Se tutti i lavori sono valutabili, perché quello dell’insegnate
non è tale? E perché di fronte a insuccessi evidenti di
molti alunni non si riescono spesso a trovare altre cause che
non siano gli abusati sociologismi? Con ogni probabilità i
troppi fallimenti dell’istruzione bivaccano in diversi falò i
più evidenti dei quali sono l’incertezza legislativa e normativa
e il reclutamento dei docenti.
Nell’arco di 10 anni sono cambiati 4 ministri della Istruzione
ognuno dei quali è stato latore di un proprio progetto
educativo che ha stravolto regolarmente il lavoro del precedente,
con tenacia e voluttà. Dal punto di vista legislativo
e normativo ciascuno ha portato, su spinta della propria
parte politica, la visione del mondo che gli apparteneva con
la chiara evidenza della omologazione culturale sul falso
preconcetto che finora la cultura sia stata monopolizzata
dalla sinistra tanto che Berlusconi individua nella scuola un
potere forte.
Ricordiamo a titolo di esempio la possibile scelta della
formazione professionale già a conclusione del primo ciclo
per i ragazzi non particolarmente brillanti e il diritto-dovere
all’istruzione della Moratti, in contrapposizione al biennio
comune ma obbligatorio fino a 16 anni che fu di Berlinguer
e poi pure di Fioroni. Se si capisce questa differenza di
visione del mondo (Weltanschauung) forse ci si rende
conto che il mito fratricida di Romolo e Remo segni e insegua
ancora la nostra nazione come lo spettro di Banquo.
Dal punto di vista del reclutamento dei docenti si è assistito,
sempre da una decina d’anni, a un conflitto grottesco
tra Siss da una parte, abilitate ad abilitare gli aspiranti
professori dietro esborsi gravosi, e i concorsi a cattedra dall’altra,
il tutto condito da ricorsi, punteggi ballerini e precarietà
perché l’uno accampava più diritti degli altri con in
mezzo i cosiddetti precari storici.
Il nuovo ordinamento universitario del 3+2 ha poi determinato
l’ingolfamento più becero perché, secondo l’idea di Moratti, i primi tre anni servivano come preparazione e i
due successivi come specializzazione all’insegnamento e
l’aspirante docente non doveva fare altro che attendere la
chiamata diretta dalla scuola.
L’arrivo di Fioroni da un lato ha confermato il 3+2 e dall’altro
ha preteso, dopo i 5 anni, il concorso a cattedra
biennale per accedere all’insegnamento ma sulla metà
dei posti realmente disponibili perché l’altra metà sarebbe
stata riservata alle graduatorie a esaurimento: una speranza
ai precari storici e una ai neolaureati. Di questi giorni una
nota di Valentina Aprea riapre il dibattito in vista di una
possibile rivincita del centrodestra. Tre sembrano le parole
d’ordine: merito, autogoverno, apprendimento e spiccia
chiaro l’assunto: le scuole in piena autonomia devono scegliere
i docenti da albi regionali appositi e deve nascere
contestualmente una autorità che valuti la qualità di ogni
singola istituzione.
«Da noi, per colpa di una politica del personale basata sui
concorsi burocratici, su infinite graduatorie di precari e bassi
stipendi e scarsa produttività, si è realizzato un mix
estremamente negativo», dice l’Aprea. «Serve un nuovo
meccanismo di reclutamento, ripristinando il decreto n.
227/05 di Moratti, che Fioroni ha abrogato». Chiarissimo e
a cui fa da controcanto Giuseppe Valditara di An: «Aumenti
significativi di stipendio devono essere legati al merito.
La demagogia sessantottina ha spazzato via l’istituto del
merito distinto. Si devono pagare di più gli insegnanti sulla
base della preparazione e dell’impegno». Nessuno dei
due però ha detto chiaramente cosa fare di quei 150 mila
precari che il centrosinistra aveva promesso di stabilizzare
a trance di 50 mila l’anno, mentre la scuola rimane un
campo di battaglia fra opposte fazioni.
PASQUALE ALMIRANTE (da www.lasicilia.it)