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Umanistiche: I cinquant'anni di Susanna Tamaro

Rassegna stampa
Se “Va’ dove ti porta il cuore” nel 1994 ha rappresentato il caso letterario che impone il nome di Susanna Tamaro all’attenzione di tutti i lettori e i critici italiani, il successivo libro “Anima mundi” viene accolto da critiche e da feroci stroncature. Il testo è di grandi ambizioni filosofiche (tratta di male e redenzione) e racconta la storia di un adolescente difficile cresciuto senza amore che arriva a Roma e qui, nella solitudine e nell’anonimato della grande città, è chiamato ad affrontare una serie di scelte difficili.

Nel romanzo la scrittrice triestina analizza i sentimenti umani; ecco, infatti, come parla della compassione e della commozione: “…D'un tratto, davanti ai miei occhi, è comparsa l'immagine di un bambino che veniva al mondo. Era mio padre. Non era solo. Dietro di lui c'era mia madre e poi Andrea, Neno, Federico, Orio, Orsa. C'erano loro e c'era il piccolo corpo rugoso di suor Irene. E dopo suor Irene, il mio. Un giorno lontano eravamo stati tutti nudi, inermi, fragili e stupefatti. Avevamo avuto tutti lo stesso sguardo, quel giorno. Uno sguardo privo di pregiudizio, luminoso di gioia. C'era qualcosa di struggente in quell'immagine, qualcosa che mi bruciava dentro. In fondo, ho pensato continuando a inerpicarmi su per il monte, per smettere di odiarsi basterebbe vedere le persone così. Se avessi ricordato mio padre come un neonato, invece che come un ubriacone, sarebbe sparito ogni rancore. L'unico sentimento possibile sarebbe stata la commozione. La stessa identica commozione che avevo provato accanto al suo letto di morte. Commozione e compassione. Commozione per la nudità, compassione per la sua fragilità…”
  Se la letteratura è la forma espressiva che ha portato Susanna Tamaro al successo, nella formazione della scrittrice triestina ha avuto un grande ruolo il cinema. Nel 1976 la Tamaro si trasferisce a Roma, dove frequenta il centro sperimentale di cinematografia. Fondamentali per la trasformazione di testi letterari in sceneggiature sono le lezioni del suo insegnante Valerio Zurlini. Nel 1977 Susanna Tamaro è assistente alla regia di Salvatore Samperi in “Ernesto”, pellicola tratta dal romanzo incompiuto di Umberto Saba. La collaborazione con il regista di Padova dura due anni. Nel 2004 la Tamaro esordisce dietro la macchina da presa dirigendo “Nel mio amore”, film ispirato al suo racconto “l’inferno non esiste”. La pellicola narra la storia di una donna che dopo la morte dell’amato figlio e del marito fa i conti con il proprio passato e riesce a ricostruire un rapporto con la figlia con la quale non parlava da anni.

