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Umanistiche: LA RILETTURA DEL PENSIERO DI MARX NEL SESSANTOTTO

Rassegna stampa

IL PENSIERO DI MARX E IL SESSANTOTTO

La rilettura del pensiero di Marx nel Sessantotto

di Augusto Illuminati*

 

 

Gli anni Sessanta furono segnati dalla grande diffusione del pensiero marxista a livello di massa, soprattutto nell’Europa continentale e in America latina, relativamente meno in Inghilterra e Usa. Il marxismo si configurava in questi paesi come ideologia di opposizione, ma nelle sue forme eretiche agì come elemento di dissidenza anche nei paesi del blocco sovietico, dove il marxismo-leninismo era dottrina di Stato, mentre la particolare versione maoista del comunismo si poneva a livello internazionale come alternativa alla prassi dei partiti comunisti orientali e occidentali. Inoltre si avviò nel decennio un profondo processo di revisione di tutta la tradizione marxista, in parte con il recupero di posizioni scartate anche forzosamente nel periodo precedente (del trotskismo, del giovane Lukács, di Rosa Luxemburg, del consiliarismo degli anni Venti, di Korsch, Pannekoek, Bordiga ecc.), in parte con nuove interpretazioni supportate da un intenso lavoro filologico. I riferimenti archeologici, raddoppiati dalla proliferazione di etichette settarie, furono spesso di facciata, mentre i mutamenti della dottrina furono più sostanziali. Per rapidità di esposizione ci concentriamo su due filoni interpretativi, i cui effetti si riversarono immediatamente nella pratica politica dei movimenti del Sessantotto: la critica allo storicismo e la lettura francofortese.

 

Fuori dallo storicismo

Il marxismo italiano era gestito nella politica culturale comunista secondo la linea Labriola - Croce - Gramsci - Togliatti, ma durante gli anni Sessanta le si era contrapposta la parola d’ordine di un ritorno al Marx del Capitale, tagliando i legami con le origini hegeliane e più ancora con le letture storicistiche del medesimo e dello stesso Gramsci, di cui venivano invece rivalutati gli scritti ‘consiliari’ del periodo di ‘Ordine Nuovo’. Galvano della Volpe esaltò il ‘galileismo morale’ di Marx, cioè una scienza sociale costruita secondo il modello di Galileo e non secondo quello dell'idealismo tedesco: gli schemi dialettici dovevano essere rifiutati così come era avvenuto per la cosmologia aristotelica. Lucio Colletti, sulla sua scia, considerò il sistema hegeliano come una derivazione dal neoplatonismo di Proclo e sostituì l’opposizione reale kantiana alla contraddizione logica, ciò che in seguito lo condurrà ad aderire alle posizioni di Popper. Il merito di Colletti consistette nel porre in evidenza la centralità della nozione marxiana di ‘rapporti sociali di produzione’. I quadri del Sessantotto venivano fuori da quell’insegnamento (citiamo operatori politico-culturali quali Raniero Panzieri e Mario Tronti), anche se paradossalmente proprio Colletti, che nel 1967-68 aveva raccolto nella rivista «La sinistra» buona parte della dissidenza radicale rispetto al Pci, rigettò gli sviluppi del movimento fino ad assumere posizioni di netto contrasto, che lo porteranno da ultimo a un clamoroso abbandono del marxismo negli anni Novanta.

Analoga e alla lunga più influente sul piano internazionale fu la critica alla dialettica, all’umanesimo e allo storicismo condotta da Louis Althusser e dalla sua scuola (Balibar, Macherey, Rancière) che, partendo dallo strutturalismo e dalla psicanalisi, respinsero il concetto di tempo omogeneo e continuo e rifiutarono l’idea di un’Origine, un Senso e un Fine ultimo della storia. Il comunismo, cioè, non era più il risultato necessario della maturazione delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, ma un evento aleatorio, sovradeterminato da una congiuntura politica.

 

La scuola di Francoforte

Vi rientrano sia Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, che dopo l’esilio americano erano tornati in Germania, sia Herbert Marcuse, che negli Usa era rimasto, guadagnando una larga influenza nei campus della West Coast, con un messaggio libertario in sintonia con le rivendicazioni e gli stati d’animo e della cultura trasgressiva californiana della seconda metà degli anni Sessanta. In Germania il movimento degli studenti, uscito da una scissione della gioventù socialista (Sds), sviluppò la critica della cultura di origine francofortese e ne trasse, con Hans-Jürgen Krahl, l’ipotesi che la contraddizione principale passasse fra cooperazione reificata del macchinismo e rapporti sociali organizzati privatamente sotto forma di lavoro salariato, merce e denaro. Il soggetto, in cui confluiscono teoria critica, coscienza antagonista e prassi trasformativa, non è più il proletariato industriale ma il portatore della totalità del lavoro astratto, un lavoratore produttivo esteso che si plasma nella sfera del lavoro immateriale e intellettuale massificato per effetto della socializzazione capitalistica. Tale posizione, ben presto diffusasi anche in Italia, innovava radicalmente il marxismo, spiegava il ruolo di punta del movimento degli studenti e sarebbe in seguito confluita con l’operaismo italiano che, dopo aver teorizzato la trasformazione dell’operaio professionale in operaio-massa (fordismo), avrebbe constatato l’emergere nel post-fordismo di una figura di operaio diffuso o proletariato giovanile dai confini professionali abbastanza sfumati. Il determinismo storicista ne veniva ulteriormente indebolito, così come la funzione del partito d’avanguardia e delle tradizionali organizzazioni sindacali.

 

Esiti politici

La trasformazione del marxismo era dunque funzionale al movimentismo della sinistra italiana ed europea. L’abbandono del determinismo e del culto dell’organizzazione rafforzavano il volontarismo rivoluzionario ed estendevano l’iniziativa molto al di là dei luoghi tradizionali riservati alla lotta di classe, innanzi tutto nel settore educativo, poi nella medicina, nella psichiatria, nell’ambiente, nelle relazioni familiari e di gruppo. La riscoperta della dimensione corporea e la protesta contro ogni forma di repressione – politica, sessuale, culturale – si accompagnò con il sorgere di un movimento femminista che avrebbe profondamente segnato i decenni successivi. Nato con un forte richiamo ai rapporti di produzione, il Sessantotto si propose di cambiare la vita. E in parte vi riuscì.

 

*Insegna Storia della filosofia presso l'Università di Urbino. È stato redattore di «Luogo comune» e collabora al «manifesto». Fra le pubblicazioni più recenti ricordiamo: Revenge!, Roma, manifestolibri, 2005; Percorsi del '68, Roma, DeriveApprodi, 2007.

 

 

 

 

 

 









Postato il Venerdì, 15 febbraio 2008 ore 18:21:57 CET di Salvina Torrisi
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