Vademecum ragionato sulle Linee guida
Nuovo obbligo d’istruzione – fase sperimentale 2007-2009
A cura di Gianluigi Dotti
Come è stato introdotto l’ innalzamento dell’ obbligo scolastico.
L’innalzamento dell’obbligo d’istruzione a 10 anni è una misura non solo condivisibile, ma da apprezzare con convinzione in tutta la sua valenza civile, culturale e politica.
Tuttavia, come già la Gilda degli insegnanti ha avuto modo di rilevare, le modalità con cui esso è stato introdotto e con cui viene attuato continuano a lasciare perplessi.
Il provvedimento è stato inserito prima in un intervento di politica finanziaria (Legge n. 296 del 27 dicembre 2006, art. 1 c. 622, 623, 624 -Finanziaria 2007-), che ha sottratto al dibattito parlamentare e alla società civile una materia delicata -l’istruzione- in cui occorre ricercare ampia condivisione di vedute e di obiettivi. Poi con un atto amministrativo, il D.M. 139/07, è stata regolamentata l’attuazione (una scheda dettagliata del DM si trova nel sito www.gildains.it ed è stata pubblicata su Professione docente di gennaio 2008), ora viene “tecnicamente accompagnato” da Linee guida.
Il ministro Fioroni, infatti, il 27 dicembre 2007, durante le vacanze natalizie, ha emanato le Linee guida per l’attuazione dell’Obbligo d’istruzione, previste dall’art. 5, c. 1, del D.M. n. 139/07, accompagnate dall’immancabile lettera del responsabile di viale Trastevere ai dirigenti scolastici e agli insegnanti.
Che cosa sono le Linee guida, appena emanate
Le Linee guida sono, per ora, l’ultimo documento di una serie di atti amministrativi che il ministro ha emanato per intervenire nella definizione delle modalità di insegnamento (didattica) con l’intento dichiarato di “rinnovare l’insegnamento”. Intento che comporta, come esplicitamente richiamato nella lettera del ministro, “una profonda revisione metodologica e organizzativa della didattica e quindi un rinnovato profilo della professionalità docente”.
Le Linee guida erano state presentate in bozza alle organizzazioni sindacali il 15 novembre 2007 e la Gilda degli insegnanti ne aveva segnalate le criticità con un documento pubblicato sul sito nazionale. La stesura definitiva, pur accogliendo molte delle osservazioni della Gilda degli insegnanti ( nel dettaglio sono segnalate nella successiva scheda tecnica) mantiene, però, l’impianto di fondo della bozza, proprio quello sul quale si erano manifestate le principali critiche dell’Associazione. Infatti, il valore taumaturgico del “nuovo metodo didattico” sta alla base delle Linee guida sull’Obbligo d’istruzione del ministro Fioroni, in particolare ci sta l’idea che l’introduzione di una “nuova didattica”, e il conseguente aggiornamento dei docenti, sia la soluzione dei problemi della scuola superiore italiana.
Quali principi le sorreggono
L’elevamento dell’Obbligo d’istruzione a 10 anni unito ai recenti risultati delle indagini OCSE-PISA, che giudicano la preparazione media (pur con un discutibile sistema di rilevazione e con significative differenze tra le diverse aree geografiche del paese) degli studenti italiani tra le peggiori d’Europa, sono all’origine delle Linee guida.
Questi dati ricordano che la scuola italiana sta vivendo una serie di problematiche (comuni del resto a tutta l’istruzione del mondo occidentale) nate dalla scolarizzazione di massa (processo sicuramente positivo), che ha portato una percentuale molto alta di studenti al conseguimento di una qualifica o di un diploma, ma che, contemporaneamente, ha evidenziato anche difficoltà che in una prima fase non erano prevedibili. Ad esempio quella di coniugare l’accesso all’istruzione della massa dei giovani in età scolare e la qualità della istruzione/formazione offerta e conseguita nelle scuole pubbliche; oppure il sempre minore vantaggio che l’istruzione dà sia sul mercato del lavoro sia nel miglioramento dello status sociale.
Di fronte a una situazione che presenta problemi e difficoltà reali, non necessariamente limitati all’ambito scolastico, con i quali tutti i giorni i docenti si confrontano nelle aule scolastiche, il ministro, evidentemente mal consigliato, propone, così come da qualche anno fanno i diversi ministri che si succedono a viale Trastevere, soluzioni semplicistiche e inefficaci.
Infatti, invece di cercare nell’analisi della società e della scuola le cause attorno alle quali costruire una politica scolastica che individui proposte di soluzioni efficaci e condivise, non si trova niente di meglio da fare che imputare agli insegnanti e ai loro metodi, naturalmente obsoleti, la responsabilità dei fallimenti delle politiche dell’istruzione.
