TRACCE DEL MITO NELL'OPERA DI BUFALINO
Data: Marted́, 04 marzo 2008 ore 19:40:52 CET
Argomento: Rassegna stampa


IL SECOLO SCORSO ha mostrato

 "Tu mi dormisti con l'ala / aguzza contro il cuore, / e ora come un vento te ne vai. / Io vorrei risentire soltanto / il fragore della tua voce, / sul bruno macigno dell'aria / il tuo coturno distante" .

Poche leggende hanno avuto tanta fortuna nella poesia, nella musica, nell'arte di tutti i tempi, pochi personaggi si sono prestati alla rielaborazione in chiave filosofico-simbolica quanto il mitico cantore della Tracia. Quando l'amata sposa, la ninfa Euridice, muore per il morso di un serpente, Orfeo sfida con la sua arte le potenze dell'Ade e ottiene di riportarla tra i vivi a patto che, durante il cammino, non si volti a guardarla in viso. Orfeo trasgredisce e si volta, perdendo Euridice per sempre. Nelle fiabe, ogni forma di divieto preannuncia l'esito fatale. L'antica leggenda di Orfeo ed Euridice narra la vicenda di una resurrezione impossibile; la conclusione è quindi scontata. Nelle successive rielaborazioni letterarie della storia, però, il punto focale non è più il divieto, bensì il gesto di Orfeo. Perché Orfeo si volge a guardare, nonostante il divieto? Per troppo amore di Euridice o per eccessivo amore di sé? Da Virgilio a Bufalino il percorso è segnato da un progressivo disincanto: alla storia d'amore si sovrappone il mito del poeta, la cui musa si nutre, volontariamente e necessariamente, di assenza e lontananza, di dolore e di morte.

Ma chi è Gesualdo Bufalino?
Comiso, Ragusa, 1920 - 1996)
Il padre “era fabbro ferraio, ma era istruito, gli piacevano i libri, il teatro, la musica in piazza” (“La luce e il lutto”): ed è proprio il genitore ad instillare nel piccolo Gesualdo la passione per la lettura, dalla “Divina commedia” illustrata dal Doré al “Marco Visconti” di Tommaso Grossi. Al liceo, dapprima frequentato a Ragusa ed in un secondo tempo a Comiso, Bufalino ha tra i suoi insegnanti un valente dantista quale Paolo Nicosia. Nel 1940 s’iscrive alla Facoltà di lettere dell’Università di Catania, ma nell’agosto del ‘42 è richiamato alle armi; frequenta un corso per Allievi Ufficiali a Fano, durante il quale conosce e fa amicizia con il giovane intellettuale cattolico Angelo Romanò. Nell’autunno del 1944 s’ammala di tisi e viene ricoverato nel sanatorio di Scandiano, ove ha libero accesso alla biblioteca del primario, il dottor Biancheri, persona di grande cultura, proveniente da una famiglia di tradizioni umanistiche; nel maggio del ‘46 ottiene d’essere trasferito in un sanatorio della Conca d’Oro, fra Palermo e Monreale. Dimesso alcuni mesi dopo, si laurea nel marzo del ‘47 ed inizia la sua attività di insegnante, destinata a svolgersi prevalentemente - per un quarto di secolo, dal ‘51 al ‘76 - presso l’Istituto Magistrale di Vittoria, poco distante da Comiso. Nel corso di questo lungo arco di tempo, scrive e traduce - Baudelaire, Toulette, Giraudouxtra gli altri - senza azzardare la strada della pubblicazione, legge e vede molti film (soprattutto francesi), organizza proiezioni per cineclub e viaggia, in Italia ed all’estero. Nel ‘50 inizia la stesura del suo romanzo d’esordio, “Diceria dell’untore”, che viene completata solamente nel 1971: dopo un ulteriore decennio di revisioni, l’opera vede la luce nell’81 - grazie all’interessamento ed alle pressioni di Elvira Sellerio e di Leonardo Sciascia - riscuotendo un vivo successo di pubblico e di critica, sancito dalla vittoria al premio Campiello. Dall’82, egli collabora con vari quotidiani e riviste, mentre la sua attività di scrittore diviene intensa: si va dalla poesia (“L'amaro miele”, 1982 ) alla prosa d'arte e memorialistica (“Museo d'ombre”, ancora dell’82), dalla narrativa (“Argo il cieco”, 1984; “L'uomo invaso”, 1986; “Le menzogne della notte", 1988, che gli frutta il premio Strega) agli elzeviri ("Cere perse", 1985; "La luce e il lutto", 1988), dalle antologie ("Dizionario dei personaggi di romanzo", 1982; "Il matrimonio illustrato", 1989, redatto in collaborazione con la moglie Giovanna) al romanzo giallo (“Qui pro quo”, 1991). Nel 1992 viene dato alle stampe il bel volume fotografico “Il tempo in posa. Immagini di una Sicilia perduta”; da segnalare, infine, gli afroismi di “Bluff di parole” (1994), le poesie de “I languori e le furie” (1995), il romanzo “Tommaso e il fotografo cieco ovvero il patatràc” (1996).(a cura di M.Allo)

