Cyber war? Attenti alle ritorsioni
Data: Giovedì, 13 febbraio 2003 ore 09:00:00 CET
Argomento: Rassegna stampa


Il lavoro dell'amministrazione Bush in preparazione di un piano per gli attacchi alle infrastrutture informatiche dei "Paesi nemici", raccontato dal Washington Post venerdì scorso, ha suscitato molta attenzione soprattutto perché è stato collegato a una possibile offensiva cyber nell'ambito dell'eventuale guerra all'Iraq.

Gli scenari disegnati dal quotidiano statunitense evocano "soldati ai terminali dei computer che invadono silenziosamente le reti di paesi stranieri per fermare il funzionamento dei radar, disattivare le strutture che erogano energia elettrica e i servizi telefonici".

Il piano è previsto dalla National Security Presidential Directive 16, definita "segreta" dal Post, e firmata da Bush lo scorso luglio.
Si tratterebbe di un progetto che va molto oltre le esigenze immediate del possibile attacco all'Iraq e tutt'ora lascia irrisolte numerose questioni essenziali di strategia, dottrina e di procedura. Coinvolti sono il Pentagono, la Cia, l'Fbi e la National Security Agency.

Per coordinare il lavoro delle varie agenzie e quello degli esperti di istituzioni esterne al governo americano e delle aziende coinvolte, il 22 gennaio si è svolta una riunione al Mit (Massachusetts Institue of Technology) durante la quale sono però stati espressi alcuni dubbi sulle possibili conseguenze di un attacco di questo tipo.

Dubbi che riguardano per esempio la vulnerabilità delle reti informatiche degli Stati Uniti a eventuali contrattacchi: tenuto conto anche della dipendenza enorme dell'economia e della società americana dai network e soprattutto considerata l'insufficiente difesa fino a oggi approntata per queste infrastrutture.

Alcuni esperti interpellati dai media hanno inoltre ridimensionato i possibili effetti di un attacco informatico all'Iraq. Mike Knights del gruppo editoriale Jane specializzato in questioni di difesa ha per esempio sottolineato in una intervista alla Bbc come l'Iraq non sia "un'economia cablata" e come tutti i computer del paese che contengono ed elaborano informazioni decisive non siano connessi a Internet e quindi non vulnerabili agli attacchi.

Soltanto 12 mila dei 23,5 milioni di iracheni sarebbero connessi alla rete.

Così, notano con ironia su The Register, alla fine anche chi ha dimostrato di giudicare credibile un attacco informatico all'Iraq finisce per ammettere che si tratterebbe di un intervento "materiale" delle truppe che, individuati i nodi informatici e di telecomunicazione strategici, interverrebbero per disattivarli o controllarli.

Luigi Gavazzi







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