Del resto da diversi anni, oramai, i ministri si limitano a indicare genericamente gli obiettivi di politica scolastica e a “suggerire” (nel nuovo linguaggio ministeriale oggi si usa il verbo “accompagnare”) nuove modalità didattiche agli insegnanti.
Sembra che per risolvere i problemi della scuola superiore italiana sia sufficiente dichiarare obsoleto il metodo precedente, proporne uno nuovo, magari cambiando il nome alle attività svolte, e obbligare i docenti ad aggiornarsi. Come non ricordare le ore spese per apprendere i nuovi sistemi di valutazione o per costruire simulazioni di unità didattiche e moduli, basandosi su conoscenze, capacità, abilità, obiettivi.
Ma l’ultimo ritrovato: le competenze, li supera tutti, almeno stando a quanto scritto nelle Linee guida. Le competenze, nonostante siano utilizzate dal ministero per indicare ciò che il lavoro dei docenti dovrebbe conseguire, rimangono ancora indefinite, soprattutto nella parte riguardante la misurazione/valutazione, quasi un “oscuro oggetto” dei desideri ministeriali.
Chi pratica le aule scolastiche, ad esempio gli insegnanti, sa che da tempo nelle secondarie superiori si è attuata una “profonda revisione metodologica e organizzativa della didattica”. E al ministero del resto si dovrebbe sapere che la scuola italiana e i suoi insegnanti non sono rimasti alla Riforma Gentile . Sarebbe sufficiente che si guardasse lo stesso sito ministeriale dedicato agli Esami di Stato: assieme ai corsi ordinari compaiono quasi 1000 sperimentazioni.
Evidentemente al ministero sono convinti che i nuovi metodi siano la panacea dei mali della scuola superiore italiana; poi se i nuovi metodi non dovessero funzionare si potrebbe sempre dare tutta la responsabilità ai docenti che, “obsoleti”, non sono in grado di applicare i nuovi “miracolosi” metodi.
Non bisogna essere degli indovini per sapere che se questo è il modo in cui il ministero intende risolvere il problema dell’elevazione dell’obbligo e della qualità dell’istruzione in Italia i risultati saranno, come del resto è accaduto finora, un ulteriore peggioramento della qualità dell’istruzione.
Anzi crediamo che sia facilmente dimostrabile, al contrario, che questi continui cambiamenti e sperimentazioni, mai seriamente verificati nei risultati finali, siano i responsabili principali dello scadimento della qualità dell’istruzione in Italia.
Come devono regolarsi le scuole e i docenti
Cosa fare allora nei prossimi mesi? Come deliberare nei Collegi docenti che saranno chiamati a pronunciarsi sui documenti che si riferiscono all’attuazione dell’obbligo d’istruzione?
Innanzitutto è bene precisare che, per legge, le decisioni in materia didattica spettano al Collegio dei docenti e non ad altri, es. Dirigenti scolastici, ed è importante ribadire e difendere questa prerogativa. Questo comporta un’assunzione di responsabilità di tutti gli insegnanti: possiamo e dobbiamo decidere noi senza delegare ad altri ( Dirigenti, studenti e famiglie questo compito), nella consapevolezza che siamo gli unici a possedere la professionalità necessaria a poter promuovere una scuola pubblica di qualità.
Poi si devono leggere e studiare i documenti del ministero, discuterne con i colleghi, alla luce delle esperienze sulle innovazioni introdotte negli ultimi decenni, e utilizzare il pragmatismo del buon senso, che spesso manca negli atti di viale Trastevere.
Occorre inoltre precisare che non esiste una risposta unica e decisiva alle domande poste, ma crediamo sia necessario partire da quello che scuole superiori e insegnanti stanno già facendo, dai POF che sono utilizzati (ricordatevi della possibilità di inserire nei POF anche la tutela delle specificità professionali individuali), dalla libertà d’insegnamento. Il buon senso ci dice che non è obbligatorio cambiare ciò che funziona e dà buoni risultati, anche se non “combina assi culturali e competenze”. Là dove sono utilizzate “buone pratiche didattiche”, ci si può limitare a confermare ciò che funziona. Si può passare successivamente ad individuare le criticità e, indipendentemente dal fatto che siano nuove o vecchie, cambiare ciò che non funziona con ciò che sta funzionando, verificando e monitorando l’efficacia delle innovazioni; nessuno vieta di tornare sui propri passi documentando l’inefficacia delle stesse.
Infine c’è la necessità di evitare gli errori degli anni appena trascorsi che, con le loro innovazioni, hanno, spesso, avuto il solo risultato di aumentare il lavoro burocratico degli insegnanti; in particolare è necessario evitare gli aggiornamenti inutili e promuovere momenti di approfondimento della nostra professionalità legata soprattutto al sapere disciplinare.