 Vi proponiamo di Michele Angelo Purpura  Orfeo in Sicilia:tracce del mito nell'opera di Bufalino
una notevole capacità nella rielaborazione degli argomenti mitici tratti dal mondo classico: dai testi teatrali e dalle versioni cinematografiche si è giunti alla sperimentazione del fumetto1; tralasciando l'intramontabile ruolo che la poesia ha sempre avuto in ambito mitico (la figura di Orfeo è simbolo per eccellenza del "fare poesia"), si registra nel Novecento, e nei primi anni del nuovo secolo, all'interno sia della letteratura italiana che della straniera, un accresciuto interesse per l'approccio al mito tramite la forma narrativa del romanzo e del racconto.

Tale produzione può essere rappresentata dal siciliano Gesualdo Bufalino: la sua opera è orientata in modo costante verso la rivisitazione, in un certo senso postmoderna e dissacratoria, del mito2; ad Orfeo ed Euridice si legano, principalmente, Diceria dell'untore3, il più celebre romanzo dello scrittore comisano, e "Il ritorno di Euridice", uno dei racconti più affascinanti de L'Uomo invaso.
Si concorda con Zago quando afferma che lo scrittore siciliano è "un autore capace di coniugare in modo inconfondibile pena esistenziale e spasimo retorico, perplessità metafisica e scrittura iperletteraria, e insomma di dar voce, come pochi, allo smarrimento nichilistico del "secolo breve", quello che adesso ci siamo lasciati alle spalle, nei suoi snodi finali, senza però rinunciare ad una precisa identità isolana di luoghi, sentimenti, colori", in N. Zago, Racconto della letteratura siciliana, Catania, Maimone Editore, 2000.
In Diceria, "dove si gioca molto su melodramma e favola, teatro ed enfasi, dove s'intrecciano mito, simbolo, gioco esistenziale, motivo religioso"5, si opera fin dalle prime righe una rievocazione visionaria del mito discensivo, nekyia immaginaria che diviene centro nevralgico dell'intera narrazione6: "una strada color cenere, piatta, che scorre con andamento di fiume fra due muri più alti della statura di un uomo; poi si rompe, strapiomba sul vuoto"7 rappresenta l'accesso al bufaliniano oltretomba notturno.

Orfeo contempla la morte, assiste alla scomparsa di Marta-Euridice, volta le spalle all'Acheronte e, nel momento finale in cui giunge alla fermata del tram, è sovrastato da un rinnovato fardello d'implacabile attesa tra ricordo e sconforto, che segna definitivamente il divenire fino ad "altra e meno remissibile scelta o chiamata"8.

