto degli amici, per questo nel libro non fa quasi niente. Le teste che sposta, ammucchia, sono i suoi pensieri che si accavallano. In un certo senso, l’unico atto che Gustavo compie, accade nel primo capitolo del libro, quando Gustavo decide di lasciare Marina. Per il resto del libro Gustavo non fa nulla. Torna in una casa in cui non abita più, non la riconosce e comincia a rielaborare il passato. Tutto il libro è una rielaborazione fantasmagorica della memoria, fantasmatica, tra realtà e irrealtà.

Gustavo è un libro che lei ha scritto vent’anni fa. Però nessun editore allora, volle pubblicarlo. Perché?
Gli editori non erano interessati al mio libro. Vent’anni fa c’era una certa difficoltà a entrare dentro questa marea di false partenze, di situazioni difficili. Tutti mi dicevano: 'Ma in questo libro non c’è una storia! Non viene raccontato nulla!' Evidentemente la storia di un uomo che diventa pazzo non è una storia. Adesso, invece, che è cambiata la sensibilità, il modo di scrivere, ma, direi, anche, il modo di leggere, adesso, che il lettore non cerca più la storia, il libro piace, e prende molto, emotivamente.

In vent’anni, lei ha provato numerosi rimaneggiamenti del libro, ma alla fine, è tornato alla prima stesura, cambiando solo il titolo: da Racconto molto strambo, a Gustavo, una malattia mentale. Perchè considera Gustavo un malato di mente?
Perché Gustavo vive in gran parte fuori dalla realtà. Ed è proprio questa zona di confine, tra realtà e irrealtà, una delle caratteristiche di questo libro. La malattia mentale può essere intravista in diversi modi: da un lato lui subisce la malattia mentale, quando, ad esempio, finisce in clinica, dall’altro, la malattia mentale può anche significare un innamoramento morboso che non finisce mai. Io penso che aumentando i contrasti della mente tutto diventi più percepibile e più visibile. Rendere Gustavo un folle mi ha permesso di descrivere determinati meccanismi che tutti noi abbiamo nel cervello. Gustavo, poi, ha una vera e propria malattia mentale: è incapace di amare, è incapace di avere un rapporto. Infatti tutta la sua vita - tutta la storia di questo libro - è il tentativo frustrato di avere un rapporto che può essere soltanto mentale.

Perché lei dice che 'scrivere è un atto osceno'?
Mi sono accorto che il mio modo di scrivere è poco regolare, fuori delle norme, fuori delle regole. Mi sono reso conto che a volte ho cercato di normalizzare il mio linguaggio e che normalizzandolo lo tradivo. E quindi, sono arrivato alla conclusione che per scrivere bisogna avere il coraggio della propria stranezza, della propria oscenità. In questo senso scrivere è un atto osceno che va esibito e del quale non bisogna mai vergognarsi.

Secondo lei, cosa rappresenterà Gustavo per la generazione che arriverà fra vent’anni?
Non lo so. Per me è impossibile immaginare il mondo fra vent’anni... Alla fine del libro Gustavo dice: « Io sono un sognatore. Il problema è che non so cosa sognare.» Dietro quest’affermazione, apparentemente banale, c’è un ragionamento: è molto difficile, oggi, avere delle speranze e perseguirle. Credo che sia finita l’epoca delle grandi e forti speranze... Però, credo che tornerà.

Carlo Bordini è nato a Roma il 2 settembre nel 1938.







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