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Come è formulato il testo delle Linee guida
Il testo definitivo delle Linee guida è formato da una Premessa, un’Appendice e sette capitoli: Il contesto di riferimento, Aspetti generali, Orientamento e recupero, Formazione, Valutazione e certificazione, Sostegno e osservazione del processo, Finanziamenti.
Premessa
Nella premessa, così come chiesto dalla Gilda degli insegnanti, è stato attenuato il carattere di prescrittività delle Linee, sottolineandone la funzione di “accompagnamento” e valorizzando l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Sono inoltre segnalati:
- il carattere sperimentale di questa prima fase (2007-2009) di attuazione dell’obbligo d’istruzione;
- i richiami “all’importanza strategica di questo cambiamento, che comporta una profonda revisione metodologica e organizzativa della didattica”;
- la volontà di rendere “coerente e unitario l’intero percorso decennale dell’obbligo”, unitarietà, che se intesa come il proseguimento della scuola media inferiore senza soluzione di continuità, che prefigura una nuova struttura del sistema scolastico suddiviso in due cicli quinquennali: cinque anni di scuola elementare e altri cinque di scuola media inferiore (premessa per l’abolizione anche dell’esame di terza media?), non può essere valutata positivamente (ricordo che studi autorevoli riconoscono la necessità di alcune tappe/cesure indispensabili nella formazione degli adolescenti);
- l’indicazione che tutti gli studenti alla fine del biennio devono conseguire i saperi e le competenze minimi comuni (questa indicazione, permanendo la diversità di indirizzi e tipologia delle istituzioni scolastiche, risulta difficilmente perseguibile, a meno che si voglia nei fatti riformare la secondaria, introducendo il “biennio unico” con la quarta e quinta classe di scuola media inferiore.
Fortemente discutibile risulterebbe inoltre l’elevazione dell’obbligo di istruzione di due anni se poi venisse richiesta, agli studenti, in 10 anni l’acquisizione di “saperi e competenze minimi” che prima acquisivano in 8; nella situazione economica dell’Italia attuale sarebbe senz’altro valutato dall’opinione pubblica come uno spreco di risorse.
Le linee guida hanno valore anche per i percorsi regionali d’istruzione e formazione, almeno per il biennio 2007-2009.
Il contesto di riferimento
Sono richiamati gli elementi che formano il contesto nel quale si attua l’elevazione dell’obbligo: la normativa europea e italiana, compreso il diritto dovere che non è stato abolito.
Su richiesta della Gilda è stato precisato che l’attuazione dell’obbligo deve rispettare gli “obblighi di servizio del personale della scuola come definiti dagli accordi contrattuali”.
Si rileva inoltre il ritorno dell’obbligo del successo scolastico (promozione garantita per tutti?), almeno così sembra di poter leggere il passaggio: “Con ciò viene affermata l’esigenza che l’innovazione risulti tale da garantire il raggiungimento dei livelli essenziali di apprendimento, sia sul piano dei saperi disciplinari, sia in relazione alle competenze … che tutti gli studenti devono acquisire nel percorso d’istruzione obbligatorio”.
Infine secondo le indicazioni di questo capitolo tutti gli alunni devono aver conseguito gli stessi saperi e le stesse competenze minime al termine del biennio. Domanda: gli alunni che avranno terminato un qualsiasi biennio dell’obbligo potranno scegliere di frequentare un qualunque triennio di secondaria superiore senza eventuali integrazioni e/o passerelle?
Aspetti generali
Come richiesto dalla Gilda degli insegnanti questa parte è stata alleggerita dalle indicazioni didattico-burocratiche, lasciando spazio all’autonomia delle istituzioni scolastiche (ad esempio è stata sostituita l’indicazione “superare l’attuale partizione disciplinare” con la più aperta, e ambigua, “individuazione delle strategie più appropriate per l’interazione disciplinare, per superare progressivamente la frammentazione dei saperi negli attuali curricoli”.
Il “nuovo obbligo di istruzione assume come fondamento principale il lavoro degli Organi collegiali”, in particolare del Collegio docenti.
Sono rimasti, seppur attenuati, i riferimenti agli Assi culturali, alla didattica delle competenze e all’ampia “utilizzazione degli spazi di flessibilità curricolare e organizzativa”.
Orientamento e recupero
Dopo aver posto l’accento sull’importanza dell’orientamento come strumento per l’acquisizione delle competenze chiave e per la lotta alla dispersione scolastica si trova il libro dei sogni chiedendo “una programmazione didattica ed educativa centrata sui processi di apprendimento misurata sui livelli in ingresso e sui diversi ritmi e stili cognitivi degli studenti, che comprenda attività dedicate al recupero di ogni tipo di svantaggio senza trascurare la promozione delle eccellenze”. E per il libro dei sogni ogni commento reale è superfluo.
