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News: Il caso Hegazi: proselitismo islamico e cristiano

Rassegna stampa

» 29/08/2007
ISLAM - EGITTO
Il caso Hegazi: l’ossessione dell’Islam per le conversioni
di Samir Khalil Samir, sj
Il caso di Mohammad Hegazi, giovane egiziano convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, ha aperto nel mondo islamico un nuovo dibattito sulle conversioni, viste spesso come un’azione di apostasia che merita la morte. È emersa anche una vera e propria ossessione dell’Islam per le conversioni personali, essendo questa religione ridotta più a una sottomissione di tipo etnico e sociologico. Vi è chi parla perfino di un disegno per convertire all’Islam l’Europa e il mondo, al quale i governi europei danno una mano. La Prima parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.


Beirut (AsiaNews) - I fatti sono noti: un giovane egiziano di 25 anni, Mohammad Ahmad Hegazi, (nella foto) si è convertito al cristianesimo diversi anni fa (alcuni dicono 9, altri 6 anni fa, la versione islamica invece dice da pochi mesi!). Poi si è sposato con una donna che si chiama Zeinab, anch’essa divenuta cristiana, col nome di Cristina. In questi mesi egli ha chiesto che la sua conversione venga riconosciuta anche sui suoi documenti.

In Egitto, la carta d’identità riporta obbligatoriamente la religione e la sua finora è l’Islam. Ciò significa che egli apparirà come musulmano in varie questioni: diritto, successione, i figli, ecc.

La sua richiesta è stata rifiutata dall’amministrazione, che non ha dato seguito alla richiesta. Hegazi si è perciò rivolto direttamente al governo.

Come mai ha chiesto questo cambiamento solo ora, dopo anni dalla sua conversione? Forse perché la coppia aspetta un bambino. E se essi appaiono come musulmani, il bambino dovrà essere registrato obbligatoriamente come musulmano, indipendentemente dalla volontà dei genitori.

Al rifiuto dell’amministrazione, Hegazi ha cominciato una causa legale per esigere i suoi diritti, aiutato da un avvocato, membro di una ong.

Il fatto è importantissimo, più di quanto appaia, anche perché la cosa si è diffusa in molti media mondiali e ora anche tutta la stampa in Egitto discute il suo caso.

Dapprima vi sono state le reazioni degli ulema, poi quelle della gente comune. La stragrande maggioranza afferma che Mohammad Hegazi deve essere ucciso come apostata. Solo qualcuno osa citare il Corano - che afferma che “non c’è costrizione in materia di religione” – e si esprime a favore della sua libertà.

La carta d’identità

Da decenni il mondo liberale in Egitto chiede la soppressione di questa voce nei documenti ufficiali. Essa serve solo a discriminare la gente, i non musulmani.

Io stesso ho fatto esperienza di questa discriminazione tante volte e devo dire che, al di là delle promesse di tanti politici, non si riesce ancora a cancellare questa dicitura dalla carta d’identità. Vi sono per esempio seminaristi cattolici che sulla carta d’identità appaiono come “musulmani”. All’anagrafe egiziana, quasi per “default”, chiunque nasce è registrato come musulmano. Se poi uno vuol cambiare, gli si dice che “è complicato” e che “essere musulmano è un vantaggio”.

Tutto ciò non è solo un problema di burocrazia. C’è la volontà, da parte di alcuni uffici amministrativi, di approfittar della loro posizione per “islamizzare” i cristiani, o semplicemente una ripugnanza a fare questo cambiamento. Tale ripugnanza non è però dovuta alla lentezza della burocrazia egiziana. La prova è che, in senso contrario, non c’è mai difficoltà a cambiare la carta d’identità di un cristiano che si fa musulmano, e lo si fa subito! Vi è dunque una lobby e una tendenza dell’amministrazione pubblica a islamizzare la gente a partire dai documenti ufficiali.

Una cosa simile avviene addirittura in Turchia - nella Turchia laica! – in cui per cambiare il proprio nome in un nome cristiano, come mi ha attestato un mio confratello , si deve aspettare per anni.

