ECCOVI UN INTERVENTO DEL PROF. PIETRO CATALDI, COLLABORATORE DI ROMANO LUPERINI, SULLA TRADUZIONE DEI CLASSICI ITALIANI...
Sulla questione della traduzione dei classici italiani, di una traduzione dunque dall'italiano all'italiano, è possibile avere due visioni opposte. La prima grida allo scandalo: tradotto, Boccaccio diventa un'altra cosa, tale da allontanare irreparabilmente l'originale e da abituare al kitch linguistico. La seconda ostenta saggezza pragmatica: piuttosto che rinunciare al Decameron, meglio farne leggere le versioni in italiano moderno. Confesso di essere d'accordo con entrambe le posizioni, ma di restare insoddisfatto da entrambe. La prima infatti rischia di considerare il testo originale come un feticcio, e di usare la sua "sacralità" per arginare la crisi della letteratura e dell'insegnamento. Non leggiamo forse tradotti la Bibbia e Omero, Tolstoj e Yehoshua? E quanti fra i più colti professori scandalizzati di Boccaccio tradotto hanno letto Hegel e Freud - e magari Goethe e Cervantes - in lingua originale? Perché allora infliggere a sedicenni digiuni dell'italiano letterario del Trecento un'impresa che noi stessi, con il nostro spagnolo o tedesco da dilettanti, non azzardiamo? Se vogliamo che le avventure di Andreuccio e di Calandrino appassionino i ragazzi di oggi, siamo certi che la strada migliore sia lo spelling affannato su una sintassi impervia? È da questo affanno che può passare il contatto formativo con un testo? D'altra parte, ridotti in italiano moderno, Dante e Boccaccio e magari Manzoni e Leopardi non sono davvero più loro. Ci parlano con una voce straniata e falsa. A differenza della traduzione in una lingua diversa dall'italiano, la loro traduzione in italiano moderno configura una sorta di mostruoso sosia linguistico, che sembra parodiare il gemello di cui svolge le funzioni. Per quanto grave sia la situazione dell'insegnamento dell'italiano nella scuola di oggi, sostituire gli originali con questi mutanti sinistri appare con evidenza una sconfitta storica perfino irreparabile. E allora? Lo so, ho disegnato una contraddizione senza scampo. E di più si potrebbe insistervi. E onestamente non vedo, o appena, una via d'uscita. Se una ce n'è, di certo non sta nell'arroccamento filologistico sull'originale, né sulla spavalda sua eclisse a vantaggio delle copie; sta invece piuttosto nella dialettica da ritentare ogni volta fra contatto con il testo originale e sua mediazione linguistica e culturale, da operare a ogni costo: a ogni costo. Un punto di equilibrio e di sintesi potrà essere qualche volta l'alternanza fra i due momenti e le due esperienze, qualche altra la pratica del testo a fronte, più spesso, a mio giudizio, un ricorso consapevole e problematico allo strumento della parafrasi, il vero tertium datur di questo dualismo inquietante. E ogni tentativo sarà legittimo, mentre discutiamo tutti di una questione decisiva e vitale, purché non si rinunci a garantire la comprensione dei testi, né a tentare il contatto con la loro materialità storica.
Pietro Cataldi