L’ultima indicazione chiede il “recupero dei saperi disciplinari non acquisiti durante il percorso scolastico precedente che sono essenziali per il raggiungimento delle competenze che caratterizzano gli assi culturali relativi al nuovo obbligo d’istruzione”. Passaggio questo notevolmente contraddittorio rispetto alla normativa vigente, perché se un alunno non raggiunge i livelli minimi non può essere promosso alla classe successiva, ma in linea con l’obbligo del successo scolastico (promozione garantita a tutti?).
Formazione
In questo capitolo è stato tolto ogni riferimento all’obbligo dell’aggiornamento, al ruolo delle Rsu e ai compiti degli Organi collegiali, cosi come chiesto dalla Gilda, poiché aggiornamento e compiti delle RSU sono normati dal CCNL, quelli degli organi collegiali dalla legge. In particolare l’aggiornamento è un diritto-dovere e non può essere reso obbligatorio. Si possono eventualmente prevedere forme d’incentivazione (economica e con permessi) per motivare i docenti (ora le attività di aggiornamento per i docenti di norma sono fatte senza esonero dal servizio e a proprie spese).
Negli obiettivi della formazione si ritrovano gli elementi critici dell’innovazione didattica segnalati nell’introduzione, infatti, sono ipotizzati piani “pluriennali di formazione dei docenti” che “si configurano come misure per lo sviluppo della loro professionalità, nella consapevolezza della complessità e delle difficoltà che essi incontreranno a tradurre gli obiettivi previsti dai curricoli dei diversi ordini, tipi e indirizzi di studio nelle competenze riferite agli assi culturali che caratterizzano il nuovo obbligo di istruzione”.
Questi piani hanno la funzione di aiutare i docenti a: veicolare “il senso della nuova prospettiva educativa fondata sul concetto di competenza e collegata ai saperi e agli assi culturali, superando la dimensione settoriale dell’insegnamento”; ricercare “metodologie idonee” e “intrecci tra gli assi culturali”; rimodulare “criteri e modalità di valutazione” e, infine, potenziare la continuità con la scuola dell’infanzia e del primo ciclo.
Valutazione e certificazione
In questo capitolo emergono alcuni elementi di criticità dell’innovazione didattica, anche se viene precisato che, in questo biennio sperimentale, per la valutazione rimangono vigenti i riferimenti normativi del DPR 275/99 e della periodica OM sugli scrutini ed esami, si aggiunge che “la valutazione in termini di risultati di apprendimento, il concetto di competenza in relazione a conoscenze e abilità, … presuppongono un ripensamento profondo sia delle strategie didattiche sia della valutazione” non si sfugge, viste le esperienze dei decenni scorsi, alla spiacevole sensazione che si reintroduca l’obbligo del successo scolastico (promozione garantita a tutti grazie alle alchimie dei nuovi sistemi di valutazione?).
Per la certificazione si “accompagnano” gli strumenti predisposti dalle scuole “per una migliore comprensione da parte delle famiglie e degli studenti, del nuovo processo valutativo fondato sull’acquisizione delle competenze” con l’impegno del ministero di definire “modelli di certificazione” validi su tutto il territorio nazionale (speriamo non si ripresenti il Portfolio, che sembrava emergere dalla prima bozza delle linee guida).
Sostegno e osservazione del processo
In questo capitolo, pur permanendo incombenze burocratiche e compiti formali, sono state, in buona parte, rese volontarie e autonome, come richiesto dalla Gilda, tutta una serie di operazioni che erano invece imposte nella prima bozza alle scuole.
Il ministero organizza un servizio di consulenza online, una biblioteca online e istituisce gruppi di lavoro presso gli USR e gli USP a sostegno dell’innovazione da attivare su richiesta delle scuole.
Le scuole stesse, se lo riterranno necessario e “previa delibera del Collegio dei docenti, nelle forme che ritiene più opportune” potranno dotarsi “di un nucleo operativo dedicato all’attuazione del nuovo obbligo, a sostegno del lavoro collegiale”.
Per quanto riguarda la valutazione del processo di innovazione il ministero e l’Invalsi hanno costituito un gruppo di lavoro nazionale con il compito di monitorarne i risultati, redigendo un rapporto intermedio entro il 30 settembre 2008 e uno finale a conclusione del biennio sperimentale.
Finanziamenti
Quest’ultimo capitolo, fortemente voluto dalla Gilda degli insegnanti, purtroppo rimane miseramente scarno: si invitano le scuole ad usare i fondi a disposizione nei bilanci (sarà sfuggito al ministero che i bilanci delle scuole sono in rosso), i fondi specifici della Legge 440/97 e quelli del PON.
Appendice
Nell’appendice sono riportati i riferimenti ai documenti dell’UE e agli strumenti a livello europeo per la certificazione, la validazione e il riconoscimento dei risultati di apprendimento nella prospettiva dell’apprendimento permanente.
