LA PASQUA FREDDA E SENZA LUCE DI ENRICO TESTA
Data: Sabato, 22 marzo 2008 ore 18:38:11 CET
Argomento: Rassegna stampa


PASQUA DI NEVE Einaudi. Pagine 136. Euro 11,00 La Pasqua fredda e senza luce di Enrico Testa Con la sua nuova raccolta Enrico Testa sembra togliere, fin dal titolo, le ultime speranze di resurrezione. Le mitologie poetiche erette a contrastare la caduta dei legami di senso sembrano non reggere più: il culto delle radici diventa "la delusione dell'origine", il dialogo con i morti diventa "la mancata intercessione dell'ombra", il dolore della condizione umana è "finta bellezza". Resta, in questi versi, un'attesa senza conforto, una separazione radicale senza prospettive di congiungimento. Questa condizione accomuna le voci diverse che si alternano nel libro, accostandosi e confondendosi con quella del poeta. Una fraternità di fantasmi senza illusioni di riscatto.
Enrico Testa è nato nel 1956 a Genova, dove insegna Storia della lingua italiana all'università. Tre le sue raccolte poetiche: Le faticose attese (San Marco dei Giustiniani 1988), In controtempo (Einaudi 1994), La sostituzione (Einaudi 2001) e Pasqua di neve (Einaudi 2008). Fra i suoi saggi, presso Einaudi, Lo stile semplice (1997) e Montale (2000).  M.Allo

Di B.Garavelli una recensione del quarto libro poetico di Enrico Testa, docente di Storia della lingua italiana all'Università di Genova

 

 

 

A tutti sarà capitato di vivere l’esperienza di una Pasqua fredda, quando si è colpiti da un gelo inatteso dopo il primo fiato di primavera. Enrico Testa ce lo racconta in versi, ma la sua Pasqua di neve è una riflessione molto più ampia e desolata, sulla freddezza che cala sull’anima, sul gelo in cui si sente perso chi non ha fede. La sua neve ha lo stesso peso di una cappa plumbea, la stessa consistenza dell’«enorme broccato musicale / smangiato dalle tarme» con cui la religione, se non resa viva dalla fede, tenta di riparare, inutilmente, dalla paura della morte. Con questo quarto libro poetico Enrico Testa, docente di Storia della lingua italiana all’Università di Genova, aumenta il grado della sua comunicabilità e al tempo stesso preme sulla leva di una visionaria affettività negativa, che coinvolge anche aspetti autobiografici. Il suo discorso è più affabile, il suo parlato più scopertamente colloquiale, alla Sereni, immerso in una vitalità sospesa da 'strumenti umani', in una quotidianità che dai viaggi più o meno a largo raggio (nella sezione 'Baltiche') passa ai gesti di tutti i giorni, nel proprio territorio operativo. Ma non rinuncia a esplorare le possibilità riflessive, per non dire filosofiche, del discorso poetico, un po’ ricostruendo una filosofia negativa vicina a quella del primo Montale (per rievocare il mondo c’è «solo una memoria avara e secca»). È un percorso di accoglienza, anche: di stili, registri, voci diverse. Non le 'orribili favelle' dantesche, ma i punti di vista di vari personaggi, messi in luce da una prosa assoluta senza il minimo ricorso a strumenti poetici, come nella sezione 'L’anniversario' e in Al Giardino botanico, o da una poesia percorsa da stupori, continui cambiamenti di rotta, da un inventario ininterrotto di perdite, rinunce, come in Discorso dell’ostaggio. È un grido sottovoce quello di Enrico Testa: l’assenza di ogni percorso vitale, di ogni appiglio, finisce per diventare tensione verso la luce, confessione rabbiosa da una ricerca inappagata. In questo senso il libro, sospeso tra un pesante senso di prigionia nel mondo e una consunta speranza di pietà «per questo misero branco di sperduti», è quasi una summa della poetica più negativa del Novecento, ma anche di alcune tendenze stilistiche già nuove, come il ricorso a frammenti di un discorso narrativo e il prolungarsi dei testi in una struttura a poemetto. La scena del mondo si deforma: la preghiera diventa sonno. Le persone amate, come in un passo biblico, sembrano armarsi per impedirci di tornare a riva. Sui 'trespoli del bar' siedono demoni minacciosi. Ma l’ombra di una nuvola che sembra accompagnarci è forse quella della 'mamma che si muove' con noi.
E il desiderato incontro con gli 'stimati invisibili' diventa brivido, assenza che raggela ogni cosa.







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