Il fenomeno è generalizzato ed è volto ad islamizzare il più gran numero di cristiani (che in Egitto sono almeno 7 milioni). Una mia parente, cristiana da 3 generazioni, rimane con tutta la famiglia con la dizione “musulmana”. I figli, che vanno a messa tutte le domeniche, sono registrati come “musulmani”. Questo rende difficile il loro matrimonio con cristiani e spesso sono costretti a fuggire dal Paese per sposarsi con rito cristiano.

Il problema è che questa situazione è difesa dalla legge. La legge egiziana stabilisce che i figli “appartengono alla religione migliore” e cioè l’Islam. Affermare questo in un corpo di leggi spiega tutte le discriminazioni. Ad esempio, una musulmana non ha il diritto di sposare un cristiano: i figli infatti appartengono al padre, e perciò i figli di un cristiano sono “cristiani”. Tutta la legislazione è fatta per islamizzare.

Questo ha conseguenze anche in Italia. Lo scorso anno ha fatto scalpore il caso di una tunisina che voleva sposare un italiano, cattolico battezzato, ma non praticante. Per lo stato italiano la donna doveva presentare un documento di stato civile libero, richiesto all’ambasciata tunisina. Per tutta risposta il consolato tunisino ha chiesto un documento sul fidanzato per verificare che il futuro sposo fosse “musulmano”!

E pensare che la Tunisia è uno dei pochi Paesi musulmani “moderati” e assai laicizzante! Tuttora la coppia non è sposata per il rifiuto del consolato tunisino a consegnare il documento di stato libero. Ogni anno in Italia ci sono decine di casi simili. Ciò sta ad indicare la forte intromissione della religione islamica nelle scelte personali. Purtroppo l’Italia e l’Europa non si accorgono di essere presi in giro da questi Paesi.

Proprio in questi mesi in Egitto è in corso un grande dibattito giuridico, per il caso di 12 cristiani: essi si sono convertiti formalmente all’islam per poter divorziare, ottenendo subito una nuova carta d’identità con la menzione della nuova religione. Subito dopo si sono dichiarati di nuovo cristiani e chiedono il ritorno alla vecchia carta d’identità. La faccenda sembra prendere una piega positiva per loro e dovrebbe essere risolta favorevolmente nel settembre 2007.

Come si vede, la questione della “carta d’identità” ha un importanza politica assai grande, e ciò spiega la forza del dibattito in corso nel mondo islamico. Si tratta infatti di un passo che dovrebbe portare verso un certa neutralità dello Stato verso la religione.

L’ossessione dalle conversioni

Nel mondo islamico vi è una vera e propria ossessione verso le conversioni. Almeno 7 Paesi islamici applicano la pena di morte per i convertiti dall’Islam. In Sudan, Iran, Arabia Saudita, Nigeria, Pakistan, Mauritania ….. si uccide. Ma gli altri stati – come l’Egitto – condannano alla prigione, non in quanto apostata ma per aver compiuto un oltraggio all’islam, come lo spiega Hossam Bahgat, membro dell’Iniziativa egiziana per i diritti personali.

Secondo il quotidiano del governo Al-Massa’, tutti gli imam sono unanimi sulla necessità di uccidere l’apostata Hegazi. Dicono che la sharia (non il Corano) va applicata ed essa esige la pena di morte.

Chi è più moderato dice: se l’apostata nasconde la sua conversione, non diffonde la sua decisione, allora non è necessario ucciderlo, ma potrà vivere. Se invece lo fa sapere, allora produce scandalo (fitna) e deve morire.

Per caso ho aperto il sito del “Forum dell’aviazione araba”. Nella sezione “islamica” del sito, si parla di questo unico tema, la conversione di Hegazi. Tutte le 8 reazioni registrate affermano che egli deve essere ucciso. Alcuni dicono più velatamente: “Il governo deve prendere la decisione più dura per eliminare questo problema”, ma tutti gli altri citano il Corano: “La fitna è peggiore che l’uccisione” (Corano 2,191 e 2,217) ; altri citano che “L’Islam è la religione migliore”; altri ancora: “Uccideteli affinché non ci sia fitna”(8,39); altri: “Chi vuole una religione diversa dall'Islàm, il suo culto non sarà accettato, e nell'altra vita sarà tra i perdenti” (3,85). Nessuno cita la frase coranica che afferma la libertà di coscienza, quella citata dal papa a Ratisbonna il 12 settembre scorso: “non c’è costrizione in materia di religione” (2,186); neppure quell’altra che dice: “La verità viene dal tuo Signore. Chi vuole, creda ; e chi vuole, non creda” (18,29).

