IL '68 NELLA LETTERATURA ITALIANA
Data: Domenica, 02 marzo 2008 ore 12:08:38 CET
Argomento: Rassegna stampa


   

IL '68 NELLA LETTERATURA ITALIANA

Una stagione di svolta

di Mauro Novelli*

Nel Sessantotto, l'atteggiamento degli scrittori di fronte alla contestazione giovanile fu disuguale, e a volte imprevedibile. Se rimane celebre la provocazione di Pasolini a difesa dei poliziotti, non mancarono d'altra parte entusiasmi e illusioni. Nel contempo, andava sempre più ramificandosi – tanto in narrativa quanto in poesia – quel gusto per la sperimentazione già ben vivo dall'inizio del decennio

 

I poeti di fronte alla contestazione

Il testo più noto – e al tempo stesso il più discusso – che ci proviene dal Sessantotto è senz'altro la poesia Il PCI ai giovani!, con la quale Pier Paolo Pasolini intese dire la propria sugli scontri che a Roma videro opporsi manifestanti e celerini, attorno alla Facoltà di Architettura. Come ricorda Roberto Carnero (Il '68 di Pasolini), l'autore di Ragazzi di vita parteggiava apertamente per le forze dell'ordine. È significativo come Pasolini, tanto spesso perseguitato dall'autorità costituita, voltasse le spalle all'ondata della contestazione, riducendola a mero fenomeno di ascendenza piccolo-borghese, a prescindere dagli ideali di cui era pervasa. Non bisogna, del resto, dimenticare che nel suo livore antiborghese lo scrittore friulano sarebbe arrivato nelle Lettere luterane ad altre clamorose prese di posizione, proponendo tra l'altro l'abolizione della scuola media unica, che avrebbe a suo dire corrotto i costumi popolari, insegnando "cose inutili, stupide, false, moralistiche".

 

Non tutti i poeti, naturalmente, guardarono con diffidenza ai movimenti di contestazione. Si possono ad esempio ricordare gli entusiasmi dell'anziano Ungaretti, immortalato in un celebre scatto tra gli striscioni di una manifestazione studentesca. Ancora più indietro, ai giovanissimi, si volgeva Elsa Morante, che nel '68 diede alle stampe un'opera fascinosa ed eterogenea come Il mondo salvato dai ragazzini: rivoluzionari per natura e vitalismo, speranza incrollabile di fronte alle aberrazioni della maturità, "unico pubblico oramai forse capace di ascoltare la voce dei poeti".

 

Per la verità, negli anni Sessanta le nuove generazioni sempre più spesso vedevano piuttosto nella musica leggera il veicolo idoneo tanto per quietare i propri bisogni di liricità, quanto per riconoscersi politicamente. Figure del calibro di Bob Dylan e Joan Baez, eventi quali il festival di Woodstock (dove nel 1969 si diedero appuntamento oltre 500.000 persone per tre giorni di "pace, amore e musica") sono rimasti emblemi di quella stagione, nella quale fiorì anche in Italia una nuova generazione di artisti, che da tempo ci siamo abituati a definire 'cantautori' (si pensi a Francesco Guccini, Piero Ciampi, Fabrizio De André).

 

I poeti veri e propri, intanto, nel guardare al presente in maggioranza finivano con l'adottare una dizione ardua, riservata ai lettori meglio addestrati, in grado di delibare raffinate allusioni e studiate oltranze. Il rilievo non riguarda soltanto i neoavanguardisti appartenenti al Gruppo 63 (che anzi proprio nel '68 si sciolse), ma anche autori di diverso orientamento, come Giovanni Giudici, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, i quali nel frangente firmarono alcune delle loro opere più complesse. Zanzotto, ad esempio, con La Beltà (Mondadori) costruì un seducente labirinto intorno al quale da decenni si affanna la critica, nel tentativo di catturare qualche stilla di significato da un'"acqua che scaturisce dal sottofondo della coscienza e della natura", come scrisse Eugenio Montale sul "Corriere della Sera" del 1° giugno 1968.

 

La narrativa, tra esperimenti e lotte operaie

Anche nel campo della narrativa alla fine degli anni Sessanta è riscontrabile una crescita d'interesse per la sperimentazione, variamente declinata. Italo Calvino – trasferitosi proprio allora a Parigi – prende a frequentare i membri dell'Oulipo (Ouvroir de littérature potentielle) e decide di "adoperare i tarocchi come una macchina narrativa combinatoria", impostando Il castello dei destini incrociati. Altrettanto sintomatici gli esiti raggiunti da Luigi Malerba in Salto mortale, dove manomette i congegni tipici del giallo, affidando il racconto alla voce di un tale "Giuseppe detto Giuseppe", dall'identità inafferrabile, che un bel giorno si imbatte in una gamba umana "alla quale è attaccato il corpo di un uomo, sgozzato". Di qui la narrazione si incammina con fare ironico verso i sentieri del surreale, mentre lo stile accoglie i detriti dei linguaggi televisivi e pubblicitari.

 

Malerba, è bene ricordare, aveva partecipato all'avventura del Gruppo 63, al pari di Nanni Balestrini, pronto invece a tener conto dell'insorgente spontaneismo collettivista, che intimava alla letteratura di intervenire sulla realtà, operando per scardinare il cosiddetto "sistema", in vista della rivoluzione. Da tali istanze nacque Vogliamo tutto, romanzo documentaristico costruito a "lasse", incentrato sull'autunno caldo del 1969, colto dall'ottica di un giovane operaio della Fiat, immigrato a Torino dal Meridione. Balestrini tiene a offrire al lettore il sound della registrazione in presa diretta, come è facile comprendere dalla trascrizione di un brano del capitolo La lotta: "Volevo fare qualcosa stare lì non mi andava. Mentre ero così sento da lontano le urla. Le officine delle Carrozzerie sono dei capannoni grandissimi che non si vede in fondo. Per parlarsi tra loro gli operai devono urlare sempre. Sentivo dei casini urla e mi dico: Questi sono i compagni che cominciano a fare il corteo".

 

Se a conti fatti manca – in campo romanzesco – un corrispettivo di qualità in grado di restituire dall'interno l'imporsi dei nuovi e più libertari costumi giovanili, troppo spesso si dimentica come il periodo in esame sia stato tra i più fertili per l'arte istrionica del nostro ultimo Premio Nobel. Dario Fo nel 1969 portò infatti sulle scene il suo capolavoro, Mistero Buffo: un monologo recitato in un irresistibile gergo padano (il grammelot), nel quale sfilano diversi episodi narrati nei vangeli apocrifi. La carica dirompente, radicalmente antiautoritaria dell'opera si ritrova in tutt'altri termini anche nel successivo Morte accidentale di un anarchico (1970), ispirato alle controverse vicende relative alla morte di Giuseppe Pinelli.

 

*Docente di Letteratura italiana contemporanea presso l'Università Statale di Milano

 

 

 

 

 

 







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