PIRANDELLO CONTRO D'ANNUNZIO
Data: Mercoledì, 05 marzo 2008 ore 16:57:27 CET
Argomento: Rassegna stampa


Il discorso di Pirandello? Una commedia degli equivoci

Pirandello e il suo tempo (1867-1936)  Sono gli anni in cui l'Italia unificata deve affrontare gravi problemi. La questione romana divide gli italiani sul piano politico e religioso. La guerra franco-prussiana consente all'esercito italiano di entrare in Roma, che diventa capitale del regno. Si attua in questi anni il passaggio dal governo della Destra a quello della Sinistra, guidata da Depretis, con il suo cosiddetto "trasformismo". Nel 1878 muore Vittorio Emanuele Secondo.
1880-1886Il "trasformismo" di Depretis riesce a dare un governo stabile al paese, ma non ne risolve i problemi: primo fra tutti quello sociale. Si rafforza il movimento operaio e nelle elezioni dell"82 si verificano i primi successi socialisti. L'Italia stringe con Germania e Austria la Triplice Alleanza, mentre nel paese prendono forza le correnti militariste. Garibaldi muore nei 1882.
1887-1891Primo ministero Crispi, che intraprende la politica coloniale. Si allarga in Italia e in Europa la questione sociale: nelle maggiori città italiane si costituiscono le prime Camere del Lavoro. Nel 1889 vengono fondati a Messina i Fasci siciliani, che si estendono poi a Catania e a Palermo.1892-1902Nel 1893 si produce in tutta la Sicilia un'impetuosa agitazione sociale. Nello stesso anno avviene lo scandalo della Banca Romana. Nel 1894, in seguito a gravi disordini, viene proclamato lo stato d'assedio per l'intera Sicilia. Nel 1898 la tensione sociale in Italia si aggrava: a Milano il generale Bava Beccaris dichiara lo stato d'assedio, e molti cittadini cadono vittime della repressione militare. 1900: Umberto Primo è ucciso a Monza dall'anarchico Bresci.1903-1910
Dopo la caduta - 1903 - del ministero Zanardelli, l'Italia si riaccosta alla Francia. La vita politica italiana è dominata per oltre un decennio da Giolitti. Il distacco progressivo dagli imperi centrali è stimolato dal nazionalismo. All'interno si inizia una politica di apertura sociale e viene richiesto il suffragio universale. In questi anni l'Italia progredisce economicamente e socialmente; aumenta tuttavia la sperequazione economica tra nord e sud. Giolitti tenta di assorbire sul piano parlamentare le forze socialiste.1911-1917La guerra in Libia - 1911-1912 - termina con la vittoria italiana sulla Turchia. L'introduzione del suffragio universale e il ritiro dell'appoggio da parte dei socialisti porta Giolitti ad accostarsi ai cattolici. Le elezioni del 1913 vedono la vittoria del blocco clerico- moderato, che dà al governo un'impronta conservatrice. Nel 1914, avvengono in Italia gravi disordini sociali, mentre scoppia la prima guerra mondiale. L'Italia interviene nel 1915. Nel 1917 l'esercito italiano subisce la sconfitta di Caporetto. In Russia trionfa la rivoluzione bolscevica.1918-1922Conclusa vittoriosamente la guerra, l'Italia entra in uno tra i periodi più tormentati della sua storia. Il ritorno di Giolitti al governo non ristabilisce l'equilibrio politico. Mentre gran parte dell'Europa è scossa dalla lotta tra forze rivoluzionarie e forze conservatrici o reazionarie, in Italia le agitazioni prendono caratteri di violenza particolarmente aspri e prolungati. Nascono il Partito popolare e il Partito comunista. L'impresa dannunziana a Fiume e i timori della piccola e media borghesia favoriscono le correnti nazionalistiche. Mussolini guida il movimento fascista che giunge al potere nel 1922. In Germania la lotta politico-sociale mette già in pericolo la repubblica di Weimar che ha raccolto l'eredità del disciolto impero germanico. La Società delle Nazioni, fondata nel 1920, è incapace di ristabilire un equilibrio mondiale.1923-1930 Superata la crisi per l'assassinio di Matteotti (1924), che sembrava aver segnato la condanna definitiva per il governo fascista, Mussolini rafforza il suo potere. Nel 1925 viene soppressa ogni libertà, e negli anni seguenti tutte le organizzazioni democratiche sono sciolte. Il crollo della Borsa di New York porta, nel 1I929, a una gravissima crisi mondiale.1931-1936 Germania, Austria e Portogallo cadono a loro volta sotto regimi fascisti; in Russia lo stalinismo soffoca ogni fermento di libertà politica e culturale. L'Italia invade l'Etiopia e dopo averla conquistata (1935-'36) si trasforma in "impero". Hitler riarma la Germania e si appresta a scatenare l'attacco contro le nazioni democratiche e l'Unione Sovietica. Ha inizio la guerra di Spagna. (Da percorsi M.Allo)

