La certezza che sotto ogni pietra della Lucania si nasconda «l'ombelico dell'inferno», per Sinisgalli diventa anche il pozzo da cui attingere il mistero della vita stessa; meraviglia e scoperta sono nascosti nel silenzio sterminato, padrone e «spirito» poetico della terra dell'Agri e del Basento.
"Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse."
- Montemurro (PZ) 1908 - Roma 1981; poeta e critico d'arteIl padre emigra in America poco dopo la sua nascita. Giovane brillante e versato negli studi scientifici, Leonardo Sinisgalli nel 1925 si trasferisce a Roma dove studia ingegneria e matematica, e matura intanto la sua vocazione alla poesia. Il suo primo volume di versi, Cuore, compare nel 1927, e dal 1932 inizia a collaborare alla "Fiera Letteraria" di G.B. Angioletti, mentre si occupa di architettura e critica d'arte. Con Falqui, de Libero e Ungaretti è molto vicino alla "Scuola di via Cavour". Frequenta, con de Libero e Luigi Diemoz, la "terza saletta" del Caffè Aragno e scrive presentazioni di artisti che espongono alla Galleria della Cometa. Su "Belvedere" del 1942 (diretto da Falqui e de Libero) pubblica saggi su Scipione e Donghi (è sua anche la prima monografia su Donghi edita da Scheiwiller). Gli anni Quaranta sono di intensa attività letteraria (Horror vacui , Furor mathematicus), ma forse il momento in cui la complessa cultura sinisgalliana raggiunge i suoi migliori risultati è l’inizio del decennio successivo, con la fondazione della rivista Civiltà delle macchine (1953-1959), un tentativo di far convivere cultura umanistica e scientifica, in un momento di ricostruzione industriale.
Come poeta, Sinisgalli muove da suggestioni ungarettiane rivolgendosi alla ricerca di una secca essenzialità della parola, è poeta tra i più rappresentativi della stagione ermetica.
La sua produzione poetica degli anni Trenta è compendiata nel volume Vidi le muse (1943). Tra le sue prose è da ricordare Un disegno di Scipione e altri racconti (1975). (a cura di M.Allo)
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Vi proponiamo il saggio di
Maurizio Cucchi Il Sud di Sinisgalli tra scienza e letteratura G li anniversari servono quanto meno a farci tornare sull’opera di poeti e scrittori: nel 2008, per esempio, compirebbero cent’anni due autori diversi e diversamente ricordati. Il primo è Cesare Pavese, la cui memoria, nel corso di questi decenni seguiti alla sua morte tragica, ha subito oscillazioni varie, che però non ne hanno fatto sfiorire l’evidenza, l’originalità, e per certi aspetti il mito. La sua opera, soprattutto per giovani e giovanissimi, è infatti verosimilmente destinata a non conoscere oblìo. Almeno finché qualcuno continuerà a leggere, e a pensare all’esistenza come a un’avventura splendida ma a volte drammatica. Sorte postuma diversa quella di Leonardo Sinisgalli, che nasceva in provincia di Potenza, a Montemurro, il 9 marzo del 1908 (ed è scomparso nel 1981). I suoi cento anni, dunque, si compiono giusto domenica. Non credo di sbagliarmi, però, se dico che più passa il tempo e meno, ingiustamente, ci ricordiamo di lui. Eppure, per alcuni aspetti tutt’altro che marginali, Sinisgalli merita ampiamente di essere riletto e riascoltato.
La sua prima fortuna letteraria è legata all’avanguardia degli anni Trenta e Quaranta, e cioè l’avanguardia ermetica, che aveva imposto - in modo particolarmente evidente nel poeta lucano - due modalità essenziali di scrittura: l’assoluta economia e asciuttezza della parola e del linguaggio e quella «essenzialità analogica» (Mengaldo) che già si era manifestata soprattutto in Ungaretti e Quasimodo. Su questa sorta di doppia essenzialità, entro un’idea molto novecentesca di poesia, Sinisgalli inseriva realtà ambientali della sua terra, colori del suo meridione (in fondo come gli stessi Quasimodo e Gatto), realizzando una sorta di post-simbolismo e di parziale surrealismo di identità e coloritura mediterranea. Era il tempo di libri come Vidi le muse e I nuovi campi elisi,
usciti nel ’43 e nel ’47, era il tempo di quella notissima (almeno un tempo) poesia, che dice: «I fanciulli battono le monete rosse / contro il muro. Cadono distanti / per terra con dolce rumore.) Gridano /[…] /La sera / incendia le fronti, infuria i capelli. / Sulle selci calda è come sangue. / Il piazzale torna calmo. / Una moneta battuta si posa / vicino all’altra alla misura di un palmo. / Il fanciullo preme sulla terra / la sua mano vittoriosa».
La forte tendenza antiretorica e antieloquente della poesia di Sinisgalli - che già costituivano un carattere forte e un pregio esemplare - lo porteranno in età più matura alla scelta dell’epigramma, a una poesia decisamente spogliata, ormai, di quelle suggestioni e di quegli aromi che avevano segnato la stagione ermetica. Un esito, insomma, molto coerente, eppure come ulteriormente depurato, sciolto da ogni alonatura poeticistica, vissuto in chiave di pieno controllo razionale. Era il tempo di libri come Il passero e il lebbroso, Mosche in bottiglia e Dimenticatoio,
usciti tra il ’70 e il ’78.
Ma tra gli aspetti più vivi e decisivi dell’esperienza intellettuale di Sinisgalli troviamo sicuramente la sua capacità di far coesistere poesia e scienza, letteratura e matematica. Del resto era laureato in Ingegneria elettronica e industriale, aveva lavorato nel campo della pubblicità, era stato dirigente di Olivetti, Pirelli e Eni, nonché fondatore di una rivista intitolata 'Civiltà delle macchine'. Autore di libri in prosa come Furor Mathematicus, Sinisgalli ci insegna a rimeditare su un rapporto troppo spesso assente: quello tra scienza e letteratura, tra arte e matematica.