06.03.2008. Mentre in questa campagna elettorale
slogan e programmi si rincorrono fra i
vari schieramenti, il dibattito in corso
registra un grande assente: il tema dell’educazione
e del capitale umano. Che
questo sia il fattore fondamentale dello
sviluppo, viene ribadito ormai da
tempo ed in maniera molto autorevole.
Da ultimo, qualche giorno fa, sulle
colonne di questo giornale, il segretario
generale di Unioncamere scriveva che
«si deve ripartire dal rispetto altissimo
per la funzione
educativa,
(…) un investimento
sul
futuro, sui cittadini
di domani
». Nonostante
ciò, la
decisività della
questione
stenta ad essere
percepita dai nostri politici; probabilmente
non la si considera rilevante
dal punto di vista elettorale.
Recentemente l’Ocse ha pubblicato i
risultati dell’indagine svolta nel 2006,
a livello internazionale, sulle competenze
dei quindicenni scolarizzati nelle
aree della lettura, della matematica
e delle scienze (Progetto Pisa). I risultati
in matematica hanno evidenziato
che il 32,8% degli studenti italiani si è
collocato al di sotto del livello 2, considerato
come il livello sufficiente, rispetto
ad una media Ocse del 21,3%.
Considero degni di molta attenzione
quelli inerenti la capacità di lettura per
cui risulta che il 50,9% degli studenti
italiani si colloca al di sotto del livello 3
(considerato come la sufficienza, rispetto
ad una media Ocse del 42,8%),
con un peggioramento rispetto al
44,5% registrato nel 2000 (rispetto ad
una media Ocse del 39,6%). In generale
l’Italia si è collocata agli ultimi posti
della classifica della qualità dell’istruzione.
Se andiamo a disaggregare tali risultati,
la situazione per le regioni meridionali
è molto più drammatica. Per
quanto riguarda ancora la lettura, nelle
isole il livello 1 non viene raggiunto
rispettivamente dal 20,2% (rispetto al
5,0% del nord-est) mentre il livello 5
viene raggiunto solo dall’1,8% (rispetto
al 9,3% del Nord-est). E’ un divario che
non può non interrogare la politica,
specie quella regionale, che vuole mettere
al centro lo sviluppo del Paese.
Non ci può essere infatti sviluppo economico
e sociale senza crescita di capitale
umano; questa è la prima emergenza
da affrontare, specie per la nostra
regione.
Detto questo, bisogna anche interrogarsi
su come sono stati spesi finora i
soldi in questo settore. Alcune statistiche
a livello europeo mostrano, ad
esempio, che in questi anni l’ammontare
delle risorse economiche destinate
ai livelli di istruzione primaria e secondaria
è risultato sostanzialmente
in linea con i livelli medi europei. Allora,
se da un lato gli investimenti non
mancano e dall’altro il livello di apprendimento
dei nostri studenti è così
deludente, evidentemente c’è anche
un problema di efficienza della spesa.
Questo fenomeno va decisamente analizzato,
per non correre il rischio di
perpetuare sprechi. Da troppo tempo,
nel campo dell’istruzione, siamo abituati
a roboanti proclami, cui spesso
però segue il vuoto dei fatti o addirittura,
in qualche caso, scelte che vanno
nella direzione contraria a quanto dichiarato.
Altro esempio: al di là di tutte
le dichiarazioni circa l’importanza
dell’istruzione universitaria - anche in
vista della preparazione al mondo del
lavoro - ancora statistiche europee mostrano
quanto sia stato penalizzato in
Italia il settore universitario dove gli investimenti
sono andati via via diminuendo,
in controtendenza rispetto alle
scelte di altri paesi europei. Tra l’altro
ciò è accaduto anche nel periodo di
avvio della riforma del 3+2, che ha
profondamente cambiato la formazione
universitaria con l’intenzione di favorire
l’inserimento dei laureati nel
mondo del lavoro. In questo anche l’ultimo
governo non ha certamente fatto
eccezione, tradendo le aspettative di
molti che vi avevano riposto fiducia.
Un qualche cambio di rotta è urgente,
ed è qui che la politica deve innanzitutto
riconoscere che, in questi anni,
la burocratizzazione ed un eccessivo
centralismo hanno mortificato lo sviluppo
del nostro Paese. Non basta limitarsi
ad elencare obiettivi nei propri
programmi elettorali, a volte tanto ambiziosi
da apparire utopici; il problema
è di metodo: rilanciare uno sviluppo
basato sull’intraprendenza della gente,
sul capitale umano, sulla sussidiarietà,
sull’operosità di tanti che quotidianamente
operano per il bene comune.
Su questo, è necessario che si abbia il
coraggio di indicare la propria posizione.
Poi ciascuno potrà fare le proprie
scelte in maniera responsabile. E’ forse
chiedere troppo?
SALVATORE INGRASSIA (da www.lasicilia.it)