 
 Ma eccovi  il discorso di  Pirandello. ..

Pascoli è morto da un pezzo, non ancora sessantenne; d'Annunzio invece é tutt'altro che liquidabile nel 1921: alla fine dell'anno, con la data simbolica del 4 novembre uscirà, il Notturno «comentario delle tenebre» al quale non mancano i connotati di una dirompente modernità. E non a caso é un best-sellers.
Così, anche dopo la morte di Pascoli, e anche dopo i correttivi che non fanno che decantare, in fondo, l'antico giudizio espresso intorno a Myricae, Pirandello non riuscirà ad affrancarsi dalla convinzione del «complotto» ordito contro di lui. L'intramontabile d'Annunzio fa rivivere Pascoli. Se il Vate usurpatore ora domina il campo, incontrastato Pirandello non dimentica che i due «fratelli» amici e nemici si sono tenuti bordone a vicenda, escludendolo.
Ancora ai soliti foglietti di laboratorio occorre rivolgersi per imbattersi nello sfogo aperto di un risentimento sempre vivo . Non datati, gli appunti si collocano dopo il 1912 l'anno della morte di Pascoli, ma forse prima del 1915, data l'assenza di ogni accenno al poeta soldato che cercherà di riscattare il discutibile divismo di sempre vestendo i panni del salvatore della patria.


Nessuna allusione, infatti, all'«avventura» dannunziana che al contrario informa le accuse mosse contro il retore nel 1920, nella commemorazione di Verga, davvero incomprensibile se non sullo sfondo dell'impresa di Fiume. Qui, in combutta, due poeti si contendono la successione di Carducci, e a dispetto della scarsa presenza di opere di d'Annunzio nella sua superstite Biblioteca, Pirandello rivela un'attenta lettura del Commiato, la lirica con la quale Alcyone (1903) veniva dedicato “all’ultimo figlio di Virgilio”.


Di antico e nuovo livore si colorano tre foglietti dispersi e mutili:
«Tra i tanti bisogni, pare che il popolo italiano abbia anche questo, perentorio: di sapere chi debba di tempo in tempo riconoscere e considerare suo maggior poeta vivente.
Morto Giosué Carducci, che per tale fu meritatamente riconosciuto e considerato lungo tempo, il popolo italiano si trovò davanti due candidati al posto di maggior poeta vivente: Gabriele d'Annunzio e Giovanni Pascoli.


I due candidati si erano già tra loro riconosciuti e considerati. L'uno su per una costa, l'altro su per l'altra, tutti e due alla fine si sarebbero ritrovati su la vetta del monte, s'intende della gloria.
Morto Giosué Carducci, i due candidati ebbero la cattiva ispirazione di darsi la voce (oh, velata di pianto) da una costa all'altra del monte
- Fratello... - Ci siam noi, coraggio!
- Fratello... - Tu...”
rispose loro un urlo di protesta e d'indignazione del popolo sinceramente commosso. Poi l'uno, senza aspettar l'altro, ghermì dal letto del morto una torcia funeraria e saltò su la vetta, solo.
La chiamò fiaccola, lui, quella torcia da morto, e si mise ad agitarla lassù, come tutti sanno, proclamandosi da sé unico erede; e nessuno, a nome del testamento del poeta, rispose no.