Nuovo obbligo d’istruzione – fase sperimentale 2007-2009
A cura di Gianluigi Dotti
Come è stato introdotto l’ innalzamento dell’ obbligo scolastico.
L’innalzamento dell’obbligo d’istruzione a 10 anni è una misura non solo condivisibile, ma da apprezzare con convinzione in tutta la sua valenza civile, culturale e politica.
Tuttavia, come già la Gilda degli insegnanti ha avuto modo di rilevare, le modalità con cui esso è stato introdotto e con cui viene attuato continuano a lasciare perplessi.
Il provvedimento è stato inserito prima in un intervento di politica finanziaria (Legge n. 296 del 27 dicembre 2006, art. 1 c. 622, 623, 624 -Finanziaria 2007-), che ha sottratto al dibattito parlamentare e alla società civile una materia delicata -l’istruzione- in cui occorre ricercare ampia condivisione di vedute e di obiettivi. Poi con un atto amministrativo, il D.M. 139/07, è stata regolamentata l’attuazione (una scheda dettagliata del DM si trova nel sito www.gildains.it ed è stata pubblicata su Professione docente di gennaio 2008), ora viene “tecnicamente accompagnato” da Linee guida.
Il ministro Fioroni, infatti, il 27 dicembre 2007, durante le vacanze natalizie, ha emanato le Linee guida per l’attuazione dell’Obbligo d’istruzione, previste dall’art. 5, c. 1, del D.M. n. 139/07, accompagnate dall’immancabile lettera del responsabile di viale Trastevere ai dirigenti scolastici e agli insegnanti.
Che cosa sono le Linee guida, appena emanate
Le Linee guida sono, per ora, l’ultimo documento di una serie di atti amministrativi che il ministro ha emanato per intervenire nella definizione delle modalità di insegnamento (didattica) con l’intento dichiarato di “rinnovare l’insegnamento”. Intento che comporta, come esplicitamente richiamato nella lettera del ministro, “una profonda revisione metodologica e organizzativa della didattica e quindi un rinnovato profilo della professionalità docente”.
Le Linee guida erano state presentate in bozza alle organizzazioni sindacali il 15 novembre 2007 e la Gilda degli insegnanti ne aveva segnalate le criticità con un documento pubblicato sul sito nazionale. La stesura definitiva, pur accogliendo molte delle osservazioni della Gilda degli insegnanti ( nel dettaglio sono segnalate nella successiva scheda tecnica) mantiene, però, l’impianto di fondo della bozza, proprio quello sul quale si erano manifestate le principali critiche dell’Associazione. Infatti, il valore taumaturgico del “nuovo metodo didattico” sta alla base delle Linee guida sull’Obbligo d’istruzione del ministro Fioroni, in particolare ci sta l’idea che l’introduzione di una “nuova didattica”, e il conseguente aggiornamento dei docenti, sia la soluzione dei problemi della scuola superiore italiana.
Quali principi le sorreggono
L’elevamento dell’Obbligo d’istruzione a 10 anni unito ai recenti risultati delle indagini OCSE-PISA, che giudicano la preparazione media (pur con un discutibile sistema di rilevazione e con significative differenze tra le diverse aree geografiche del paese) degli studenti italiani tra le peggiori d’Europa, sono all’origine delle Linee guida.
Questi dati ricordano che la scuola italiana sta vivendo una serie di problematiche (comuni del resto a tutta l’istruzione del mondo occidentale) nate dalla scolarizzazione di massa (processo sicuramente positivo), che ha portato una percentuale molto alta di studenti al conseguimento di una qualifica o di un diploma, ma che, contemporaneamente, ha evidenziato anche difficoltà che in una prima fase non erano prevedibili. Ad esempio quella di coniugare l’accesso all’istruzione della massa dei giovani in età scolare e la qualità della istruzione/formazione offerta e conseguita nelle scuole pubbliche; oppure il sempre minore vantaggio che l’istruzione dà sia sul mercato del lavoro sia nel miglioramento dello status sociale.
Di fronte a una situazione che presenta problemi e difficoltà reali, non necessariamente limitati all’ambito scolastico, con i quali tutti i giorni i docenti si confrontano nelle aule scolastiche, il ministro, evidentemente mal consigliato, propone, così come da qualche anno fanno i diversi ministri che si succedono a viale Trastevere, soluzioni semplicistiche e inefficaci.
Infatti, invece di cercare nell’analisi della società e della scuola le cause attorno alle quali costruire una politica scolastica che individui proposte di soluzioni efficaci e condivise, non si trova niente di meglio da fare che imputare agli insegnanti e ai loro metodi, naturalmente obsoleti, la responsabilità dei fallimenti delle politiche dell’istruzione.
