da ilGiornale.it
«Lezioni anche in agosto? Così ora facciamo da balie»
di Eleonora Barbieri
Gli alunni, come i figli, vanno anche lasciati da soli. «Almeno un mese all’anno dobbiamo abbandonarli». Paola Mastrocola, autrice di La scuola raccontata al mio cane, insegna italiano e latino in un liceo scientifico torinese. Giura che non ha intenzione di trasformarsi in una «valigia insegnante» per seguire gli studenti in spiaggia.
L’idea dei corsi estivi non le piace?
«Il decreto del ministro non mi è chiaro, non so a chi spetterà tenere i corsi. Ma i ragazzi devono assumersi le loro responsabilità: arriva il momento di mettersi a studiare. Sono contraria alla scuola dell’aiuto costante ed eterno: ti aiuto fino a un certo punto, poi te la sbrighi da solo. Devi pagare un prezzo. Invece no, la parola bocciatura non si può nemmeno pronunciare: l’idea è che lo studente non vada mai abbandonato».
Un ragazzo rimandato non ha bisogno di un aiuto?
«Sono contraria alla parola “recupero”. Se uno studente prende l’insufficienza, ad esempio in latino, i motivi sono due: o non riesce proprio a capirlo, oppure non ha studiato. Nel 90 per cento dei casi, ovviamente, la ragione è la seconda. E allora, dopo che un professore si è impegnato per nove mesi a spiegare, fare compiti e interrogazioni e a trasmettere tutta la sua passione, tentare di recuperare ancora quell’alunno è sbagliato. Io, dopo nove mesi, vorrei abbandonarlo. Altrimenti creiamo delle valigie insegnanti per le vacanze. Cioè delle balie. Ma la valigia in spiaggia non la faccio».
Studenti e famiglie che devono fare?
«Pensare che un giovane apra un libro e si metta a studiare da solo non è proprio possibile? Fino a che ci siederemo sempre accanto ai ragazzi tenendogli anche la penna, non ne caveremo nulla. Almeno un mese all’anno li dobbiamo abbandonare. Non è solo una questione economica. Anche se lo stato pagasse un istitutore privato a ogni alunno asino, non mi piacerebbe, perché il messaggio sarebbe sempre il solito: non ti preoccupare, ci pensiamo noi».
È d’accordo col ritorno agli esami di riparazione?
«È giusto dare una seconda possibilità. Sembra un messaggio drastico: ti concedo ancora due mesi. Il problema è: e dopo? Se un ragazzo non supera l’esame è giusto bocciarlo, magari per una sola materia?»
Lei che farebbe?
«Credo che non avrei il coraggio di bocciarlo. Ma temo che, ormai, bisognerebbe averlo».
Alternative?
«Un sistema a livelli. Il titolo di studio perde valore e conta solo il livello raggiunto nelle singole materie».
Il modello inglese. Ma funziona così bene?
«Non è perfetto, certo. Noi però portiamo tutti fino alla fine e, poi, il ministro scopre che metà dei diplomati è ignorante. Così di sicuro non può funzionare».
«Lezioni anche in agosto? Così ora facciamo da balie»
di Eleonora Barbieri
Gli alunni, come i figli, vanno anche lasciati da soli. «Almeno un mese all’anno dobbiamo abbandonarli». Paola Mastrocola, autrice di La scuola raccontata al mio cane, insegna italiano e latino in un liceo scientifico torinese. Giura che non ha intenzione di trasformarsi in una «valigia insegnante» per seguire gli studenti in spiaggia.
L’idea dei corsi estivi non le piace?
«Il decreto del ministro non mi è chiaro, non so a chi spetterà tenere i corsi. Ma i ragazzi devono assumersi le loro responsabilità: arriva il momento di mettersi a studiare. Sono contraria alla scuola dell’aiuto costante ed eterno: ti aiuto fino a un certo punto, poi te la sbrighi da solo. Devi pagare un prezzo. Invece no, la parola bocciatura non si può nemmeno pronunciare: l’idea è che lo studente non vada mai abbandonato».
Un ragazzo rimandato non ha bisogno di un aiuto?
«Sono contraria alla parola “recupero”. Se uno studente prende l’insufficienza, ad esempio in latino, i motivi sono due: o non riesce proprio a capirlo, oppure non ha studiato. Nel 90 per cento dei casi, ovviamente, la ragione è la seconda. E allora, dopo che un professore si è impegnato per nove mesi a spiegare, fare compiti e interrogazioni e a trasmettere tutta la sua passione, tentare di recuperare ancora quell’alunno è sbagliato. Io, dopo nove mesi, vorrei abbandonarlo. Altrimenti creiamo delle valigie insegnanti per le vacanze. Cioè delle balie. Ma la valigia in spiaggia non la faccio».
Studenti e famiglie che devono fare?
«Pensare che un giovane apra un libro e si metta a studiare da solo non è proprio possibile? Fino a che ci siederemo sempre accanto ai ragazzi tenendogli anche la penna, non ne caveremo nulla. Almeno un mese all’anno li dobbiamo abbandonare. Non è solo una questione economica. Anche se lo stato pagasse un istitutore privato a ogni alunno asino, non mi piacerebbe, perché il messaggio sarebbe sempre il solito: non ti preoccupare, ci pensiamo noi».
È d’accordo col ritorno agli esami di riparazione?
«È giusto dare una seconda possibilità. Sembra un messaggio drastico: ti concedo ancora due mesi. Il problema è: e dopo? Se un ragazzo non supera l’esame è giusto bocciarlo, magari per una sola materia?»
Lei che farebbe?
«Credo che non avrei il coraggio di bocciarlo. Ma temo che, ormai, bisognerebbe averlo».
Alternative?
«Un sistema a livelli. Il titolo di studio perde valore e conta solo il livello raggiunto nelle singole materie».
Il modello inglese. Ma funziona così bene?
«Non è perfetto, certo. Noi però portiamo tutti fino alla fine e, poi, il ministro scopre che metà dei diplomati è ignorante. Così di sicuro non può funzionare».