Dialettica e argomentazione- l’arte di ottenere ragione
Intorno al 1830-31, Schopenhauer scrive un breve trattato senza titolo, pubblicato per la prima volta nel 1864 ed apparso in Italia nel 1991 con il titolo L’arte di ottenere ragione (Adelphi 1991).
Nel testo il filosofo si occupa della dialettica, argomento di cui tratta anche in altre occasioni, a partire dai manoscritti giovanili, al Mondo e alle lezioni berlinesi.
Il titolo, assegnato postumo, ci introduce in uno dei tanti usi al quale storicamente il termine rimanda, collegando lo scritto al contesto molto antico della gara e della disputa.
La dialettica in Schopenhauer si identifica con l’eristica.
Il filosofo la riferisce ad una dimensione dialogica di tipo agonistico, apertamente incurante del valore di verità del linguaggio e particolarmente attenta ai trucchi e agli artifici logico-linguistici utilizzabili nelle dispute. Questi ultimi vengono individuati e formalizzati in 38 stratagemmi.
La dimensione spirituale evocata è dunque quella della gara e del conflitto, l’uso del termine è quello retorico, il contesto è quello intersoggettivo della disputa.
Dopo aver dato una definizione della dialettica eristica come arte di disputare in modo da ottenere ragione con mezzi leciti e illeciti, l’autore distingue tra la verità oggettiva di una proposizione e la validità della stessa nell’approvazione dei contendenti, collega poi la dialettica alla seconda, riconducendone l’origine alla naturale cattiveria del genere umano, alla slealtà e alla vanità.
Nella prospettiva assunta da Schopenhauer, chi disputa non lotta per la verità ma per imporre la propria tesi. Il fine della dialettica è di tipo pratico e non teoretico. Distinta dalla logica naturale, la dialettica naturale può diventare oggetto di addestramento attraverso l’esercizio.
Ricollegandosi ad Aristotele, che costituisce il punto di riferimento fondamentale dello scritto, afferma che mentre la logica si occupa della forma delle proposizioni e quindi considera l’universale, la dialettica si occupa del contenuto e quindi considera il particolare.
Ora ogni disputa ha una tesi o un problema e proposizioni che servono a risolverli. Si tratta sempre di rapporti tra i concetti, che vengono riportati, secondo la teoria aristotelica dei predicabili, ai quattro universali: definizione, genere, proprio, accidente.
"Il problema di ogni disputa è riconducibile a uno di tali rapporti. Questa è la base dell’intera dialettica" (A. Schopenhauer, L’arte di ottenere ragione, cit, pag.20). L’ambito della dialettica è definito dunque in relazione all’estensione dei concetti (l’ambito delle cose a cui si applica) e alla loro comprensione (l’insieme delle note che lo caratterizzano).
I concetti, riportati alle cinque classi aristoteliche, sono considerati sul piano formale e non in rapporto al loro contenuto. "La trattazione è qui dunque ancora in una certa misura formale, anche se non così puramente formale come nella logica, poiché si occupa del contenuto dei concetti, ma in una maniera formale." (pag.21).
Il limite di Aristotele, secondo Schopenhauer, è non aver distinto nettamente lo scopo della dialettica, avvicinato, nella forma debole degli éndoxa, alla verità secondo l’apparenza, l’approvazione o l’opinione altrui (Topici).
"Per formulare la dialettica in modo limpido bisogna considerarla, senza badare alla verità oggettiva (che è oggetto della logica) semplicemente come l’arte di ottenere ragione… (op. cit. pag. 23).
E ancora: "Dunque la dialettica non deve avventurarsi nella verità: alla stessa stregua del maestro di scherma, che non considera chi abbia effettivamente ragione nella contesa che ha dato origine al duello: colpire e parare, questo è quello che conta. Lo stesso vale anche nella dialettica, che è una scherma spirituale; solo se intesa in modo così puro, può essere costituita come una disciplina propria: infatti, se ci poniamo come fine la pura verità oggettiva, ritorniamo alla mera logica: se invece poniamo come fine l’affermazione di tesi false, abbiamo la mera sofistica. E in entrambi i casi il presupposto sarebbe che noi sapessimo già che cosa è oggettivamente vero e falso: ma solo di rado questo è certo in anticipo" (pag.25).
La metafora sportiva chiarisce il senso della definizione e la riconduce ad una antica tradizione filosofica.
La dialettica, nell’ottica di Schopenhauer, sta nel mezzo tra logica e sofistica. In quanto arte è riconducibile ad un sistema di regole e di tecniche; in quanto disposizione naturale non si configura come puro artificio ma come tendenza originaria che può essere rafforzata attraverso l’esercizio.
La dialettica non è dunque una scienza ma un’arte a posteriori.
L’analisi di Schopenhauer nasce dall’osservazione di ciò che accade nelle dispute pubbliche e private, si sviluppa nella formalizzazione dell’esperienza quotidiana e si fonda sulla visione pessimistica, rimarcata sul piano linguistico, della lotta incessante che contrappone gli esseri umani e che si esprime in una costante volontà di sopraffazione.
La sua analisi presuppone un intelletto a servizio della volontà: ogni razionalizzazione costituisce un intervento a posteriori su tendenze naturalmente irrazionali.
Schopenhauer prende le distanze dalla Sofistica e presenta il suo studio come un primo tentativo di inoltrarsi in un ambito ancora inesplorato, in un "terreno ancora vergine".
Ciò che lo distingue dai Sofisti, al di là del contesto storico-filosofico ovviamente altro, è un diverso approccio ai rapporti tra pensiero, linguaggio e realtà. Schopenhauer non recide i legami tra i tre ambiti e non considera la sfera linguistica come autonoma e separata dalla sfera ontologica. Ritiene possibile una verità oggettiva e perciò si colloca in una prospettiva gnoseologica (e metafisica) diversa dal relativismo.
Sul piano linguistico la sua analisi non parte dalla possibilità di un doppio discorso su ogni cosa ma disancora la validità delle proposizioni dal contenuto di verità, considerando l’efficacia di un discorso in rapporto agli effetti prodotti sugli ascoltatori e valutando esclusivamente le tecniche formali di difesa e di attacco.
Egli assegna alla sofistica l’accezione negativa del significato che il senso comune le attribuisce. La sofistica ha come fine l’affermazione di tesi false. Al contrario la logica ha come fine la pura verità oggettiva.
La dialettica, indifferente come già detto al valore di verità delle proposizioni, si rivela utile nella maggior parte dei casi in cui ci si imbatte nella vita, dato che la maggioranza delle volte noi non sappiamo già, prima della contesa, che cosa sia oggettivamente vero e falso.
Rispetto a Kant, Schopenhauer ritorna all’uso soggettivo e intersoggettivo del termine e pur mantenendo la distinzione tra analitica e dialettica, che con Kant aveva assunto un significato altro da quello aristotelico, riprende la distinzione antica rimarcandone però la contrapposizione, in considerazione degli scopi diversi, teoretico il primo, pratico il secondo, che analitica e dialettica si pongono.