Del resto da diversi anni, oramai, i ministri si limitano a indicare genericamente gli obiettivi di politica scolastica e a “suggerire” (nel nuovo linguaggio ministeriale oggi si usa il verbo “accompagnare”) nuove modalità didattiche agli insegnanti.
Sembra che per risolvere i problemi della scuola superiore italiana sia sufficiente dichiarare obsoleto il metodo precedente, proporne uno nuovo, magari cambiando il nome alle attività svolte, e obbligare i docenti ad aggiornarsi. Come non ricordare le ore spese per apprendere i nuovi sistemi di valutazione o per costruire simulazioni di unità didattiche e moduli, basandosi su conoscenze, capacità, abilità, obiettivi.
Ma l’ultimo ritrovato: le competenze, li supera tutti, almeno stando a quanto scritto nelle Linee guida. Le competenze, nonostante siano utilizzate dal ministero per indicare ciò che il lavoro dei docenti dovrebbe conseguire, rimangono ancora indefinite, soprattutto nella parte riguardante la misurazione/valutazione, quasi un “oscuro oggetto” dei desideri ministeriali.
Chi pratica le aule scolastiche, ad esempio gli insegnanti, sa che da tempo nelle secondarie superiori si è attuata una “profonda revisione metodologica e organizzativa della didattica”. E al ministero del resto si dovrebbe sapere che la scuola italiana e i suoi insegnanti non sono rimasti alla Riforma Gentile . Sarebbe sufficiente che si guardasse lo stesso sito ministeriale dedicato agli Esami di Stato: assieme ai corsi ordinari compaiono quasi 1000 sperimentazioni.
Evidentemente al ministero sono convinti che i nuovi metodi siano la panacea dei mali della scuola superiore italiana; poi se i nuovi metodi non dovessero funzionare si potrebbe sempre dare tutta la responsabilità ai docenti che, “obsoleti”, non sono in grado di applicare i nuovi “miracolosi” metodi.
Non bisogna essere degli indovini per sapere che se questo è il modo in cui il ministero intende risolvere il problema dell’elevazione dell’obbligo e della qualità dell’istruzione in Italia i risultati saranno, come del resto è accaduto finora, un ulteriore peggioramento della qualità dell’istruzione.
Anzi crediamo che sia facilmente dimostrabile, al contrario, che questi continui cambiamenti e sperimentazioni, mai seriamente verificati nei risultati finali, siano i responsabili principali dello scadimento della qualità dell’istruzione in Italia.
Come devono regolarsi le scuole e i docenti
Cosa fare allora nei prossimi mesi? Come deliberare nei Collegi docenti che saranno chiamati a pronunciarsi sui documenti che si riferiscono all’attuazione dell’obbligo d’istruzione?
Innanzitutto è bene precisare che, per legge, le decisioni in materia didattica spettano al Collegio dei docenti e non ad altri, es. Dirigenti scolastici, ed è importante ribadire e difendere questa prerogativa. Questo comporta un’assunzione di responsabilità di tutti gli insegnanti: possiamo e dobbiamo decidere noi senza delegare ad altri ( Dirigenti, studenti e famiglie questo compito), nella consapevolezza che siamo gli unici a possedere la professionalità necessaria a poter promuovere una scuola pubblica di qualità.
Poi si devono leggere e studiare i documenti del ministero, discuterne con i colleghi, alla luce delle esperienze sulle innovazioni introdotte negli ultimi decenni, e utilizzare il pragmatismo del buon senso, che spesso manca negli atti di viale Trastevere.
Occorre inoltre precisare che non esiste una risposta unica e decisiva alle domande poste, ma crediamo sia necessario partire da quello che scuole superiori e insegnanti stanno già facendo, dai POF che sono utilizzati (ricordatevi della possibilità di inserire nei POF anche la tutela delle specificità professionali individuali), dalla libertà d’insegnamento. Il buon senso ci dice che non è obbligatorio cambiare ciò che funziona e dà buoni risultati, anche se non “combina assi culturali e competenze”. Là dove sono utilizzate “buone pratiche didattiche”, ci si può limitare a confermare ciò che funziona. Si può passare successivamente ad individuare le criticità e, indipendentemente dal fatto che siano nuove o vecchie, cambiare ciò che non funziona con ciò che sta funzionando, verificando e monitorando l’efficacia delle innovazioni; nessuno vieta di tornare sui propri passi documentando l’inefficacia delle stesse.
Infine c’è la necessità di evitare gli errori degli anni appena trascorsi che, con le loro innovazioni, hanno, spesso, avuto il solo risultato di aumentare il lavoro burocratico degli insegnanti; in particolare è necessario evitare gli aggiornamenti inutili e promuovere momenti di approfondimento della nostra professionalità legata soprattutto al sapere disciplinare.
