Il degrado in cui versano i nostri sistemi scolastico e universitario documenta il fallimento delle riforme dall’alto. Solo la concorrenza fra scuole libere e fra università autonome può costituire la svolta decisiva all’inefficienza del sistema monopolistico-napoleonico.
Un bello spirito ha sostenuto che l’istruzione ha due finalità: deve educare a vivere e deve insegnare a guadagnarsi da vivere.
Credo che nessuno sia disposto a sostenere che la scuola e l’università nell’Italia di oggi conseguano soddisfacentemente questi due importanti obiettivi. La conquista dell’agognato "pezzo di carta", che per molti decenni è stato visto come la condizione necessaria per ottenere "il posto", il lasciapassare per l’ingresso in un’occupazione decorosa, oggi in moltissimi casi non garantisce affatto il conseguimento di quell’obiettivo, la soddisfazione di quell’aspirazione.
Il tasso di disoccupazione è più alto per i giovani in possesso di un attestato di istruzione anche superiore, laurea o diploma, di quanto non sia per la media. Come mai?
Sono convinto che la causa evidente del problema vada ricercata nel degrado in cui versa il nostro sistema di istruzione, scolastico ed universitario. Che il nostro sistema scolastico versi in condizioni disastrose dopo decenni di declino e gli innumerevoli tentativi di riformarlo è noto a chiunque abbia familiarità con la scuola. Che questa sia in grave crisi è unanimemente riconosciuto. Che fare?
C’è ancora qualcuno disposto a sostenere che esista "la" riforma: una soluzione di efficacia certa che, calata dall’alto su tutte le scuole italiane, ne risolva immediatamente i problemi? A me non sembra sensato credere ad una simile sciocchezza. Eppure, è sulla base di questa luciferina presunzione che si sono mossi schiere di ministri, ispirati da nobili intenzioni e convinti di possedere la risposta infallibile a tutti i problemi della scuola.
Riforma dopo riforma, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: i problemi sono invariabilmente peggiorati. Discorso analogo vale per le università, che sfornano persone in possesso di diploma dotato di valore legale (sic) dietro il quale sta in molti casi un bagaglio di nozioni assolutamente prive di utilità pratica. Siamo cioè in presenza di una gigantesca fabbrica di disadattati: le università sfornano laureati che rifiutano lavori non reputati consoni al loro livello di istruzione e che sono in possesso di una preparazione di cui nessuno sa che fare.
Anche per le università si è seguito il metodo usato per la scuola: frotte di illuminati riformatori ispirati da nobili intenzioni hanno scaricato sulle nostre università riforme a ritmo incessante. Anche qui i risultati parlano da soli. Non credo che qualcuno possa sostenere in buona fede di conoscere "la" soluzione per lo sfascio delle nostre università. E allora?
Per l’università, come per la scuola, le soluzioni devono essere trovate di volta in volta grazie allo stimolo della concorrenza e tenendo conto dei desideri e delle esigenze dei destinatari del servizio, gli studenti e le loro famiglie. Il ruolo dello Stato dovrebbe limitarsi da un lato ad imporre a tutte le scuole i requisiti minimi da rispettare nell’insegnamento, lasciando alla discrezionalità dei gestori delle scuole di decidere in piena libertà cosa insegnare al di là dei minimi imposti.
Ci sarebbero così scuole diverse in cui l’insegnamento verrebbe organizzato in modo da tenere conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie. D’altro canto, lo Stato dovrebbe anche assicurare l’accesso all’istruzione obbligatoria anche a coloro che non hanno i mezzi per pagarsela. Non dovrebbe fare altro. Le soluzioni ai problemi della scuola verrebbero individuate da chi è a costante contatto con tali problemi ed ha un interesse diretto ed urgente alla loro soluzione: studenti, famiglie, insegnanti e gestori scolastici.
Quanto alle università dovrebbero essere costrette a finanziarsi da sole: non si vede perché chi non può o non vuole andare all’università debba pagare tasse per consentire a chi ci va di non sopportare per intero il costo dell’istruzione che riceve. Nessuno credo reputerebbe giusto tassare il meccanico per fare risparmiare al futuro notaio parte del costo della sua istruzione universitaria.
Le università dovrebbero finanziarsi con le rette pagate dagli studenti, con le donazioni ricevute da privati e con servizi resi alla società. Ancora una volta, lo Stato dovrebbe limitarsi a favorire l’accesso all’istruzione universitaria a quanti non possono pagarsela. Borse di studio, prestito d’onore ed altri meccanismi potrebbero facilmente garantire a tutti l’accesso all’università. Tutto il resto: quali insegnamenti attivare, come strutturare gli studi, come assumere gli insegnanti, eccetera dovrebbe essere lasciato alle scelte di università libere e responsabili in concorrenza fra loro.
La tesi apparirà, ne sono certo, paradossale a quanti subiscono ancora l’influenza dei molti decenni in cui si è creduto che la scuola e l’università dovessero essere "pubbliche", cioè statali. L’idea che solo la concorrenza fra scuole libere e quella fra università autonome possa risolverne i problemi parrà sacrilega a molti, ma basta un attimo di riflessione per rendersi conto che non è così.
L’ingloriosa fine del comunismo, il mito più pernicioso e nefasto della storia dell’umanità, ha fatto comprendere a molti l’insensatezza di pretendere di organizzare l’intera economia nazionale in base ad un "piano" studiato a tavolino da esperti onniscienti ed imposto a tutta la società. Si è compreso, anche se purtroppo non da tutti, che nazionalizzare un’impresa per affidarla alle amorevoli cure di un qualche boiardo di Stato era la ricetta più sicura per dare vita ad inefficienza, sprechi e montagne di debiti.
Forse questo spiega come persino a sinistra si vada predicando contro i pericoli dei monopoli, a favore dei vantaggi della concorrenza ed in lode delle privatizzazioni e liberalizzazioni. Se la concorrenza è il metodo migliore per organizzare le attività umane, anche le più complesse, perché mai dovremmo condannare le scuole e le università all’inefficienza di un sistema monopolistico-napoleonico, come lo chiamava Luigi Einaudi?
ANTONIO MARTINO (da www.lasicilia.it)