“La mano che non mordi” Un viaggio nel cuore dei Balcani
Data: Venerd́, 28 marzo 2008 ore 15:00:14 CET
Argomento: Rassegna stampa


Esiste una lingua per raccontare lo spaesamento? Tutto parte da un viaggio a Sarajevo: un tuffo nel cuore dei Balcani, generoso e polveroso come nei ricordi d'infanzia. Qui la pioggia bagna la pelle più in profondità che altrove. La morte è più sorprendente e ha più sapore. Come un assedio, ad ogni passo risuona «l'esperanto balcanico», quel linguaggio inudibile e perentorio che non è possibile lasciarsi alle spalle. Un romanzo vivo, caustico, una scrittura apolide leggera e penetrante come le emozioni di cui si nutre.
Una giovane donna va in Bosnia per aiutare un amico malato di indifferenza, o più precisamente di "troppa coscienza della vita","Ho perso l'ovvio, l'ovvio di esistere", come lo Zeno di Svevo. le spiega. Invece è proprio l'ovvio la malattia, tanto più grave in quanto sociale oltre che esistenziale o psicologica. Il gran bel libro di Ornela Vorpsi, oltre che un acuto e spesso divertente racconto di viaggio, è una parabola sulla condizione umana: che contrariamente a ciò che le ideologie dell'identità vogliono far credere è una condizione di trasformazione, di passaggio, di spaesamento.

 

Ornela, nella vita e nel romanzo un'albanese che  vive a Parigi, non appartiene ad alcun luogo: ovunque si trovi è una "perfettastraniera" . Una volta la si sarebbe detta un'apolide o una cosmopolita, con accezione positiva. Da qualche tempo invece gli "eccessi di culture" (se ne è occupato Marco Aime) hanno rigettato l'idea dell'ibridazione, del melting pot. Vorpsi rappresenta un salutare superamento di queste visioni integraliste e conservatrici. Ogni nuova esperienza è per lei un arricchimento, non un tradimento o una perdita d'identità. Tornare nei Balcani, nella circostanza a Sarajevo (città simbolo del cosmopolitismo sotto attacco), significa tornare alla lingua materna, a passate abitudini; ma non si tratta di radici, ossia di qualcosa che tiene fermi, bensì, appunto, di un surplus di conoscenza. Prima di ripartire per la Francia compra del byrek, che immancabilmente svolge la sua funzione di madeleine proustiana: "Mastico mentre sono mangiata dai ricordi. Ho riempito la bocca, ho chiuso gli occhi e sento i passi della nonna dietro le spalle, l'odore dei cachi maturi, la luce forte del sole di Tirana". Però questa rievocazione non scatena una ricerca del tempo perduto: Ornela è immune dalla nostalgia, dalla retorica del ritorno a casa, del nostos, che a ben pensarci è sentimento maschile e fortemente maschilista (prevede una Penelope che attenda fedele e un paese che resti immutato affinché l'eroe possa ritrovarvi, quando si sia stancato dell'avventura, intatti i sapori della gioventù). "Finisce il byrek e tutto scompare, la nonna ritorna nella tomba, il cielo è grigio, non c'è nessun albero di caco nelle vicinanze ma solo l'odore del byrek tra le mani".
Non ancora quarantenne, Vorpsi si conferma una delle voci più interessanti della nuova narrativa contemporanea, naturalmente (e non intenzionalmente come, direi, nel caso di Isabel Allende) incline al global novel. Che pur vivendo altrove abbia scelto di scrivere in italiano è motivo di ottimismo; ed è una conferma che la strada per rafforzare una letteratura è aprirla a chiunque voglia servirsene, e non chiuderla a difesa di comunità più o meno immaginarie.(M.Allo)
Interessante si è rivelato l'incontro di Guia Risari( in collaborazione con Letteratura di Svolta ) e Ornela Vorpsi....