Ma si trattava, in fin dei conti, della gloria.
Io non intendo di negare a Gabriele d'Annunzio il titolo e il vanto di maggior poeta vivente d'Italia, tanto più che egli, a mio modo di vedere, risponde in tutto e per tutto al tipo del letterato italiano quale la tradizione così detta classica, o la retorica per consolazione nostra lo foggiava: cioè un letterato che poteva anche darsi la pena di pensare per conto suo, purché i pensieri tolti in prestito altrui sapesse convenientemente vestire d'una forma che, non nata dentro a un tempo col pensiero, doveva naturalmente esser soltanto esteriore, senza intimità quindi e, per inevitabile conseguenza, artificiosa; un letterato la cui arte, priva d'un contenuto ideale suo proprio, doveva per forza ridursi a una elegante mera esercitazione verbale, di cui essa, la Retorica»".


La partita con d'Annunzio non si chiude però sulla livida ma rassegnata constatazione del suo primato retorico bene accetto dagli Italiani. Quando il «Natale di sangue» sta per concludere la «penultima ventura», la commemorazione degli ottant'anni di Verga offre a Pirandello, il 2 settembre 1920, l'opportunità di intervenire contro il Vate di nuovo in primo piano con la guerra e ancor più con la Reggenza di Fiume: un protagonismo che non poteva essere più schiacciante.
Opposto allo stile di «cose», ecco lo stile di «parole» - come dire il dantismo e il petrarchismo perennemente antitetici nella nostra storia letteraria. E inoltre Pirandello ribadisce qui un antico assioma: «la vita o si vive o si scrive», ma riferendosi più a sé che a Verga, perché é lui, controfigura del grande conterraneo, ad aver patito l'ingombrante presenza di d'Annunzio.
Pronunciando il Discorso catanese, alla vigilia del trionfo teatrale, il frustrato rancoroso non ignora quanto l'amico Tozzi ha appena affermato: la «salute» di Verga può essere apprezzata solo dopo la «malattia» di d'Annunzio.
Pirandello gli farà eco: «sazi e stanchi» della «troppa letteratura» dannunziana, ora i giovani si rivolgono al sobrio maestro siciliano. E infine concluderà:
«[...] la vita o si vive o si scrive. Dove non c'é la cosa, ma le parole che la dicono; dove vogliamo esser noi per come la diciamo, c'é, non la creazione, ma la letteratura, e anche letterariamente, non l'arte ma l'avventura, una bella avventura, che si vuol vivere scrivendola o che si vive per scriverla».
L'insistenza sull'«avventura» va decifrata attraverso la vicenda fiumana: la massima ribalta sulla quale d'Annunzio sia riuscito a esibirsi. Ma se brucia a Pirandello, quest'ennesima rappresentazione in grande stile veniva salutata - ironia della sorte - proprio dal Verga e proprio mentre l'erede designato lo giudica depresso dall'abile millantatore, vittima com'é del falso oro che ha abbagliato gli italiani. Verga approva la marcia di Ronchi e soffre per la «vittoria mutilata» senza mezzi termini, aprendosi con la Sodevolo il 4 ottobre 1919:
«[...] La sola cosa che mi resta é il pensiero di questa nostra Patria che lotta con amici e nemici in questo momento. Ma vivaddio [...] ci sono degli uomini che hanno del ginger come d'Annunzio»,
e insisterà, anche lui contro «Gegoia», il «basilisco Nitti», indirizzando, il 15 maggio 1920, un entusiastico saluto all'impresa di Fiume:
«Viva d'Annunzio, e chi sta con lui».
Di ginger, certo, abbonda il Reggente del Carnaro e visto così, nel retroscena, il Discorso di Pirandello si risolve davvero, per qualche aspetto, in una commedia degli equivoci...






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