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Come è formulato il testo delle Linee guida
Il testo definitivo delle Linee guida è formato da una Premessa, un’Appendice e sette capitoli: Il contesto di riferimento, Aspetti generali, Orientamento e recupero, Formazione, Valutazione e certificazione, Sostegno e osservazione del processo, Finanziamenti.
Premessa
Nella premessa, così come chiesto dalla Gilda degli insegnanti, è stato attenuato il carattere di prescrittività delle Linee, sottolineandone la funzione di “accompagnamento” e valorizzando l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Sono inoltre segnalati:
- il carattere sperimentale di questa prima fase (2007-2009) di attuazione dell’obbligo d’istruzione;
- i richiami “all’importanza strategica di questo cambiamento, che comporta una profonda revisione metodologica e organizzativa della didattica”;
- la volontà di rendere “coerente e unitario l’intero percorso decennale dell’obbligo”, unitarietà, che se intesa come il proseguimento della scuola media inferiore senza soluzione di continuità, che prefigura una nuova struttura del sistema scolastico suddiviso in due cicli quinquennali: cinque anni di scuola elementare e altri cinque di scuola media inferiore (premessa per l’abolizione anche dell’esame di terza media?), non può essere valutata positivamente (ricordo che studi autorevoli riconoscono la necessità di alcune tappe/cesure indispensabili nella formazione degli adolescenti);
- l’indicazione che tutti gli studenti alla fine del biennio devono conseguire i saperi e le competenze minimi comuni (questa indicazione, permanendo la diversità di indirizzi e tipologia delle istituzioni scolastiche, risulta difficilmente perseguibile, a meno che si voglia nei fatti riformare la secondaria, introducendo il “biennio unico” con la quarta e quinta classe di scuola media inferiore.
Fortemente discutibile risulterebbe inoltre l’elevazione dell’obbligo di istruzione di due anni se poi venisse richiesta, agli studenti, in 10 anni l’acquisizione di “saperi e competenze minimi” che prima acquisivano in 8; nella situazione economica dell’Italia attuale sarebbe senz’altro valutato dall’opinione pubblica come uno spreco di risorse.
Le linee guida hanno valore anche per i percorsi regionali d’istruzione e formazione, almeno per il biennio 2007-2009.
Il contesto di riferimento
Sono richiamati gli elementi che formano il contesto nel quale si attua l’elevazione dell’obbligo: la normativa europea e italiana, compreso il diritto dovere che non è stato abolito.
Su richiesta della Gilda è stato precisato che l’attuazione dell’obbligo deve rispettare gli “obblighi di servizio del personale della scuola come definiti dagli accordi contrattuali”.
Si rileva inoltre il ritorno dell’obbligo del successo scolastico (promozione garantita per tutti?), almeno così sembra di poter leggere il passaggio: “Con ciò viene affermata l’esigenza che l’innovazione risulti tale da garantire il raggiungimento dei livelli essenziali di apprendimento, sia sul piano dei saperi disciplinari, sia in relazione alle competenze … che tutti gli studenti devono acquisire nel percorso d’istruzione obbligatorio”.
Infine secondo le indicazioni di questo capitolo tutti gli alunni devono aver conseguito gli stessi saperi e le stesse competenze minime al termine del biennio. Domanda: gli alunni che avranno terminato un qualsiasi biennio dell’obbligo potranno scegliere di frequentare un qualunque triennio di secondaria superiore senza eventuali integrazioni e/o passerelle?
Aspetti generali
Come richiesto dalla Gilda degli insegnanti questa parte è stata alleggerita dalle indicazioni didattico-burocratiche, lasciando spazio all’autonomia delle istituzioni scolastiche (ad esempio è stata sostituita l’indicazione “superare l’attuale partizione disciplinare” con la più aperta, e ambigua, “individuazione delle strategie più appropriate per l’interazione disciplinare, per superare progressivamente la frammentazione dei saperi negli attuali curricoli”.
Il “nuovo obbligo di istruzione assume come fondamento principale il lavoro degli Organi collegiali”, in particolare del Collegio docenti.
Sono rimasti, seppur attenuati, i riferimenti agli Assi culturali, alla didattica delle competenze e all’ampia “utilizzazione degli spazi di flessibilità curricolare e organizzativa”.
Orientamento e recupero
Dopo aver posto l’accento sull’importanza dell’orientamento come strumento per l’acquisizione delle competenze chiave e per la lotta alla dispersione scolastica si trova il libro dei sogni chiedendo “una programmazione didattica ed educativa centrata sui processi di apprendimento misurata sui livelli in ingresso e sui diversi ritmi e stili cognitivi degli studenti, che comprenda attività dedicate al recupero di ogni tipo di svantaggio senza trascurare la promozione delle eccellenze”. E per il libro dei sogni ogni commento reale è superfluo.