Ornela Vorpsi«Ormai sono una perfetta straniera. Quando si è così stranieri, si guarda il tutto in modo diverso da uno che fa parte del dentro. È come recarsi a una cena di famiglia e non poter partecipare; si frappone una gelida finestra. Di un vetro bello spesso, antiproiettile, anti-incontro: loro ti scrutano, ti riconoscono, ti fanno dei segni perché tu entri e li raggiunga, pure tu li vedi e rispondi con gli stessi gesti, ma la cena si consuma qui, si consuma così. Dopo poco tempo smettono di invitarti, si stancano, il pollo arrosto gli sorride, il pollo arrosto sfornato al momento giusto è una vera consolazione. Le loro parole sono inudibili. Il loro calore lontano. Tu rimani spettatore».
Dopo aver raccontato – in Il paese dove non si muore mai e Vetri rosa - l’infanzia e l’adolescenza vissute in una società chiusa e maschilista, dove l’utopia è incarnata da una Madre-Partito che non va contraddetta e un’etichetta può segnare un’intera esistenza, con La mano che non mordi (appena pubblicato da Einaudi) Ornela Vorpsi si avventura in un viaggio nel cuore dei Balcani per descrivere lo spaesamento del ritorno.
Secca come il rumore di uno schiaffo, affilata come un dolore, crudele come lo sguardo di un bambino, lieve come una barzelletta sulla morte, la penna della Vorpsi traccia un solco di amore-odio fra l’autrice e la sua terra d’origine, l’Albania dei regimi e delle tradizioni soffocanti, e mette un mare, quello della fuga e dell’emigrazione, fra lei e la sua lingua, la sua storia, la sua infanzia.

Ornela Vorpsi è nata a Tirana nel 1968. Ha studiato Belle Arti in Albania, poi, dal 1991, all'Accademia di Brera. Dal 1997 vive a Parigi. È fotografa, pittrice e videoartista. Il paese dove non si muore mai è il suo primo romanzo, pubblicato in Francia da Actes Sud e in corso di traduzione in una decina di paesi.
 E' una scrittrice di successo che racconta le sue storie servendosi di una delle sue lingue d’adozione, l’italiano, quasi a rivendicare una distanza critica nei confronti di un destino subito per anni, da lei come dalla sua terra..
Il paese dove non si muore mai è il suo primo romanzo, pubblicato in Francia da Actes Sud e in corso di traduzione in una decina di paesi.
La ragazzina che dice «io» ne Il paese dove non si muore mai ha sette anni, poi tredici, poi ventidue. Attraversa l'infanzia e l'adolescenza in un paese duro come l'Albania di Enver Hoxha, misurandosi con le questioni piccole e immense che attraversano la testa dei bambini e con il silenzio di una società che non ammette domande.
Dall'infinità dell'universo al frastuono spaventoso delle esercitazioni militari, dal piacere proibito dei libri letti di nascosto al terrore della «puttaneria» che sembra essere la natura stessa delle donne in una società chiusa e maschilista, non c'è pagina di questo libro che non tocchi con levità e ironia un nodo profondo, un dolore segreto, un divieto inaccettabile. Questa ragazzina si chiama Ina, poi Eva, poi Ornela, pur essendo sempre la stessa persona: come a dire che in questo piccolo destino individuale c'è la storia stessa dell'Albania, declinata tutta al femminile, dall'incombere di Madre-Partito ai silenzi dolorosi di una famiglia matriarcale, dove il padre è stato incarcerato per ragioni sconosciute e diventa poco a poco un corpo estraneo da espellere e dimenticare. C'è un'intensità tutta speciale in questa narrazione che procede per quadri e per tocchi brevi e visivi, nella storia di una donna che ha imparato a difendersi e a odiare senza perdere la magia dell'infanzia, la capacità di sognare e di assaporare la vita. Non c'è pacificazione nemmeno nel ricordo, sembra dire Ornela Vorpsi. Ma c'è, in questo romanzo affilato e raro, la capacità di sposare comicità e violenza, la scoperta dell'ironia come grimaldello per forzare le porte dell'indicibile.







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