Orfeo, in Diceria, si misura con l'ignoto attraverso un percorso oscillante tra sogno e realtà che si rispecchia nell'atto dello scrivere, essendo in Bufalino il cantore stesso "immagine del continuo divenire della scrittura, tra indefinito ed esatto"9. È il tema delle approfondite ricerche condotte da Maurice Blanchot10: proprio con il mito di Orfeo l'autore francese ha voluto indicare l'atto creativo, il tentativo di "fare l'opera" attraverso la negazione di sé. Bufalino conduce invece il gioco narrativo tra dramma e farsa in un contesto di dubbio universale, il cui sfondo è la scena teatrale; appaiono numerosi gli spazi che lo scrittore siciliano concede al mito in questione: è ripresa l'ipotetica richiesta di soccorso che Euridice indirizza ad Orfeo e l'ultimo sguardo rivolto in modo consapevole all'amata-dannata11; la partita a scacchi, che il protagonista, novello Orfeo, intraprende con il Gran Magro, allude in modo un po' meno evidente ad una vitale sfida il cui premio è il ritorno alla vita, anche se ciò comporta la definitiva perdita di Euridice12. Anche le parole vengono sottoposte ad un'accurata spremitura: "Marta" in un elementare cambio di vocale appare "morta", evidenziando ancora una volta la radice notturna ed orfica della mitologia di Diceria.

Lo stesso autore mostra, in appendice al testo, i debiti mitologici della narrazione, gli "archetipi vaghi" o "fantasmi culturali" di cui si è servito: tra le ricorrenze mitico-eroiche, Orfeo ed Euridice si collocano in prima fila, mentre la guida-indice dei temi propone la centralità del rapporto tra Eros e Thanatos. Ancora in appendice al romanzo è collocato un "antetesto-paratesto" che comprende un prezioso orpello al sesto capitolo del libro: i versi della Delusione d'Orfeo tra malinconico ricordo e crescente afflizione - "tu mi dormisti con l'ala / aguzza contro il cuore, / e ora come un vento te ne vai. / Io vorrei risentire soltanto / il fragore della tua voce, / sul bruno macigno dell'aria / il tuo coturno distante"13 - rievocano il mito nel solco delle versioni virgiliane ed ovidiane (anche qui l'assenza appare causata da un vento che rapisce).

Nel racconto "Il ritorno di Euridice", tratto da L'uomo invaso, "grande Commedia storico-mitica"14, Bufalino mette in scena un Orfeo molto moderno, "artista monomane che ama più di tutto la grande comparsa"15. "Il poeta", così chiamato nell'intimità da Euridice, in modo da evidenziare affettuosamente alcune mancanze16, non sembra però improvvisare la parte: svolge infatti il compito primario dell'artista alle prese con il concepimento dell'opera. È un Orfeo "riscritto non dalla parte del mito, ma dalla parte di una perversa dominanza della ragione poetica, che ha bisogno dell'evento - la morte di Euridice - per affermarsi"17: Orfeo non si è voltato irriflessivamente a guardare Euridice, perdendola fatalmente, come in un primo momento si crede. La mente del cantore tracio non è punta da "api funeste": egli si volta per compiere il suo dovere. Il gesto, rientrando nell'ambito della volontarietà, appare simile per l'amaro finale a quello riportato nel testo di Pavese "L'inconsolabile" dei Dialoghi con Leucò del 1947. Nello scritto dell'autore piemontese prevalgono le ragioni esistenziali: il nulla che avvolge l'esistenza sembra quasi un tragico presagio della fine imminente18.