L’ultima indicazione chiede il “recupero dei saperi disciplinari non acquisiti durante il percorso scolastico precedente che sono essenziali per il raggiungimento delle competenze che caratterizzano gli assi culturali relativi al nuovo obbligo d’istruzione”. Passaggio questo notevolmente contraddittorio rispetto alla normativa vigente, perché se un alunno non raggiunge i livelli minimi non può essere promosso alla classe successiva, ma in linea con l’obbligo del successo scolastico (promozione garantita a tutti?).
Formazione
In questo capitolo è stato tolto ogni riferimento all’obbligo dell’aggiornamento, al ruolo delle Rsu e ai compiti degli Organi collegiali, cosi come chiesto dalla Gilda, poiché aggiornamento e compiti delle RSU sono normati dal CCNL, quelli degli organi collegiali dalla legge. In particolare l’aggiornamento è un diritto-dovere e non può essere reso obbligatorio. Si possono eventualmente prevedere forme d’incentivazione (economica e con permessi) per motivare i docenti (ora le attività di aggiornamento per i docenti di norma sono fatte senza esonero dal servizio e a proprie spese).
Negli obiettivi della formazione si ritrovano gli elementi critici dell’innovazione didattica segnalati nell’introduzione, infatti, sono ipotizzati piani “pluriennali di formazione dei docenti” che “si configurano come misure per lo sviluppo della loro professionalità, nella consapevolezza della complessità e delle difficoltà che essi incontreranno a tradurre gli obiettivi previsti dai curricoli dei diversi ordini, tipi e indirizzi di studio nelle competenze riferite agli assi culturali che caratterizzano il nuovo obbligo di istruzione”.
Questi piani hanno la funzione di aiutare i docenti a: veicolare “il senso della nuova prospettiva educativa fondata sul concetto di competenza e collegata ai saperi e agli assi culturali, superando la dimensione settoriale dell’insegnamento”; ricercare “metodologie idonee” e “intrecci tra gli assi culturali”; rimodulare “criteri e modalità di valutazione” e, infine, potenziare la continuità con la scuola dell’infanzia e del primo ciclo.
Valutazione e certificazione
In questo capitolo emergono alcuni elementi di criticità dell’innovazione didattica, anche se viene precisato che, in questo biennio sperimentale, per la valutazione rimangono vigenti i riferimenti normativi del DPR 275/99 e della periodica OM sugli scrutini ed esami, si aggiunge che “la valutazione in termini di risultati di apprendimento, il concetto di competenza in relazione a conoscenze e abilità, … presuppongono un ripensamento profondo sia delle strategie didattiche sia della valutazione” non si sfugge, viste le esperienze dei decenni scorsi, alla spiacevole sensazione che si reintroduca l’obbligo del successo scolastico (promozione garantita a tutti grazie alle alchimie dei nuovi sistemi di valutazione?).
Per la certificazione si “accompagnano” gli strumenti predisposti dalle scuole “per una migliore comprensione da parte delle famiglie e degli studenti, del nuovo processo valutativo fondato sull’acquisizione delle competenze” con l’impegno del ministero di definire “modelli di certificazione” validi su tutto il territorio nazionale (speriamo non si ripresenti il Portfolio, che sembrava emergere dalla prima bozza delle linee guida).
Sostegno e osservazione del processo
In questo capitolo, pur permanendo incombenze burocratiche e compiti formali, sono state, in buona parte, rese volontarie e autonome, come richiesto dalla Gilda, tutta una serie di operazioni che erano invece imposte nella prima bozza alle scuole.
Il ministero organizza un servizio di consulenza online, una biblioteca online e istituisce gruppi di lavoro presso gli USR e gli USP a sostegno dell’innovazione da attivare su richiesta delle scuole.
Le scuole stesse, se lo riterranno necessario e “previa delibera del Collegio dei docenti, nelle forme che ritiene più opportune” potranno dotarsi “di un nucleo operativo dedicato all’attuazione del nuovo obbligo, a sostegno del lavoro collegiale”.
Per quanto riguarda la valutazione del processo di innovazione il ministero e l’Invalsi hanno costituito un gruppo di lavoro nazionale con il compito di monitorarne i risultati, redigendo un rapporto intermedio entro il 30 settembre 2008 e uno finale a conclusione del biennio sperimentale.
Finanziamenti
Quest’ultimo capitolo, fortemente voluto dalla Gilda degli insegnanti, purtroppo rimane miseramente scarno: si invitano le scuole ad usare i fondi a disposizione nei bilanci (sarà sfuggito al ministero che i bilanci delle scuole sono in rosso), i fondi specifici della Legge 440/97 e quelli del PON.
Appendice
Nell’appendice sono riportati i riferimenti ai documenti dell’UE e agli strumenti a livello europeo per la certificazione, la validazione e il riconoscimento dei risultati di apprendimento nella prospettiva dell’apprendimento permanente.