LO SCRIGNO LIRICO DI EMILIO ARGIROFFI
Data: Domenica, 09 marzo 2008 ore 17:46:06 CET
Argomento: Rassegna stampa


Gli usignoli di Botonusa  (Rubbettino Editore)  "Ciò che conta, in definitiva, è ritrovare in sè il canto degli usignoli, come accade a me di udire sui fitti rovi del piccolo torrente di Botonusa.Forse ciascuno di noi li ha ascoltati, almeno una volta, altrimenti- io credo- prima o poi li ascolterà, quando meno se lo aspetta". Emilio Argiroffi "Mi rifugio in te/ Isola parola/ Cerco la strada/ Ardua sul crinale del monte.." Quando si è finito di leggere "Gli usignoli di Botonusa" rimane l'eco di sillabe dolci e sospiri, unita a echi lenti, lontani aritmici: è la storia, l'epos storico che risale.Il mito roboato sonoramente da tanti verseggiatori è fatto rivivere dalle cose e dai sentimenti, rinasce concretamente e dolentemente nel poeta, che porta con sè secoli e secoli." A. Piromalli
Il polo tematico della memoria   prendendo avvio da motivazioni percettive si configura come punto di riferimento di un procedere della rimembranza sul filo della gradualità di significati che hanno il loro significante nella duplice sfera del privato e dell'incoscio collettivo....Il linguaggio estremamente colloquiale che Argiroffi utilizza lungo l'intero arco dell'avventura poetica, esprime una significazione in bilico , a metà strada, e in termini di forte efficacia espressiva tra rimembranza , si diceva, e realtà: ne consegue una forte tensione spirituale verso le vittime della Storia, e al contempo una implicita condanna del protagonismo della storia stessa." Walter Mauro
"Non una lacrima si vide/ Nel mare/Il dolore è chiuso/ Nello scrigno di pietra   ..."Dice Nantas Salvalaggio "....E' come un lavacro primitivo , nelle turbolenti acque di un fiume in piena. E c'è di tutto in quelle acque:ciuffi di erba strappata ai margini, fiori morti, tronchi d'albero."
"Nell'autunno del golfo/ Quanti azzurri/ Giulia/E le parole d'Ovidio.
Chi era Emilio Argiroffi?
Mandanici, 1922 – Taurianova, 28 maggio 1998) è stato un medico, politico e poeta italiano.
Senatore del Partito Comunista Italiano per tre legislature; relatore della legge sull'inquinamento da rumore e sulla istituzione degli asili nido; sindaco di Taurianova dal 1993 al 1997. Autore di numerose raccolte di poesie; premiato al Premio Strega; vincitore di numerose rassegne regionali e nazionali.Dice di lui Maria Luisa Spaziani:"  uomo politico inesauribile parlatore, brillante narratore conviviale,amante delle sorprese e dei paradossi,e lettore raffinato di quanto di meglio vi sia da leggere".
Maria Allo

In ricordo di Emilio Argiroffi di Carmelina Sicari Voce dei “senza voce”

