DANTE LETTO NELLE PIAZZE PARLA ALLA GENTE
Data: Venerd́, 18 aprile 2008 ore 08:05:12 CEST
Argomento: Rassegna stampa


Anziano e malandato, in una sessantina di lezioni pubbliche, Boccaccio arrivò a commentare circa la metà della prima cantica. In una chiesa, si diceva. Quello che Dante chiama nel «Paradiso» «sacrato poema» e ancora il «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» può essere meditato, 'ruminato' e letto in un luogo per l’appunto sacro: la parola umana, umana al quadrato grazie alla tecnica poetica, aspira tuttavia, nell’altissima pretesa della Commedia, ad essere parola di verità, con l’autore autopromosso a «scriba Dei». Così a Sansepolcro, la città di Piero della Francesca, si è promosso un ciclo di quattro letture, intitolato «Comincia la commedia», proprio nella cattedrale romanica del paese: analisi e commento del primo canto di ognuna delle tre cantiche affidati a un dantista e a seguire lettura integrale del testo da parte di un attore (con la serata finale del 18 aprile dedicata alla versione in dialetto locale dell’«Inferno»: la Commedia è stata 'reinventata' non solo in innumerevoli lingue straniere ma in tanti idiomi dialettali della penisola). A Milano poi, all’Università Statale, è ancora in corso la nuova edizione degli «Esperimenti danteschi», quest’anno dedicata all’«Inferno», con la presenza di prestigiosi dantisti italiani e stranieri. Che cosa suggeriscono queste «lecturae» rinate? Che la «Commedia» è stata letta per secoli nei modi classici della lectio accademica. E che Benigni è un felice episodio di una lunga trafila. E poi ci ricordano il potere 'salutare' (come avrebbe detto Luzi) del poema: non solo in senso religioso, ma in chiave di pienezza della lingua, messa a frutto in tutta la sua efficacia ed economicità.
La potente scaturigine dantesca richiama all’origine, alle fonti di una parola armonizzata per «legame musaico» e per ciò stesso sottratta a ogni usura, consumo, deprivazione di energia. Parla perciò alla comunità civile. E a volerla e saperla ascoltare, parla anche ai dispersi poeti della tarda modernità, non come un bene di rifugio, consolatorio, ma come una spinta a riconsiderare i fondamenti del loro dire, perché possa nuovamente risuonare (anche attraverso una riforma tecnica e metrica) pubblico e comunitario. Blog dantesco della   Terza E ( Liceo Scientifico" Leonardo "di Giarre)

Ma ecco come Boccaccio criticò l'ingiusta condanna di Dante......

 Giovanni Boccaccio

Trattatello in laude di Dante

De origine vita, studiis et moribus
viri clarissimi
dantis aligerii
florentini, poete illustris,
et de operibus compositis ab eodem,incipit feliciter.

Si maledice come ingiusta la condanna di Dante (cap. X)

Questo merito riportò Dante del tenero amore avuto alla sua patria! questo merito riportò Dante dell'affanno avuto in voler tôrre via le discordie cittadine! questo merito riportò Dante dell'avere con ogni sollecitudine cercato il bene, la pace e la tranquillità de’ suoi cittadini! Per che assai manifestamente appare quanto sieno vòti di verità i favori de’ popoli, e quanta fidanza si possa in essi avere. Colui, nel guale poco avanti pareva ogni publica speranza esser posta, ogni affezione cittadina, ogni rifugio populare; subitamente, senza cagione legittima, senza offesa, senza peccato, da quel romore, il quale per addietro s'era molte volte udito le sue laude portare infino alle stelle, è furiosamente mandato in inrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad etterna memoria della sua virtù! con queste lettere fu il suo nome tra quegli de’ padri della patria scritto in tavole d'oro! con così favorevole romore gli furono rendute grazie de’ suoi benefici! Chi sarà dunque colui che, a queste cose guardando, non dica la nostra republica da questo piè non andare sciancata?
Oh vana fidanza de’ mortali, da quanti esempli altissimi se’ tu continuamente ripresa, ammonita e gastigata! Deh! se Cammillo, Rutilio, Coriolano, e l'uno e l'altro Scipione, e gli altri antichi valenti uomini per la lunghezza del tempo interposto ti sono della memoria caduti, questo ricente caso ti faccia con più temperate redine correr ne’ tuoi piaceri. Niuna cosa ci ha meno stabilita che la popolesca grazia; niuna più pazza speranza, niuno più folle consiglio che quello che a crederle conforta nessuno. Levinsi adunque gli animi al cielo, nella cui perpetua legge, nelli cui eterni splendori, nella cui vera bellezza si potrà senza alcuna oscurità conoscere la stabilità di Colui che lui e le altre cose con ragione muove; acciò che, sì come in termine fisso, lasciando le transitorie cose, in lui si fermi ogni nostra speranza, se trovare non ci vogliamo ingannati.








Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-10584.html