Balla, futurista un po’ astratto
Data: Marted́, 19 febbraio 2008 ore 18:36:16 CET
Argomento: Rassegna stampa


 

In occasione del centenario del futurismo e del cinquantenario della morte di Giacomo Balla, Palazzo Reale a Milano presenta una retrospettiva che riesamina da vicino l'opera di un grande protagonista dell'avanguardia storica italiana.
 Giacomo Balla nasce a Torino nel 1871.
Dal 1891 frequenta l'Accademia Albertina di Belle Arti. Nel 1895 si stabilisce a Roma, dove lavora come illustratore e ritrattista e partecipa ad alcune mostre annuali della Società degli Amatori e Cultori.
Nel 1900 Giacomo Balla parte per Parigi per visitare la Exposition Universelle. Qui vede le opere dei pittori impressionisti, dei "pointillistes", e rimane attratto dagli studi fotografici sul movimento di Marey.
Tornato in Italia, si propone di promuovere il divisionismo. Boccioni, Severini e Sironi sono alcuni dei suoi allievi.
La sua pittura combina intelligentemente un'attenzione alle tematiche sociali, con l'interesse scientifico negli effetti della luce, un ingrediente che si porterà appresso nel corso di tutta la sua vicenda futurista.
Negli anni seguenti Giacomo Balla intensifica gli studi sulla luce e il movimento. Nel 1909 dipinge Lampada ad arco.
Nel Febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblica su Le Figaro il Manifesto del Futurismo. Balla è profondamente attratto dalle idee di Marinetti.
Dall'incontro con Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini scaturisce il Futurismo nell'arte.
Nel 1910 Balla sottoscrive il Manifesto dei Pittori Futuristi, seguito immediatamente Manifesto Tecnico della Pittura Futurista.
L'analisi del movimento, attraverso la sua scomposizione in fasi successive riprodotte contemporaneamente, appare in opere celebri, come Bambina che corre sul balcone e Dinamismo di un cane al guinzaglio, del 1912.
Lo stesso anno si trasferisce a Düsseldorf per lavorare alle decorazioni di Casa Löwenstein. Qui realizza le prime opere del ciclo Compenetrazione iridescente, in cui gli effetti di luce e movimento sono ridotti a schemi geometrici.

Dal 1913 Giacomo Balla inizia a svolgere un ruolo più attivo all'interno del gruppo futurista. Partecipa alla mostra del Teatro Costanzi di Roma.
Nel 1915, firma, insieme a Fortunato Depero, il Manifesto della Ricostruzione futurista dell'Universo.
Sono anni di intenso lavoro: Balla si dedica a sperimentazioni materiche e si occupa della realizzazione di scenografie, arredamento e abbigliamento. Fa anche esperimenti cinematografici.
Tra il 1914 e il 1915 si impegna attivamente in favore dell'intervento dell'Italia in guerra.
Nel 1925 Giacomo Balla partecipa con Depero e Prampolini alla "Exposition des Arts Décoratifs" a Parigi. Nel 1929 sottoscrive il Manifesto dell'Aeropittura futurista, che segna il suo ultimo atto di adesione al futurismo.
Nel corso degli anni '30 Balla si dissocia dal movimento, nella convinzione che la "pura arte" si possa scoprire solamente nel realismo assoluto. D'ora in avanti, le sue opere saranno caratterizzate da una pittura di tipo figurativo, affine a quella degli esordi, ma di minor impatto.
Giacomo Balla muore a Roma nel 1958.(a cura di M.Allo)

Eccovi l'articolo di Marco Rosci

 

La mostra dedicata da Giovanni Lista, Paolo Baldacci, Livia Velani a Balla si estende, con lodevole scelta storico-critica, dalla Fiera a Parigi, dipinta nel 1900 ed esposta l'anno dopo agli Amatori e Cultori di Roma, a Forme colorspaziali n.20. Mio istante del 1929, astratto costruttivista. Questa è una delle opere ammirate a cavallo fra gli anni '40 e '50 nella sua ultima casa-laboratorio di Via Paisiello a Roma dai giovani dei gruppi romani Forma 1 e Origine e dal ventenne Calvesi, con il candido stupore del vecchio maestro, che in una lettera a Raffaele Carrieri del 1947 aveva difeso a spada tratta il suo ritorno «alla pura interpretazione della realtà, fonte inesauribile dell'arte eterna»; e che però aveva venduto un anno dopo Automobile in corsa del 1912 al Moma di New York per 100 dollari e Auto in corsa del 1913 e Bambina che corre sul balcone al collezionista milanese Carlo Grassi, donati poi alla Gam di Milano: tutte e tre opere oggi in mostra.