E così infine Emilio l’ha incontrata, la signora oscura avvolta dalle nebbie che covava al fondo della sua poesia. L’ha incontrata faccia a faccia e certo con il suo fare ironico e cavalleresco ha scherzato sulla sua dipartita e su quell’appuntamento a cui da tempo era volto il suo sguardo. L’ironia di Emilio colpiva per la sua penetrante intelligenza, traspariva nel gergo familiare e nell’oratoria pubblica.
Nella poesia invece c’era l’aspetto solenne e severo del sentimento e della passione civile.
Emilio Argiroffi ha riassunto nella sua poesia l’aspetto pubblico di uomo impegnato e privato del fine dicitore di versi, degli amati classici.
E’ giusto ritornare sul discorso del poeta Emilio Argiroffi non solo per esprimere sgomento e rimpianto, ma per coglierne la singolare unicità. Poeta della parola e dell’immagine, fu anche e lo è per sempre, perché questo è il dono della poesia, il superamento del tempo e dell’oblio, poeta degli ultimi, dei diseredati, dei senza voce.
Mai simile contrasto in modo potente si è espresso con tanta evidenza e soprattutto ha prodotto notevoli frutti in efficacia espressiva. In genere infatti il poeta dell’orecchio non coincide con quello del cuore, secondo la definizione leopardiana abbastanza impietosa a proposito del Monti. In Emilio Argiroffi il poeta dell’orecchio e dell’immaginazione coincide con il poeta del cuore. Ed ecco che la sequela di splendide metafore, l’anafora, le allitterazioni si coniugano in maniera prodigiosa con i temi sociali. Ecco che Argiroffi si candida ad essere insieme Neruda e D’Annunzio, l’immaginifico per eccellenza.
Quando la sua vocazione poetica si espresse a Reggio c’era un gruppo di intellettuali tra cui Tonino Monorchio, filosofo, il poeta-drammaturgo Rodolfo Chirico, il poeta-medico Carmelo Puntorieri. Anche Argiroffi era poeta e medico, aveva costruito la sua vocazione sociale e il suo impegno civile a fianco delle raccoglitrici di ulive della Piana, a fianco dei poveri e aveva collocato tali casi a fianco dei diseredati del Sud America, aveva elevato a misura universale i dati della sua esperienza quotidiana, così come Pirandello coniugava i casi della Sicilia con la dimensione europea di Bonn. Noi prestavamo orecchio, io e gli amici che ho citato, al suono della sua voce ed alla man veloce che a volte trasferiva nei disegni le impressioni della realtà.
Quanto durò il sodalizio poetico-filosofico dei Villini Svizzeri? Quanto la tardiva seconda giovinezza nostra. Poi lui divenne poeta quasi vate della nostra realtà. Da I grandi serpenti miei amici, che fu la prima raccolta poetica, a Le stanze del Minotauro, fino alle ultime raccolte, egli ha trasferito nella parola il barocco quasi sfinito e struggente della sua origine siciliana, il senso della morte che nel barocco si annida nella dimensione europea.
Ne I grandi serpenti esiste qualcosa d’altro: una dimensione asiatica, il mito non solo greco ma indoeuropeo, come ne Le stanze del Minotauro. Sono le due raccolte che amo di più. Il rapporto col mito è lì intenso e carico di allusivi significati, indaga nell’inconscio individuale e collettivo, giunge nel sottosuolo per riemergere nella realtà putrefatta a tratti ma rinnovata da quel sentimento civile che era il leit-motiv preciso del riscatto individuale e collettivo.
La solarità della poesia rispondeva all’elemento greco della sua condizione di poeta, l’oscurità del mito asiatico alla dimensione globale mediterranea della sua natura. Ricordo l’impressione che gli facevano notare i poeti che erano riusciti a cogliere nel miscuglio della lingua i più arditi contrasti perché era consapevole fino in fondo della sua contraddizione.
Lo sforzo costante e spasmodico era quello di riportare tale contraddizione nella lingua e nella parola, e di renderla feconda. Perciò a volte le sue composizioni erano ripetitive ed avevano il sapore delle nenie. Ricordo quella, su Vermicino, sul bambino sprofondato nel pozzo, il pozzo del Minotauro. La rileggeva ad ogni occasione in forma parossistica. Quella nenia riassumeva tutte le contraddizioni, il trenos greco, il mito subacqueo del pozzo e del Minotauro, il tema sociale.
Il cuore di cantastorie si è ora fermato, ma non la sua parola.
Ci sia consentito tributargli questo dono di lacrime e parole così come può essergli gradito e come forse si aspetta col suo sorriso ironico nell’Olimpo dei poeti. Forse i suoi Mani che ancora si aggirano fra noi ne saranno soddisfatti.







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