A che serve la letteratura (breve risposta a un’inchiesta)
di Romano Luperini
1.
La letteratura è un rapporto sociale. Già Sartre sosteneva (e Fortini lo ha ripetuto) che in concreto esiste solo il rapporto scrittura - lettura, il quale dipende in ultima analisi dal tipo di ricezione che si impone in una comunità o in un gruppo di lettori o persino in singoli lettori. Dunque non si può dare una risposta sostanzialistica alla domanda “che cos’è la letteratura?”. O meglio le risposte sostanzialistiche sono state diverse e persino opposte e oggi rivelano, mi pare, la loro inconsistenza.
2.
Anche alla domanda “a che serve oggi la letteratura?” si è risposto e si può rispondere in modi diversissimi.
La letteratura non serve a niente. In una società dominata dal profitto, dalla tecnologia e dalle immagini è un piacere anacronistico, un residuo inutile che ormai pochi coltivano, come una setta di intenditori di vino in una società di bevitori di birra.
La letteratura è un serbatoio delle memorie e delle tradizioni di un paese o di una civiltà. Va conosciuta perché contribuisce alla formazione della identità nazionale o sopranazionale della nostra civiltà. Va conservata in archivio.
La letteratura è forma, distinzione, privilegio, arte signorile, leggerezza: dunque un attributo delle classi dominanti. È nettare degli dèi che allieta i signori. O vino da servi.
La letteratura è forma, e ci insegna un uso formale della vita. Dunque ha un valore utopico e figurale. Anticipa una società liberata.
La letteratura ha perduto ogni funzione etico-civile ed è diventata dunque un prodotto superfluo.
La letteratura è un valore universale perché ci aiuta a coltivare sentimenti ed emozioni e ad arricchire il nostro immaginario, e perché ci parla della ricerca del significato, dunque del Senso.
3.
La letteratura ha mille facce, che possono divenire tutte, a seconda della situazioni storiche, egualmente vere e attuali. Ma se consiste anzitutto in un rapporto sociale, sta alla comunità – e dunque anche ai lettori e ai critici – che prevalga l’una o l’altra di esse.
di Romano Luperini
1.
La letteratura è un rapporto sociale. Già Sartre sosteneva (e Fortini lo ha ripetuto) che in concreto esiste solo il rapporto scrittura - lettura, il quale dipende in ultima analisi dal tipo di ricezione che si impone in una comunità o in un gruppo di lettori o persino in singoli lettori. Dunque non si può dare una risposta sostanzialistica alla domanda “che cos’è la letteratura?”. O meglio le risposte sostanzialistiche sono state diverse e persino opposte e oggi rivelano, mi pare, la loro inconsistenza.
2.
Anche alla domanda “a che serve oggi la letteratura?” si è risposto e si può rispondere in modi diversissimi.
La letteratura non serve a niente. In una società dominata dal profitto, dalla tecnologia e dalle immagini è un piacere anacronistico, un residuo inutile che ormai pochi coltivano, come una setta di intenditori di vino in una società di bevitori di birra.
La letteratura è un serbatoio delle memorie e delle tradizioni di un paese o di una civiltà. Va conosciuta perché contribuisce alla formazione della identità nazionale o sopranazionale della nostra civiltà. Va conservata in archivio.
La letteratura è forma, distinzione, privilegio, arte signorile, leggerezza: dunque un attributo delle classi dominanti. È nettare degli dèi che allieta i signori. O vino da servi.
La letteratura è forma, e ci insegna un uso formale della vita. Dunque ha un valore utopico e figurale. Anticipa una società liberata.
La letteratura ha perduto ogni funzione etico-civile ed è diventata dunque un prodotto superfluo.
La letteratura è un valore universale perché ci aiuta a coltivare sentimenti ed emozioni e ad arricchire il nostro immaginario, e perché ci parla della ricerca del significato, dunque del Senso.
3.
La letteratura ha mille facce, che possono divenire tutte, a seconda della situazioni storiche, egualmente vere e attuali. Ma se consiste anzitutto in un rapporto sociale, sta alla comunità – e dunque anche ai lettori e ai critici – che prevalga l’una o l’altra di esse.