Cambia il suo Dna la musica
Data: Mercoledì, 19 febbraio 2003 ore 08:00:00 CET
Argomento: Redazione


Più di 600 brani scambiati in un solo giorno. Si riassume in poche parole la performance che ha spinto martedì scorso la Corte distrettuale di Washington a intimare alla compagnia telefonica Verizon, con una decisione senza precedenti, di rivelare nome e indirizzo dello song-swapper, suo cliente, sospettato di essere stati il protagonista della grande abbuffata musicale.

Una sfida alla privacy, naturalmente, alla cui tutela si è inutilmente appellata la società di telecomunicazioni, interessata a salvaguardare la riservatezza dei propri abbonati.

La decisione è stata salutata dalle major discografiche come un precedente che aprirebbe la porta alla possibilità di perseguire individualmente gli abusivi "scambisti" di file musicali. Una strategia che il dilagare dei sistemi peer to peer avrebbe reso non più procrastinabile.

Due anni difficili
A richiedere l'intervento della Corte, d'altronde, è stata la Riaa (Recording Industry Association of America), l'associazione che riunisce le principali case discografiche americane, che proprio alla pirateria on line attribuisce buona parte delle responsabilità dei deludenti risultati di mercato degli ultimi anni.

Stando alle statistiche della International Federation of the Phonographic Industry, infatti, nella seconda metà del 2002 le vendite di Cd musicali avrebbero segnato una flessione del 9%, peggiorando la performance già negativa del 2001 (- 5%). Il mercato non tira, gridano le label, anzi segna nettamente il passo. Colpa di quel 27% di americani e 13% di europei che, secondo una ricerca di Forrester riportata da The Economist, fanno il loro "shopping" musicale on line, senza versare una lira nelle loro tasche.

A conferma di questa interpretazione, d'altronde, si potrebbe portare lo scatto in avanti (40%) delle vendite americane di Cd vergini, documentato da Wired, e il triplicarsi del numero di servizi à la Kazaa di scambio on line di file, mentre i bilanci dei negozi virtuali di musica restano magri.

Tutti i volti della crisi
In realtà non tutti concordano con questa chiave di lettura. L'impatto della pirateria on line sulle vendite di Cd non è così facile da valutare. In alcuni casi, infatti, gli aficionados di Kazaa e soci sembrano effettivamente acquistare meno musica che in passato. In altri casi, però, il loro consumo resta stabile o addirittura aumenta, spinto all'acquisto della musica che hanno ascoltato in rete gratuitamente.

L'insolita alleanza
Un aiuto alle case discografiche potrebbe venire dai produttori di hardware e software, oggi molto meno freddi che in passato di fronte al problema della pirateria audio e video. Recentemente Microsoft ha annunciato un nuovo sistema, chiamato Windows Media Data Session Toolkit, per proteggere i Cd audio da duplicazioni indesiderate. L'annuncio, giunto a coronamento di un investimento di 500 milioni di dollari, ha naturalmente riscosso il plauso di Universal ed Emi.

Il 14 gennaio scorso, d'altronde, un protocollo d'intesa che definisce sette principi guida nella lotta alla pirateria digitale è stato sottoscritto da Riaa, Bsa (Business Software Alliance) e Cspp (Computer System Policy Project), un'associazione - quest'ultima - nella quale figurano colossi del calibro di Dell, Hewlett Packard e Ibm.

L'accordo ha l'obiettivo di dare vita a un'azione congiunta nei confronti delle istituzioni affinché mettano in atto campagne di prevenzione e repressione più efficaci. Nello stesso tempo, in un modo che potrebbe apparire contraddittorio, di escludere diktat tecnologici a tutela del copyright imposti per legge, che potrebbero gravare sui rispettivi business.

In gioco un intero modello
Il centro della questione, quindi, è la definizione del cosiddetto fair use: l'uso "corretto" che si ritiene il pubblico debba fare della musica acquistata.

Quando compriamo un Cd, possiamo prestarlo a un amico, ascoltarlo in automobile, in metropolitana o al parco facendo jogging. Una versatilità d'uso che è stata tra i fattori critici di successo di questa tecnologia. La stessa prerogativa, trasferita nel mondo dell'informatica personale e della Rete, rischia però di aprire le porte - secondo alcuni - a un uso del tutto irresponsabile, se non fraudolento, delle capacità di duplicazione, distribuzione ed edulcorazione della musica.

La risposta, tuttavia, non sembra stare nell'adozione di sistemi, come quelli che ispirano l'attuale impiego del Digital Rights Management, che vincolano a un numero ristretto di dispositivi le possibilità d'ascolto di una traccia musicale. Una logica come questa è destinata alla sconfitta, perché ha l'irrealistica ambizione di portare indietro le lancette dell'orologio delle abitudini di consumo delle persone. Come è noto rigidissime.

Un'alternativa sarebbe quella di trasformare ogni traccia acquistata in una traccia "personale", senza per questo vincolarne l'uso o limitarne la copia. Una dissuasione morale che potrebbe rivelarsi sufficiente a inibire la diffusione indiscriminata da parte di coloro che di questa attività non fanno un business illegale. Ma non è in questa direzione che l'evoluzione delle tecnologie di tutela sembrano marciare.

Così, tra la Scilla della copia indiscriminata e la Cariddi della musica in affitto, l'industria musicale sembra consapevole di trovarsi di fronte a qualcosa come un ultimo appello. Nel quale, però, la posta in gioco non è solamente la tutela del copyright, ma il modello di business sul quale ha costruito le proprie fortune. Per anni il pubblico giovanile (il cosiddetto teen market) ha guidato inesorabilmente il successo delle etichette musicali, assecondando e rafforzando mode musicali via via più effimere. Anche questa, forse, è tra le cose destinate a cambiare.







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