 Si può dire che la letteratura Susanna Tamaro la abbia nel sangue. Infatti, è’ imparentata, seppur alla lontana, con lo scrittore Ettore Schmitz, più noto con il nome di Italo Svevo. Una parentela decisamente importante a livello culturale se si pensa che Italo Svevo è stato tra gli scrittori che meglio di tutti hanno saputo descrivere la crisi dell’uomo del Novecento, che ha avuto importanti contatti con uno dei più grandi innovatori della letteratura mondiale, James Joyce, e che è stato uno dei primi intellettuali italiani ad occuparsi di psicanalisi, avendo tradotto un’opera di Freud sul sogno. Svevo è costretto a lavorare a lungo come impiegato in banca a causa del dissesto economico della famiglia ma riesce ad evadere dalla monotona vita da impiegato grazie alla sua passione per la letteratura (nella biblioteca civica si Trieste ha l' opportunità di conoscere l’opera di Honoré de Balzac, Gustave Flaubert ed Emile Zola). Nel 1892 Svevo pubblica a sue spese il primo romanzo, che è anche la prima apparizione del suo tipico personaggio dell’ “inetto alla vita”, “Una vita”. Il libro descrive il risibile tentativo di scalata sociale del protagonista Alfonso Nitti, il quale, però, ad un passo dal matrimonio con la ricca Annetta perde per la propria incapacità ed indolenza la donna, vedendo così svanire i propri sogni di affermazione sociale. Incapace di adattarsi alle situazioni che la vita gli presenta Alfonso si suicida. Con grande amarezza Italo Svevo è, però, costretto a constatare l’indifferenza con cui il pubblico accoglie la sua opera. Altro dolore gli procura nel 1898 la pubblicazione del suo secondo romanzo “Senilità” che va incontro allo stesso insuccesso di "Una vita". L’opera dello scrittore triestino mostra grande originalità nella centralità riservata all’analisi della coscienza del protagonista Emilio Brentani, un altro inetto, e nella sua rigorosa opera di svelamento degli alibi e degli autoinganni che il personaggio via via si costruisce. La freddezza del pubblico nei confronti del romanzo ha, questa volta, conseguenze negative: deluso, Svevo si autocondanna ad un silenzio che dura quasi venticinque anni. E’ il famoso “caso Svevo”, una sorta di rimozione dell’esperienza letteraria, che porta l’autore a definire la scrittura come “quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura”. Nel 1923 Svevo decide finalmente di tornare a scrivere e realizza il suo capolavoro “La coscienza di Zeno”. Ancora una volta il pubblico sembra essere sordo all’arte sveviana ma James Joyce riesce a far conoscere l’opera in Francia (importante fu la recensione del critico Valéry Larbaud) e nel Belpaese è Eugenio Montale in un suo articolo a segnalare la grandezza di Svevo al pubblico italiano. “La coscienza di Zeno” si stacca dalle tradizionali tecniche narrative mettendo da parte la successione cronologica degli avvenimenti mostrandoli seguendo il fluire dei ricordi nella coscienza del protagonista Zeno Cosini. Il romanzo è in realtà costruito sul diario che Zeno scrive su richiesta del suo psicanalista. Costruito su due piani temporali (“il tempo della memoria” e “il tempo dell’attualità”), il romanzo di Svevo è diviso in sei capitoli principali concernenti sei episodi fondamentali per la psiche del protagonista: “il fumo”, “La morte di mio padre”, “La storia del mio matrimonio”, “La moglie e l’amante”, “Storia di un’associazione commerciale” e “Psico-analisi”.
Nel 1977 Susanna Tamaro è assistente alla regia di Salvatore Samperi in “Ernesto”, pellicola tratta dal romanzo incompiuto e pubblicato postumo di Umberto Saba. La collaborazione con il regista di Padova dura due anni. Salvatore Samperi esordisce nel 1968 con una pellicola innervata di fermenti libertari ed antiborghesi “Grazie zia”, satira di costume che racconta le vicende del figlio di un ricco industriale che coinvolge una zia dottoressa nelle sue nevrosi. Altri lavori erotico-melodrammatici di grande successo sono “Malizia” (1973) commedia arricchita da una splendida Laura Antonelli e dalla fotografia di Vittorio Storaro e il piccante racconto balneare di un ragazzo che porta al mare la bella cognata “Peccato veniale” (1974). Con “Scandalo” (1976) in cui attraverso la storia d’amore tra una farmacista ed un garzone narra la discesa all’inferno della donna rovinata dall’odio di classe che tormenta il giovane. Nel 1976 e nel 1982 porta sul grande schermo i fumetti satirici ed antimilitaristi di Bonvi in “Sturmtruppen” e “Tutti al fronte”. Torna ad argomenti erotici in “Fotografando Patrizia” (1984) e “Malizia 2000” sequel del suo grande successo “Malizia”.
Nel 2006, a distanza di dodici anni dall’uscita di “Và dove ti porta il cuore” Susanna Tamaro scrive il seguito del suo capolavoro: “Ascolta la mia voce”. Il romanzo riparte dalla descrizione dei rapporti tra nonna e nipote (che è tornata dall’America), che vengono presto troncati dalla malattia e dalla morte dell’anziana donna. Adesso è la nipote, rimasta sola, a riannodare i fili del passato della storia dei suoi parenti. Spinta dal desiderio di fare luce sui segreti che opprimono la sua famiglia si reca in una soffitta trovando un diario che le permette di ricomporre la storia della propria vita, arrivando a scoprire la vera identità di suo padre, un professore universitario che l’aveva concepita insieme alla madre, una studentessa di filosofia morta in un incidente d’auto quando lei aveva ancora quattro anni. Inoltre dalle carte emerge l’enigmatica figura di un prozio fuggito in un paese lontano a causa delle leggi razziali. Per ritrovare padre e zio la giovane intraprende un viaggio che le permetterà di ritrovare le proprie origini.
Il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma Susanna Tamaro ha come insegnante Valerio Zurlini, dal quale apprende come trasformare i testi letterari in sceneggiature. Valerio Zurlini realizza alcuni importanti documentari prima di realizzare nel 1954 il suo primo lungometraggio “Le ragazze di San Frediano” tratto dal romanzo di Vasco Pratolini prima di imporsi nel 1959 con “Estate violenta” racconto di tormenti adolescenziali ed educazione civile sullo sfondo dell’Italia martoriata del 1943. “La ragazza con la valigia” (1961) è la storia dell’amore impossibile, per differenza di classe sociale, tra una soubrette ed un giovane di buona famiglia mentre “Cronaca familiare” (1962), tratto ancora da Vasco Pratolini, racconta l’amore fraterno attraverso i ricordi di uno scrittore e giornalista che ha appreso della morte del fratello minore. Il dostoevskijano “La prima notte di quiete” (1972) è un tragico melodramma ambientato in provincia su di un professore di lettere animato da sentimenti inquieti che si innamora di una sua allieva. Torna alle trasposizioni di capolavori letterari (questa volta da Dino Buzzati) portando sul grande schermo l’angosciosa attesa del tenente Drogo nell’ammirevole “Il deserto dei Tartari” (1976).

di m.allo








Postato il Mercoledì, 26 dicembre 2007 ore 12:37:54 CET di Maria Allo
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