E così a decine e decine in molti siti islamici nella sola scorsa settimana.

In genere, su 10 che vogliono la sua uccisione, vi è solo uno che dice: “Credo che Hegazi dovrebbe essere libero di scegliere”.

Altri ancora dicono che sì, nel Corano esiste il versetto “non c’è costrizione…”, ma esso è stato cancellato (nusikha) dal famoso “versetto della spada” (âyat al-sayf) che avrebbe cancellato decine di versetti, ma che nessuno sa identificare: se il versetto 5 del capitolo 9 (detto della “penitenza”, al-tawbah), o il versetto 29, o il 36, oppure il 41: tutti questi parlano di uccidere l’altro, e sono spesso applicati agli apostati. [1]

Morte per l’apostata

Ad ogni modo contro Hegazi vi sono le opinioni di 3 famosi imam. Il primo è l’imam Yusuf al-Qaradawi, molto esperto nel suo campo, che cita decine di referenze dei primi secoli e conclude che Hegazi deve essere ucciso perché c’è pericolo per il gruppo e il gruppo ha priorità sull’individuo. L’idea è: se costui comincia a parlare e dice che egli è contento di essere cristiano, e anzi appare nelle foto sorridente e con in mano un vangelo, ciò è insopportabile ed è una propaganda non musulmana, che non è ammessa ufficialmente né in Egitto, né in altri Paesi islamici. E siccome Hegazi sta facendo propaganda cristiana, egli deve essere ucciso.

Suad Saleh, giudice musulmana e decano della Facoltà di scienze islamiche dell’università Al-Azhar, ha dichiarato: sì, in materia di fede non vi è costrizione, ma Hegazi sta facendo propaganda e quindi bisogna applicare la legge. La giudice consiglia di dare all’apostata 3 giorni di tempo perché si penta e si riconverta all’Islam (istitâbah), poi di “applicare la legge” (e cioè l’uccisione).

Il Gran Mufti d’Egitto, Dr. Ali Gomaa, massima autorità religiosa egiziana, nel mese di giugno aveva dichiarato al Washington Post che l’apostasia “non dovrebbe” essere punita con la morte, sollevando tante reazioni da parte dell’Azhar. Dopo che molti si sono espressi a favore dell’uccisione, lui ha ritrattato in modo confuso e tuttora non si capisce la sua posizione. Visibilmente, egli voleva rassicurare l’occidente usando formule ambigue, come quella che ripete: “L’apostasia va punita quando rappresenta una fitna o quando minaccia le fondamenta della società”.

In realtà, come abbiamo detto, non c’è nel Corano nessun castigo previsto in questo mondo per l’apostata. Ma gli imam si appoggiano su un hadith del Profeta dell’islam trasmesso da Ibn ‘Abbas: « Chi cambia la sua religione, uccidetelo ». E s’appoggiano al fatto che Maometto ha applicato questo castigo contro Abdallah Ibn al-Ahzal, il quale per non essere ucciso, aveva cercato protezione nel santuario della Kaaba, ma Maometto ordinò ai suoi compagni di ucciderlo.

A tutto questo occorre aggiungere le reazioni dei genitori di Hegazi e della sua sposa. Interrogato dai giudici islamici, il padre di Hegazi ha negato che suo figlio si sia convertito al cristianesimo. La sua madre si è messa a gridare in modo isterico: “Mio figlio è morto, non ci sarà mai più relazione tra di noi fino al giorno del giudizio!”. Ali Kamel Suleiman, il padre di Zeinab, la ragazza, è stato più esplicito. Egli ha dichiarato al quotidiano indipendente al-Dustûr: “Portatemi mia figlia in qualunque modo, anche morta”. Nella nostra mentalità egiziana questo significa: uccidetela, oppure portatemela viva e la uccido io.

A causa dell’atteggiamento dei genitori, Mamduh Nakhla, copto, direttore del Centro «al-Kalima» per i Diritti Umani, che aveva depositato presso la giustizia amministrativa una richiesta di riconoscimento della conversione cristiana di Hegazi, l’ha poi ritirata per 2 motivi: “non voler rompere i legami di Hegazi con la sua famiglia” e per la “mancanza di un certificato di conversione [di Hegazi] presso la Chiesa copta”. Ciò è stato confermato da padre Morcos, un vescovo vicino al patriarca Shenouda, che ha dichiarato “La Chiesa non fa proselitismo”.

