L'automa specchio dell'uomo Giuseppe O. Longo*
L'uomo ha sempre nutrito la smisurata ambizione di imitare l'atto divino della creazione e per secoli si è dedicato alla costruzione degli automi, macchine antropomorfe che riproducessero almeno qualche caratteristica umana. Lo stupore suscitato da queste 'creature del second'ordine' si è via via mescolato con la riflessione sulle possibilità tecniche concrete, e all'elemento ludico e meraviglioso si sono sostituite le finalità pratiche. Questi raffinati e suggestivi prodotti dell'ingegno umano, che preludono in forme bizzarre e inusitate alla tecnologia moderna, oggi non si costruiscono più e sono rimpiazzati dovunque, se non nei musei e nei teatri della nostalgia, da dispositivi in cui l'elettronica si rivela sempre più sollecita dell'efficienza e sempre meno dell'imitazione puntuale della natura. Eppure gli automi continuano a popolare di inquiete proiezioni e torbidi sogni l'immaginario del nostro tempo e da qui travalicano nelle creazioni artistiche e nelle attuazioni tecniche. Forme e strumenti sono mutati, ma le ricerche continuano e configurano una realtà potenziale contrassegnata dalla dubitosa e mutevole linea di separazione tra ciò che l'uomo è e ciò che potrebbe diventare, tra ciò che può attuare e ciò che può solo sognare. In questo senso gli automi incarnano sempre - anche nelle nuove vesti informatiche, robotiche e cyb-organiche - l'aspirazione dell'uomo a travalicare i limiti della propria contingenza.
Dall'intelligenza artificiale disincarnata alla robotica Per secoli, i manufatti antropomorfi, pur nella loro stupefacente raffinatezza, restarono lontanissimi dal modello, cui li avvicinava la forma esteriore, ma non una puntuale somiglianza strutturale e funzionale. Le cose subirono una svolta radicale intorno alla metà del Novecento, con la nascita dell' intelligenza artificiale (IA), che prese il calcolatore a modello di elezione della mente umana. L'ingenuo e impossibile intento di costruire una creatura artificiale simile all'uomo nel suo complesso, fu così sostituito dal tentativo di riprodurne o simularne una sola parte, quella considerata più importante: l'intelligenza astratta e computazionale. I limiti della prima IA erano in sostanza riconducibili all'assenza di un corpo, che, come si riconobbe, è componente essenziale dell'intelligenza umana, perché assicura il collegamento tra percezione, cognizione e azione, cioè tra mente e mondo. Nell'IA astratta mente e mondo sono disaccoppiati, anzi il mondo è affatto assente. Questa limitazione spinse al recupero del corpo e agevolò il passaggio dall'IA disincarnata alla robotica, che resuscitava il progetto antico di costruire un uomo artificiale completo di mente e di corpo, appunto l'automa.
Uomo e automa: una simbiosi biotecnologica Nel frattempo tuttavia era cominciato un processo di ibridazione cognitiva tra uomo e computer, processo destinato a prolungarsi in un'integrazione biotecnologica sempre più spinta tra uomo e automa: provenendo da versanti diversi e opposti, l'oggetto uomo e il suo 'specchio' automa cominciarono dunque a fondersi e a confondersi, dando luogo a una vera e propria simbiosi biotecnologica. A questo proposito è necessario osservare che homo sapiens si è sempre contaminato di tecnologia, da sempre è un simbionte, un homo technologicus, un ibrido di biologia e tecnologia in continua trasformazione. Il termine simbiosi assume qui un significato un po' diverso da quello biologico tradizionale, ma non improprio. Innestandosi nell'uomo, ogni nuovo strumento dà luogo a una creatura di nuovo tipo, che attua potenzialità - percettive, cognitive e attive - latenti e inedite, a volte del tutto impreviste. In passato la natura e la perpetua trasformazione di questa creatura erano poco visibili, tanto da autorizzare, in molte filosofie e in molte religioni, una visione fissista della natura umana; ma oggi, per il continuo potenziamento della tecnologia, i fenomeni di simbiosi sono piuttosto evidenti. Tanto che alcuni parlano addirittura di postumano, uno stadio evolutivo imminente che si lascerebbe alle spalle l'uomo quale lo conosciamo.
