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Costume e societą: 'MA IN MAROCCO LA SCUOLA E' PIU' SEVERA"

Opinioni
TORINO
Principali differenze tra la scuola moldava e quella italiana? «Là non puoi certo fare quello che vuoi, c’è severità. Qua si gioca col telefonino durante le lezioni, là se lo porti in classe vieni punito troppo duramente. Qui i muri sono sporchi, là i ragazzi si occupano di tenere la scuola in ordine e a fine anno tocca a loro imbiancare le pareti». (Serghej, moldavo, in Italia da quattro anni). Principali differenze tra la scuola romena e quella italiana? «Là c’è più rispetto per i professori, per esempio ci si alza in piedi quando entrano in classe, e anche il linguaggio che si usa con loro è meno libero, mentre qui li tratti come amici e li sfotti pure. Qua in prima superiore si fa la matematica che là sta nel programma di prima media; e c’è più pulizia nelle aule, ci sono le tende alle finestre e anche i fiori nei vasi» (Ciprian, romeno, elementari in Romania). E ancora. Principali differenze tra la scuola marocchina e quella italiana? «I miei amici che vivono là mi dicono che i professori sono severi e in classe ci sono meno distrazioni» (Issam, marocchino, nato in Italia).

Qua, in effetti, quando un’ora prima di questo istruttivo scambio di battute la cronista era entrata in aula al seguito del professore di italiano Daniele Grandi, non s’era alzato nessuno e nessuno aveva sentito l’esigenza di togliersi dalla testa il cappellino-moda con visiera. Qua, classe terza B dell’istituto professionale Birago di Torino: venti ragazzi, più d’un terzo stranieri, e venti telefonini quasi tutti accesi con funzione vibracall inserita (uno studente ha pure l’auricolare al collo, ma dice che lo porta così, «come fosse una collana»), quaranta lunghissimi piedi in perenne movimento sotto banchi troppo piccoli, due parole-chiave che ricorrono al limite dell’ossessione. Una è «potere», l’altra «rispetto». E un paese dove nei discorsi degli adolescenti non riecheggia mai, neppure a sproposito, per puro sovradosaggio ormonale, la parola diritti, non ha il solo problema di rivedere i programmi scolastici.

Poca severità
L’idea sarebbe quella di parlare coi ragazzi della svolta Fioroni, capire che pensino del dibattito adulto di queste settimane, cosa soprattutto si aspettino dalla scuola che hanno scelto, mettiamola così, di frequentare. Ma il dibattito in classe, perfettamente omogeneo al format televisivo che prevede si parli tutti insieme, non è un vero contraddittorio: la cosiddetta generazione dei «nuovi bulli» accoglie affabilmente la visitatrice e concorda col ministro nel giudicare la scuola italiana parecchio permissiva («Dovrebbe essere un po’ più severa, con noi e anche coi professori che a volte se ne approfittano», conviene per esempio Isam) e non particolarmente impegnativa («L’anno scorso mi sono messo a studiare le ultime due settimane e sono passato, ma forse m’è andata di culo», ammette modesto Andrea).
Cade perciò nel vuoto anche la curiosità su quante ore pomeridiane vengano dedicate ai compiti, beninteso dopo il riposo e la visione dei «Simpson» in tv: nessuna, è ovvio. Come Alberto ha la bontà di chiarire, «se fai vedere che ti interessi troppo allo studio, per quelli della nostra generazione sei uno sfigato e vieni visto male». Sfigato nel senso che? «Nel senso che se studi troppo non hai altri interessi».

Altri interessi
Sugli «altri interessi», tuttavia, la discussione resta un po’ implosa: a parte lo sport - in classe ci sono un bravo calciatore, un campione di pugilato e un giocatore di basket con aspirazioni - ed esclusi telefonino e videogiochi, tutto pare giocarsi sullo scivoloso terreno della relazione con il gruppo. Ne discende che pure il bullismo sarebbe la logica conseguenza della necessità, per un giovane italiano di nascita o immigrato, di non apparire sfigato agli occhi dei coetanei: «Bulli sono quelli che non studiano, e magari picchiano, per farsi vedere».
I ragazzi della terza B, futuri tecnici dei sistemi energetici, ci ragionano su, e in qualche modo, così la pensa il professor Grandi, «la loro è una ricerca di limiti, di autorevolezza»: «Se ti fai mettere i piedi in testa sei fregato, vale per gli animali come per l’umanità», nota ad esempio Federico, convinto che «la prepotenza sia un modo per non sentirsi emarginati». Issam, che è un po’ il portavoce della classe, invita a non fare di tutta l’erba un fascio: «C’è un bullismo simpatico, fatto di scherzi, e uno più brutto, che non a tutti piace». Al primo, quando si è ragazzi di animo gentile, e qui lo si è, c’è rimedio: «Noi abbiamo una compagna, è l’unica femmina di tutta la scuola e piangeva sempre. Finché ci siamo resi conto di essere stati troppo pesanti. Ne abbiamo parlato e abbiamo cambiato modo di scherzare con lei. Ora va meglio». Sulle possibilità di contrastare il secondo, il bullismo che «non a tutti piace», i ragazzi della terza B, attenti osservatori dei rapporti di forza tra le persone, paiono invece abbastanza pessimisti: «La legge del più forte c’è sempre stata e sempre ci sarà», assicura Luca.

Bravi meccanici
Logico, anche i progetti e le aspirazioni risentono un po’ di questa mancanza di slanci utopici: il sogno di Salvatore sarebbe diventare ingegnere, «ma non si realizzerà»; quello del peruviano Pedro, «lavorare in un’officina»; Aurelian, romeno, mette in conto di doversi accontentare e non se ne lamenta; e se molti aspirano legittimamente a «diventare un bravo meccanico» (vanto dell’istituto è un ex allievo che lavora alla Ferrari) e nessuno ha mai preso sul serio l’opzione «personaggio della tv», c’è anche chi si accontenterebbe di «non fare il manovale a 900 euro al mese fino a settant’anni». E dallo studio vero e proprio, che cosa vi aspettate? Intanto, una tregua: alcuni la scorsa estate hanno provato a lavorare in fabbrica, «siamo tornati in aula più volentieri»; poi, «d’imparare qualcosa che serva a non stare in mezzo a una strada». Qualcosa di pratico, però: «Se avessimo voluto studiare italiano e scienze non ci saremmo iscritti a un professionale, giusto?». E’ questa, volendo, una piccola, sommessa critica ai programmi ministeriali, uno spunto di riflessione che subito evapora nell’eccitazione dell’intervallo imminente. Dall’ultimo banco una voce si leva in difesa dell’istituzione: «Quando ho deciso di iscrivermi qui mi avevano detto che era una scuola di merda. Invece si sta abbastanza bene».








Postato il Lunedģ, 17 settembre 2007 ore 21:19:05 CEST di Filippo Laganą
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