I tremila dipendenti Inpdap, costretti a restituire in 24
rate i contributi 2002 per gli eventi vulcanici (meglio
noti come contributi cenere) hanno ottenuto una vittoria
parziale. Nei giorni scorsi il ministero delle Finanze
avrebbe inviato una nota alla direzione provinciale
del Tesoro di Catania per rispondere a un quesito che
era stato formulato dal preside dell’istituto Boggio
Lera, prof. Giovanni Torrisi. Il dirigente scolastico, che
fa parte dei tremila dipendenti pubblici «tartassati»
dallo stato per avere richiesto e ottenuto i contributi
che erano stati disposti da una ordinanza della Protezione
civile, aveva interrogato il ministero sulla mancata
applicazione delle disposizioni per il prelievo di
oltre un quinto dello stipendio. Adesso il ministero ha
risposto con una nota nella quale, tra le righe, indica alla
direzione del Tesoro di «che nell’ambito del recupero
dei contributi venga operato il rispetto del quinto
dello stipendio, nel rispetto dell’art. 2 del testo Unico
approvato col Dpr n. 180/50».
Vinta una battaglia, resta, però, da continuare una
guerra, caratterizzata da errori grossolani di enti nazionali,
che continua da lunghi anni e che si è aggravata
dal giugno 2005, quando la presidenza del Consiglio
di centrodestra, in carica in quel periodo, emanò una
ordinanza che riduceva da 128 a 24 le rate per la restituzione
dei contributi ottenuti. La disposizione divenne
esecutiva successivamente, quando l’Inpdap
trasmise alla Direzione del Tesoro di Catania la disposizione
per disporre le ritenute in busta paga, gettando
sul lastrico tremila famiglie che avevano usufruito
delle agevolazioni, peraltro negate «in toto» a tutti i dipendenti
del settore privato.
Oggi, proprio a causa di questo provvedimento capestro,
ci sono impiegati pubblici che, dovendo far
fronte ad altre ritenute private (prestiti, mutui...) arrivano
a percepire buste paga di 300, 400 euro e si ritrovano
in una situazione di povertà assoluta non dovuta
per causa loro, ma frutto di gravi interpretazioni di
ordinanze statali.
C’è poi la disparità di trattamento a rendere ancora
più paradossale una vicenda ingarbugliata da decreti
e controdecreti. Quando la presidenza del Consiglio dispose
la riduzione delle rate i dipendenti pubblici del
settore militare fecero ricorso al Tar ottenendo l’accoglimento
e il ripristino delle 128 rate per la restituzione.
Per i dipendenti pubblici del settore civile, invece,
il giudice del lavoro non ha accolto la richiesta, ritenendo
legittima la restituzione dei contributi in 24 rate.
L’argomento cenere e disparità è stato oggetto ieri di
un incontro promosso dalla Federcontribuenti che ha
voluto, così, evidenziare «la drammaticità della situazione
in cui si trovano oltre 3000 dipendenti pubblici
etnei che sono costretti dall’Inpdap - spiega il presidente
Carmelo Finocchiaro - a una restituzione dei
contributi previdenziali attraverso un prelievo coatto».
«La modalità di recupero - ha aggiunto Finocchiaro -
adottata con propria circolare, ordina la restituzione
dei contributi previdenziali nell’arco di 24 rate invece
che in 128. Risulta così evidente come tale imposizione,
assolutamente non prevedibile, abbia determinato
gravissimi disagi economici alle famiglie coinvolte,
molte delle quali erano già state costrette a ricorrere a
prestiti per condurre una vita quanto più dignitosa».
Obiettivo della Federcontribuenti è quello di farsi
portavoce di queste famiglie per chiedere ancora una
volta una modifica delle disposizioni che «allo stato attuale
costringono le famiglie a sopravvivere in una società
che si dichiara attenta e sensibile alle problematiche
sociali, ma che attraverso le istituzioni continua,
come in questo caso, a produrre situazioni di ingiustizia.
GIUSEPPE BONACCORSI (da www.lasicilia.it)