Nacque allora, nella Roma del secondo dopoguerra in frenetico recupero della contemporaneità, il mito, non infondato ma nemmeno analizzato a fondo come mirablmente fanno i curatori nel catalogo Skira, del futurista protoastrattista. L'ultimo atto di quel mito è recentissimo. Nella sala dedicata alla Ricostruzione Futurista dell'Universo, atto di nascita di quello che sarà etichettato decenni dopo come secondo futurismo campeggia, a confronto con il parallelo dipinto astratto Linea di velocità, la struttura tridimensionale del Complesso plastico colorato in legno, cartone, lamine di stagno, esposto nel 1918 alla Casa d'Arte Bragaglia e poi scomparso. Riermerso dagli scantinati del Castello Odescalchi di Bracciano (nel teatrino di Palazzo Odescalchi a Roma operava il Teatro dei Piccoli di Podrecca con cui Balla collaborava come scenografo e costumista), il Complesso ebbe un posto d'onore al matrimonio di Tom Cruise e Catie Holmes.

Nel saggio introduttivo di Giovanni Lista è esplicitato il fine, ottimamente perseguito, di rivedere, approfondire, liberare il mito dalle incrostazioni del secondo dopoguerra, alimentate anche dalle figlie dell'artista. Ne nasce una mostra di 204 numeri di catalogo, comprendenti però l'ondata minimalista dei 70 della Ricostruzione futurista dell'Universo, con le tavole parolibere, le cartoline di arte postale, i disegni di moda, di costumi e scenografie, i Fiori futuristi in legno colorato: un documento minuzioso e assai tipico del capillare recupero anche mercantile del fenomeno Balla dopo la nascita del mito. La mostra è comunque limpida, rigorosa, con tutto l'impatto anche umano di una vicenda straordinaria nelle sue luci e nelle sue ombre, compreso il dramma centrale pittorico di Futurballa, folgorato dal dinamismo cromoluministico seriale, che letteralmente uccide azzerandola la minuziosa magica certezza dei ritmi spaziali in profondità e dei tempi scanditi dei primi undici anni neoimpressionisti. Proprio il rigore e la precisione delle scelte delle opere rende quasi sconvolgente il passaggio dalla prima sala alla seconda.

La prima comprende la violenza visiva dell'illusione metafotografica e della dismisura del pastello con la grande testa della Madre e il dominio sul fondo del «puzzle» combinatorio di frammenti spaziali in primo piano e in profondità di Villa Borghese-Parco dei Daini. La seconda è aperta dalla figurazione dinamica di base cronofotografica a grandi «taches» fauves della Ragazza che corre sul balcone, la figlia Luce sul terrazzo di Via Paisiello. Si mettono a confronto le cruciali e intrecciate tappe del 1912-14 del dinamismo di forma-luce di base e origine organica e meccanica: le sequenze, definitive (in base a saggi e appendici in catalogo di Lista e Baldacci), del Volo di rondini, della Velocità di automobile, della Motocicletta in corsa, delle Linee di velocità astratta. Si lascia giustamente un'autonoma parete minore alle Compenetrazioni iridescenti con il loro carattere di sperimentazioni e giochi ritmici cromoluministici e decorativi di origine secessionistica austro-tedesca. Il discorso, che progressivamente procede dalla policromia alla dicromia bianco-nero e bianco-bruno, sbocca nella sala successiva nell'astrazione dinamica a vortici e rotazioni del 1914, culminante nella serie cosmica fra scienza ed esoterismo teosofico di Mercurio che passa davanti al sole. Dopo la sala ludica e pittoresca della Ricostruzione Futurista dell' Universo, nell'ultima sala del 1915-1929, a partire dai roteanti sbandieramenti bianco-rosso-verde della serie della Manifestazione interventista, trionfa la felicità pittorica del grande decoratore con sussulti di panteismo della natura.
Da La Stampa







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