TRA LA SIGNORA ELEFANTE E LA SIGNORA ELEGANTE
Ce lo racconta Giovanni Guareschi in un suo corsivo; ed è l’atto di nascita di una figura che avrà lunga storia nelle redazioni dei giornali di tutto il mondo.
Nel 1440 Gutenberg “inventata la stampa propriamente detta e tirata una bozza della sua prima composizione tipografica, trovò, nella seconda riga, una signora elefante al posto di una signora elegante. Allora il signor Gutenberg lanciò un grido di trionfo: aveva inventato l’errore di stampa. E di conseguenza il correttore di bozze.”
Nasce così, con questo piccolo aneddoto, la figura di un uomo che lavorava ogni notte, per tutta la notte, mentre il battito delle rotative faceva tremare il linoleum del suo sgabuzzino: è il famoso correttore di bozze, un mestiere ormai irrimediabilmente scomparso, frutto di precisione estrema, massima capacità di attenzione, enorme velocità di lettura e puntualità nelle consegne.
E’ la storia di una vita dominata da uno scrupolo inverosimile, sempre alle prese con il controllo dei testi stampati nel corpo più piccolo o la giustificazione delle colonne più lunghe: e nelle ore di punta con le bozze accumulate si vertiginosamente sul suo tavolo, minacciosa montagna da scalare.
E’ la storia di una vita come ormai, nella società del tutto e subito, non ce ne sono più: sempre lì ad inalare l’odore acre dell’inchiostro fresco o del piombo caldo sotto le dita, confinato nei posti più angusti della tipografia, circondato dall’assordante rumore delle linotype, sempre lì, imperterrito, a lavorare in condizioni quasi insostenibili. Ma spesso, pur tra tante difficoltà, l’aveva vinta, anche sui giornalisti: li convinceva con garbo a riconoscere alcuni errori, e a correggerli, sempre armato di vocabolari e grammatiche, fermo e risoluto, un impiegato d’altri tempi, in piedi sulla soglia della sua cella, con le dita leggermente tremanti.
Poi giungeva l’alba. La notte si stemperava in un bianco lattiginoso e il correttore infaticabile se ne andava a casa, uscendo dalla piccola porta della sua amata tipografia. Non senza aver prima scritto la sua famosa celeberrima frase latina: nihil obstat.
Nihil obstat. Così siglava il buon correttore di bozze con la sua biro l’angolo destro dei fogli. E quel nihil obstat significava semplicemente: “Questo testo è pronto, sia dato alle stampe, pubblicato e inviato al lettore.” E ci manca un po’ oggi quel nihil obstat. Soprattutto quando leggiamo le pagine di quotidiani segnati qua e là da errori, allora sì che lo rimpiangiamo un po’ quel buon vecchio paziente correttore dalle mille lunghe notti insonni…
Silvana La Porta
Nel 1440 Gutenberg “inventata la stampa propriamente detta e tirata una bozza della sua prima composizione tipografica, trovò, nella seconda riga, una signora elefante al posto di una signora elegante. Allora il signor Gutenberg lanciò un grido di trionfo: aveva inventato l’errore di stampa. E di conseguenza il correttore di bozze.”
Nasce così, con questo piccolo aneddoto, la figura di un uomo che lavorava ogni notte, per tutta la notte, mentre il battito delle rotative faceva tremare il linoleum del suo sgabuzzino: è il famoso correttore di bozze, un mestiere ormai irrimediabilmente scomparso, frutto di precisione estrema, massima capacità di attenzione, enorme velocità di lettura e puntualità nelle consegne.
E’ la storia di una vita dominata da uno scrupolo inverosimile, sempre alle prese con il controllo dei testi stampati nel corpo più piccolo o la giustificazione delle colonne più lunghe: e nelle ore di punta con le bozze accumulate si vertiginosamente sul suo tavolo, minacciosa montagna da scalare.
E’ la storia di una vita come ormai, nella società del tutto e subito, non ce ne sono più: sempre lì ad inalare l’odore acre dell’inchiostro fresco o del piombo caldo sotto le dita, confinato nei posti più angusti della tipografia, circondato dall’assordante rumore delle linotype, sempre lì, imperterrito, a lavorare in condizioni quasi insostenibili. Ma spesso, pur tra tante difficoltà, l’aveva vinta, anche sui giornalisti: li convinceva con garbo a riconoscere alcuni errori, e a correggerli, sempre armato di vocabolari e grammatiche, fermo e risoluto, un impiegato d’altri tempi, in piedi sulla soglia della sua cella, con le dita leggermente tremanti.
Poi giungeva l’alba. La notte si stemperava in un bianco lattiginoso e il correttore infaticabile se ne andava a casa, uscendo dalla piccola porta della sua amata tipografia. Non senza aver prima scritto la sua famosa celeberrima frase latina: nihil obstat.
Nihil obstat. Così siglava il buon correttore di bozze con la sua biro l’angolo destro dei fogli. E quel nihil obstat significava semplicemente: “Questo testo è pronto, sia dato alle stampe, pubblicato e inviato al lettore.” E ci manca un po’ oggi quel nihil obstat. Soprattutto quando leggiamo le pagine di quotidiani segnati qua e là da errori, allora sì che lo rimpiangiamo un po’ quel buon vecchio paziente correttore dalle mille lunghe notti insonni…
Silvana La Porta