In Bufalino il nucleo de "Il ritorno di Euridice" è un'iperletteraria e poetica beffa che pur riprendendo parecchi spunti del racconto mitico originario, come l'interpretazione della necessità del "fare l'opera", o dell'arte come significato conclusivo del mito, non può contenere la profondità dell'archetipo. Di "un'ulteriore de-costruzione della favola dalla parte di Euridice" scrive Borsellino che prosegue accostando l'opera dello scrittore siciliano, patetico e malizioso a suo dire, a quella di Poliziano; in particolare si mettono in relazione i due finali: anche Poliziano era giunto alle conclusioni di Bufalino, scrive, ma "aveva attribuito quell'atto ad altre, non altrettanto coscienti, motivazioni"19. Tuttavia si ritiene non del tutto convincente l'accostamento dei due finali: nel testo di Poliziano Orfeo è tragicamente ucciso durante un festoso baccanale e può felicemente ricongiungersi con Euridice soltanto post mortem (inoltre non sono rese in modo esplicito le ragioni che lo vedrebbero alle prese con la composizione artistica); in Bufalino, invece, il cantore tracio è totalmente ripiegato nella propria interiorità e ricerca le ragioni dell'arte e della creazione: Euridice purtroppo è vittima di un inganno.
Si può ipotizzare che lo scrittore siciliano si sia accostato in modo graduale ad una sorta di gioco comprendente la menzogna letteraria: in Diceria dell'untore, nonostante sia accennato il motivo della beffa che Orfeo porta avanti a danno di Euridice - nell'appendice al testo, Bufalino definisce Marta "un'Euridice soccorsa solo per finta, da un Orfeo vigliacco che si volta di proposito (lui voleva soltanto visitare l'Ade...)"20 - prevale maggiormente l'atto creativo dell'opera: s'intravede un Orfeo che, pur differenziandosi dall'autore per molteplici aspetti, gli somiglia nel modo d'intendere la Storia, "magistra di niente che ci riguardi" secondo il verso montaliano21. In Diceria è quindi uno strato sotterraneo di genuina autobiografia riconducibile alla lezione orfica di rilkiana memoria: nonostante tenti di negare ripetutamente ogni coinvolgimento diretto, l'autore si scopre attraverso i pensieri non soltanto dell'io narrante, ma anche di tutti i personaggi. L'esegesi di tali pensieri va condotta tenendo conto della tendenza dell'autore a celarsi dietro ad un continuo muro di ironie esistenziali che talvolta mostrano una deformazione - quasi una finzione - della realtà. E' uno sconvolgimento totale che approda, con ricchezza di canto, ad una forma complessa difficilmente definibile. Rilke appare allora il precedente più illustre di tale modo d'intendere l'approccio alla scrittura; con il poemetto Orfeo. Euridice. Hermes del 1904 e con i Sonetti a Orfeo del 1922, Rilke aveva donato nuovo vigore al mito di Orfeo ispirando numerosi autori (la catabasi e lo sguardo del cantore, come temi essenziali per comprendere il mito e la nascita della letteratura vengono trattati in seguito da Brodskij, Segal, Maulpoix, oltre che dagli italiani Merini e Familiari).

Ne "Il ritorno di Euridice" di Bufalino, le inaspettate beffe storico-mitologiche irrompono sulla scena con una forza imprevedibile: è il capovolgimento di ogni luogo comune e di ogni assodato sapere; tale operazione letteraria è condotta fino all'estremo inganno del racconto sviluppato ne Le menzogne della notte22.

Nell'opera dell'autore siciliano il tema orfico può ritenersi presente in modo quasi costante: le "trasferte sottoterra di ogni Orfeo"23, tratte da La luce e il lutto, sembrano evidenziare la continua e immaginaria discesa agli inferi siciliani; nell'opera bufaliniana essi appaiono avvolti non soltanto da notturne e mortifere tenebre, ma anche da luminosità luttuose: riprendendo Pirandello, con il testo più vicino alle problematiche del mito, "vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d'ombra, creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole della nostra isola"24.

Numerosi indizi portano a credere la terra siciliana come privilegiata stazione per contatti con il regno degli inferi: il "Caronte" indicato nella prima pagina de La luce e il lutto traghetta il mito, risalendo il mare del tempo, in terra di Sicilia. Orfeo cede allora il passo ad altri racconti: Pergusa, ad esempio, è il luogo in cui si ambienta lo "spettacolo fantastico tra l'antico e il moderno" del Ratto di Proserpina di Rosso di San Secondo25.
   Anche la nota vicenda della baronessa di Carini conterrebbe un viaggio agli inferi "per riveder l'amata" (in F. Giacalone, op. cit.).






Questo Articolo proviene da AetnaNet
http://www.aetnanet.org

L'URL per questa storia è:
http://www.aetnanet.org/scuola-news-10167.html