In tutte queste faccende di conversioni, la Chiesa copta è di solito molto prudente, perché deve tener conto del “bene generale”, per non compromettere altre trattative che ha col governo. Rumani Gad el-Rabb, un altro responsabile del Centro al-Kalima, ha invece dichiarato all'Afp che il gruppo ha ritirato la richiesta dopo aver ricevuto delle minacce.

 

dal sito Asianews

» 30/08/2007 10:54
ISLAM - EGITTO
Il caso Hegazi: proselitismo islamico e cristiano
di Samir Khalil Samir, sj
Mohammad Ahmad Hegazi, il giovane egiziano convertito al cristianesimo, che vuole essere riconosciuto tale anche dal punto di vista legale, rischia una condanna a morte per apostasia. Il mondo islamico si difende dalle conversioni anche con leggi che esaltano la propaganda musulmana e proibiscono quella delle altre religioni. Almeno 10 mila cristiani ogni anno divengono musulmani. Ma quasi nessuno per motivi religiosi. La malattia dell’Islam: la mancanza di spiritualità e la riduzione della religione a elemento etnico, sociologico, politico. La Seconda parte di un’analisi di p. Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, esperto di Islam.


Beirut (AsiaNews) – L’Islam si difende dalle conversioni attraverso la condanna a morte o l’imprigionamento dell’apostata. Ma l’ossessione delle conversioni va di pari passo con una serie di privilegi dati all’Islam. In tanti paesi musulmani, anche quelli “laici”, il diritto di propagare l’Islam è un diritto naturale e non vi è bisogno di alcuna legge; il diritto di propagare un’altra religione è considerato di fatto o per legge inaccettabile.

La propaganda islamica è un dovere dello Stato: in Egitto ogni settimana vi sono canzoni, preghiere, film, rubriche tutti inneggianti all’Islam e deprecativi del cristianesimo. E questo senz’altro suscita conversioni all’Islam.

Invece la propaganda cristiana (tabshir) è proibita per legge. Di recente in Algeria è stata varata una nuova legge che condanna chi propaganda la fede cristiana e chi si converte. Certo, qualcuno dice: questa legge è solo contro il proselitismo protestante. È vero, ma i musulmani non fanno proselitismo? Se vi è una legge, non deve essere uguale per tutti?

Il Paese dove lo squilibrio dei due pesi e due misure è più evidente è l’Arabia Saudita. Perfino il sito della Saudi Arab Airlines porta scritto con chiarezza che sui suoi voli sono proibiti bibbie, crocifissi, ecc. Ogni segno religioso non islamico viene requisito. Nel Paese, perfino due pezzi di legni incrociati per terra sono considerati un segno religioso e chi vi è vicino è costretto dalla polizia a calpestarli.

La propaganda anticristiana si vede anche nell’uso delle parole. In arabo i cristiani si chiamano “massihi”. In Arabia si usano altri due termini: la prima è “salībi”, che significa “crociato”. Va notato che all’epoca dei crociati, gli storici musulmani non chiamavano “crociati” i cristiani, ma “farang”, franchi. Un’altra parola usata è “nasrami”, nazareno. La più frequente poi è “kuffar”, miscredenti, quelli che devono essere uccisi. Così tale linguaggio deprecativo e ostile si diffonde in tutto il mondo musulmano da circa 30 anni.

In Egitto si dice che negli ultimi decenni, le conversioni di cristiani all’islam sono state di circa 10.000 all’anno. Quasi sempre per motivi pratici: per divorziare o sposare una musulmana (o un musulmano), o per motivi di lavoro; raramente per motivi religiosi. Più recentemente, si è parlato molto di migliaia di convertiti dell’islam al cristianesimo. Si dice che vi sono delle “centrali” di missionari protestanti, formati in America (qualcuno parla dell’Istituto Zwemer, famoso missionario protestante[1]), che offrono soldi, appartamenti, passaporti, ecc in cambio dell’adesione alla fede cristiana. In questa faccenda di Hegazi, la stampa islamica ha ripetuto spesso queste accuse. La parola “tabshīr”, che significa “evangelizzazione”, in arabo ha preso ormai un significato negativo, e l’atto è passibile di prigione o d’espulsione in Egitto come in altri Paesi musulmani. Invece la parola “da’wa”, che significa “chiamata” ad aderire all’islam, è considerata come positiva ed è un obbligo per ogni musulmano, al punto che molti Paesi musulmani hanno un “ministero della da’wa”, cioè della propaganda islamica (potremmo dire analogo al dicastero vaticano “De propaganda fide”).

