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Umanistiche: DIARIO DI UN MILLENNIO CHE FUGGE

Rassegna stampa

Il sottotitolo è "Il romanzo di una generazione senza qualità"  (Roma, Theoria,1986. romanzo) di Marco Lodoli
Il libro è stato ripubblicato negli " Einaudi Tascabili"(Torino 1977) con uno scritto di Pietro Citati.
Ambientato tra il 1982 e il 1999, il romanzo vuole essere  la testimonianza di una società giunta allo scadere del secolo priva di valori e di dignità, ripiegata sterilmente su se stessa, incapace di fondare alcunchè di costruttivo.

Il protagonista, un giovane di cui non si conosce età, professione nè nome,"un uomo senza qualità" ripercorre le vicende della sua vita narrandole in forma diaristica e  si  trova coinvolto in situazioni che non ha scelto nè in alcun modo determinato. Ha sposato senza convinzione Serena solo perchè la donna gli si era offerta : ha assistito inerte alla sua relazione con Fernando, un amico e infine ha lasciato che la donna morisse soffocata mentre mangiava. La sua vita è stata  in sostanza , una ripetizione di quella del padre, anche lui votato al fallimento. Quando l'azienda agricola di famiglia sta per essere rilevata dall'ex fattore, la caparra da questi versata viene messa in gioco e perduta ( anche se si intuisce che è semplicamente finita nelle tasche di Ferdinando).Gran parte del romanzo è costituita dalla fuga insensata e senza meta del protagonista e di Clo, una bellissima sordomuta della quale anche Fernando si è innamorato.I personaggi del romazo sono caratterizzati da una invincibile irresolutezza e soccombono di fronte alle difficoltà senza sapere reagire adeguatamente. .
I temi ricorrenti nell'opera di Lodoli si potrebbero individuare nel viaggio e nella morte, così come in un'attenta analisi dei rapporti intercorrenti tra l'io e gli altri.
Attualmente è professore di scuola superiore ,senza peraltro aver abbandonato l'attività letteraria. Ma eccovi un suo eloquente commento a proposito delle nuove generazioni.......M.Allo


I jeans a vita bassa
delle quindicenni
di MARCO LODOLI


INSEGNARE a scuola mette in contatto con le verità del giorno: è come raccogliere uova appena fatte, ancora calde, magari con il guscio un po' sporco. Gli storici interrogano i secoli, ma in una classe di una qualsiasi periferia italiana si ascolta il battere dei secondi. Ebbene, oggi una ragazza di quindici anni, un'allieva che non aveva mai rivelato una particolare brillantezza, ha fatto una riflessione che mi ha lasciato a bocca aperta.

Eravamo negli ultimi dieci minuti di lezione, quelli che spesso si spendono in chiacchiere con gli alunni. La ragazza raccontava di volersi comprare un paio di mutande di Dolce e Gabbana, con quei nomi stampati sull'elastico che deve occhieggiare bene in vista fuori dai pantaloni a vita bassa. Io le obiettavo che lungo la Tuscolana, alle sei di pomeriggio, passeggiano decine e decine di ragazze vestite così.

Non è un po' triste ripetere le scelte di tutti, rinunciare ad avere una personalità, arrendersi a una moda pensata da altri? E da bravo professore un po' pedante le citavo una frase di Jung: "Una vita che non si individua è una vita sprecata". Insomma, facevo la mia solita parte di insegnante che depreca la cultura di massa e invita ogni studente a cercare la propria strada, perché tutti abbiamo una strada da compiere.

A questo punto lei mi ha esposto il suo ragionamento, chiaro e scioccante: "Professore, ma non ha capito che oggi solo pochissimi possono permettersi di avere una personalità? I cantanti, i calciatori, le attrici, la gente che sta in televisione, loro esistono veramente e fanno quello che vogliono, ma tutti gli altri non sono niente e non saranno mai niente. Io l'ho capito fin da quando ero piccola così. La nostra sarà una vita inutile. Mi fanno ridere le mie amiche che discutono se nella loro comitiva è meglio quel ragazzo moro o quell'altro biondo. Non cambia niente, sono due nullità identiche. Noi possiamo solo comprarci delle mutande uguali a quelle di tutti gli altri, non abbiamo nessuna speranza di distinguerci. Noi siamo la massa informe".

Tanta disperata lucidità mi ha messo i brividi addosso. Ho protestato, ho ribattuto che non è assolutamente così, che ogni persona, anche se non diventa famosa, può realizzarsi, fare bene il suo lavoro e ottenere soddisfazioni, amare, avere figli, migliorare il mondo in cui vive. Ho protestato, mettendo in gioco tutta la mia vivacità dialettica, le parole più convincenti, gli esempi più calzanti, ma capivo che non riuscivo a convincerla. Peggio: capivo che non riuscivo a convincere nemmeno me stesso. Capivo che quella ragazzina aveva espresso un pensiero brutale, orrendo, insopportabile, ma che fotografava in pieno ciò che sta accadendo nella mente dei giovani, nel nostro mondo.

A quindici anni ci si può già sentire falliti, parte di un continente sommerso che mai vedrà la luce, puri consumatori di merci perché non c'è alcuna possibilità di essere protagonisti almeno della propria vita. Un tempo l'ammirazione per le persone famose, per chi era stato capace di esprimere - nella musica o nella letteratura, nello sport o nella politica - un valore più alto, più generale, spingeva i giovani all'emulazione, li invitava a uscire dall'inerzia e dalla prudenza mediocre dei padri. Grazie ai grandi si cercava di essere meno piccoli. Oggi domina un'altra logica: chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori per sempre. Chi fortunatamente ce l'ha fatta avrà una vita vera, tutti gli altri sono condannati a essere spettatori e a razzolare nel nulla.

Si invidiano i vip solo perché si sono sollevati dal fango, poco importa quello che hanno realizzato, le opere che lasceranno. In periferia ho conosciuto ragazzi che tenevano nel portafoglio la pagina del giornale con le foto di alcuni loro amici, responsabili di una rapina a mano armata a una banca. Quei tipi comunque erano diventati celebri, e magari la televisione li avrebbe pure intervistati in carcere, un giorno.

Questa è la sottocultura che è stata diffusa nelle infinite zone depresse del nostro paese, un crimine contro l'umanità più debole ideato e attuato negli ultimi vent'anni. Pochi individui hanno una storia, un destino, un volto, e sono gli ospiti televisivi: tutti gli altri già a quindici anni avranno solo mutande firmate da mostrare su e giù per la Tuscolana e un cuore pieno di desolazione e di impotenza.

m.allo









Postato il Domenica, 20 gennaio 2008 ore 17:53:33 CET di Maria Allo
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