Umanizzazione dell'automa e automazione dell'uomo Questa simbiosi trasformativa dalle prospettive illimitate porta a una progressiva confusione tra naturale e artificiale. Ma se è vero che l'automa tende verso l'uomo, anche l'uomo si avvicina al suo 'doppio', e con esiti forse più cospicui: il corpo umano è diventato, da parte di medici e biologi, di ingegneri e tecnici, teatro di una ricerca a tutto campo che contribuisce a integrare e infine, chissà, a sostituire il corpo con le macchine, le vere depositarie dell'incorruttibilità, dell'onniscienza, dell'olimpica serenità analgesica e, domani, forse, dell'immortalità. Il corpo diviene oggetto di sperimentazioni artistiche, diviene spettacolo e luogo di spettacolo, la sua anatomia, le sue funzioni, i suoi organi vengono disintegrati e osservati analiticamente nella prospettiva di curarli, correggerli e modificarli potenziandoli o sopprimendoli, in vista di un totale affrancamento dal retaggio bioevolutivo. Si assiste insomma a una vera e propria convergenza di due entità diversissime, che può essere vista come un'umanizzazione della macchina ma anche come una 'macchinizzazione' dell'uomo: ne scaturirà comunque qualcosa di inedito. L'avvicinamento dell'automa all'uomo è foriero di equivoci e di non facili problemi etici, che ci richiamano alla responsabilità del creatore: di fronte alla complessità enorme della creatura, conseguenza della sua somiglianza sempre più compiuta al modello, ci si può infatti interrogare sui suoi possibili sentimenti e sulle sue reazioni. La psicologia e la sociologia degli automi, degli androidi e dei cyborg sono uno dei problemi più complessi di un futuro già a portata di mano. Perché suscitare dal nulla creature tanto simili a noi da essere capaci di soffrire? La loro sofferenza, derivante dalla coscienza di non essere del tutto assimilabili agli uomini, sarebbe un triste corollario della nostra abilità creatrice. Ho nominato la coscienza, e di fatto molte ricerche si orientano oggi alla costruzione di automi dotati di questa proprietà sfuggente ma ineludibile, di cui non sappiamo quasi nulla. Se un giorno si riuscisse in quest'impresa, cadrebbe l'ultima differenza e l'automa, finora posto di fronte a noi come un doppio inquietante e ammonitore, s'identificherebbe con noi, e ciò avrebbe effetti perturbanti e forse sconvolgenti, come chi entrasse dentro lo specchio annullando la rassicurante distanza che separa la cosa dalla sua immagine.
Ibridazione uomo-tecnologia L'avvicinamento dell'uomo all'automa, per un altro verso, comporta altri problemi, che si aggiungono a quelli già ricordati. L'ibridazione uomo-tecnologia è sempre più veloce. La contrazione dei tempi di formazione dei successivi simbionti non è un fenomeno irrilevante, perché impedisce quell'adattamento armonioso tra le due componenti che riteniamo sia avvenuto in passato. Nascono così le sofferenze che sempre accompagnano la trasmutazione, la nascita, il trapasso, il cambiamento troppo rapido. La contropartita positiva consiste nella comparsa di capacità inedite: fare un bilancio quantitativo o almeno qualitativo dei pro e dei contro è ovviamente impossibile, e la valutazione è lasciata a ciascuno. Nel guscio tecnologico che ci stiamo costruendo intorno (e dentro) come un abito forse troppo aderente, alcune delle nostre capacità restano lì, inutili come preistorici relitti che non cessano tuttavia di reclamare il loro uso o come arti fantasma che non cessano di dolorare. Altre capacità, è ovvio, sono esaltate: la tecnologia opera insomma sulla nostra persona (unità complessa di mente e corpo) una sorta di filtraggio selettivo, che accelera lo squilibrio. L'uomo dunque si meticcia, diviene simbionte dei suoi strumenti, modifica la propria natura, diventa altro da sé e questa metamorfosi vive da spettatore e da protagonista, con timore ed esaltazione, cerca i segni di ciò che verrà, si lacera e si ricompone tra il mito, la scienza, l'arte e la tecnologia: spinto da un destino che è in lui ma che è fuori di lui, vive un'avventura gaia e dolente, si complica in ciò che era prima e in ciò che diventerà dopo, costruisce la croce su cui adagiarsi e la nave su cui salpare.
*Professore di Teoria dell'informazione alla Facoltà d'ingegneria dell'Università di Trieste. È autore di una vasta bibliografia su epistemologia, intelligenza artificiale, problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico
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