Quando avremo un Islam spirituale?

La conversione dall’Islam è vista come uno scandalo religioso, sociale e politico. Dal punto di vista religioso si abbandona l’unica vera fede per una falsa. Il Corano afferma: “La vera religione presso Dio è l’Islam”(Corano 3,19) e anche: “Chi cerca un’altra religione avrà una conclusione tragica nell’aldilà” (Corano 3,85) .

Dal punto di vista sociale, se uno si converte al cristianesimo, incoraggia altri a seguirlo e allora diviene una piaga per la società.

L’aspetto politico, sempre messo in luce è che l’Islam è una comunità, la Ummah. Se uno lascia l’Islam, diviene come un traditore e una spia contro la propria nazione e perciò merita la morte.

Il governo egiziano, ad esempio, dice che chi si converte a un’altra religione, “attenta all’unità nazionale”. E’ probabile che il governo non ucciderà l’apostata. Di solito essi cercano di mettere a tacere la cosa o di far emigrare l’apostata. É avvenuto così per lo scrittore Nasr Hamed Abu Zaid, che ha ricevuto la fatwa per essere ucciso ed è stato fatto fuggire in Olanda.

Uno studioso musulmano francese, Abdennour Bidar, in un libro edito di recente[2], afferma: “L’Islam deve arrivare ad essere non più una religione, ma una corrente spirituale e una questione di scelte personali”. Il fatto grave dell’Islam è che l’adesione all’Islam oggi significa aderire ad un gruppo politico e sociologico: non significa aver fatto una scelta religiosa e spirituale. Questa è la grande malattia dell’Islam di oggi: se non si compie questa profonda conversione, l’Islam rimarrà sempre nemico del mondo moderno. Quest’ultimo è basato sulle libertà individuali, sulla persona più che sul gruppo, sulla libertà di coscienza, ecc. E i musulmani vogliono questo, ma non capiscono che tutto è collegato. Finché non si arriva a considerare che l’Islam è una scelta personale e non una questione di gruppo o di partito, si rimarrà indietro.

Fino ad oggi tutto l’insegnamento islamico è basato sulla “sottomissione” (Islam). Tale sottomissione è il contrario della libertà. Anch’io come cristiano riconosco la sottomissione a Dio, ma rimango figlio e libero! Anche Cristo è stato obbediente (Filippesi 2, 8); anche un religioso fa i voti di obbedienza, ma si aderisce e si rimane legati alla propria libertà di coscienza.

Invece nell’Islam l’insegnamento più classico che si diffonde nelle famiglie e nei media è che la sottomissione deve essere totale, annientando la personalità e ogni differenza.

E noi cristiani e gli occidentali, dobbiamo aiutare l’Islam a fare questo passo: capire che la libertà personale non è contro l’islam né contro Dio, ma al contrario per Dio che ha creato l’uomo dotato di discernimento e di libertà, a differenza di tutto il creato, perché senza libertà di scelta non c’è amore. Come dice Cristo ai discepoli: “Non vi chiamo servi, ma amici” (Giov 15,15).

[1] Samuel Marinus Zwemer (12 aprile 1867 – 2 aprile 1952), soprannominato “l’apostolo dei musulmani” è stato missionario in Arabia dal 1891 al 1905, e in altri Paesi musulmani, ha diretto a lungo la rivista “The Moslem World” e ha formato centinai di missionari protestanti. Il suo metodo consisteva nel convincere il musulmano partendo dal Corano e confrontandolo col Vangelo. Più che convertire i musulmani, la sua grande opera è stata di spingere cristiani a annunziare il Vangelo ai musulmani.

 









Postato il Sabato, 22 settembre 2007 ore 23:24:24 CEST di Salvatore Indelicato
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