LA MIA PICCOLA GRANDE AVVENTURA
Quale decisione è più importante per il tuo futuro se non la scelta delle scuole superiori? Che complicato evento è insieme di grande responsabilità e di grande utilità. Si cercano ovunque notizie e indicazioni, ci si fa consigliare da amici e parenti, tante scelte e tante soluzioni con solo risultato di uscirne con la testa piena di confusione e di incertezza. Poi inizia la valutazione delle possibilità di farcela, del lavoro da intraprendere e dalla sua difficoltà. Peccato che spesso non è una scelta semplice da fare, ti porta all’esaurimento nervoso, allo stress che aumenta quando decidi finalmente dove andare e quale scuola visitare. Ma credetemi, dire che per me è stato agghiacciante visitare il luogo in cui l’anno prossimo trascorrerò la maggior parte della mia giornata è davvero dir poco! E già, perché l’avventura in cui mi sono tuffata proprio stamani, ha davvero dell’incredibile…
Tutto cominciò con la definitiva scelta di andare al Liceo Scientifico Leonardo di Giarre. Precedentemente avevo scelto l’indirizzo Brocca Linguistico, giacché mi piacciono molto le lingue e non volevo buttare via i tre anni di francese che avevo fatto alle scuole medie (inutile dire che avevo scelto il liceo scientifico perché amavo le materie scientifiche). Poi però avevo cambiato idea (…e chi non lo fa dopo essersi informato meglio ?!) e avevo scelto Brocca Scientifico perché inseriva più materie scientifiche importanti per adempiere le aspettative del mio futuro. Con mia immensa gioia mi era stato comunicato a scuola il giorno in cui potevo andare a visitare ciò che ormai da mesi più ingombrava la mia mente e mi rendeva nervosa: il Liceo Scientifico Leonardo di Giarre, ovvero la mia futura scuola superiore. Anche se nei giorni seguenti la data era stata cambiata, non era svanita la mia voglia e il mio entusiasmo di pensare al mio futuro più prossimo e nonostante tutto ho aspettato pazientemente l’arrivo di stamattina.
Ecco cosa accadde…
Avrei già dovuto capire che la mattinata non si prospettava una delle migliori dal fatto che avevo “accuratamente” dimenticato di informare mia mamma del minuscolo particolare che doveva accompagnarmi lei e aspettare il mio ingresso alla scuola superiore. Inoltre all’ultimo minuto mi ero ricordata che avrei dovuto portare con me una borsa con un blocchetto e una penna che, come ci avevano suggerito i prof., potevano sempre tornare utili. Alle 8.10 correvo già giù dalle scale accompagnata dalle suppliche piuttosto adirate di mia mamma che mi invitava a sbrigarmi. Accompagnata mia sorella maggiore all’Istituto Tecnico Commerciale di Riposto, io e mia mamma iniziammo a sfrecciare sulla strada asfaltata con una velocità degna della Formula 1 ed ecco davanti pararsi d’un tratto, imponente e maestosa, la mia futura scuola: stavo per entrarci per la prima volta e…che nervosismo e che emozione! Lontano lontano come piccoli puntini bianchi vidi molti dei miei compagni che si avvicinavano sempre di più. E, come una diva di Hollywood, scesi dalla macchina a testa alta e li raggiunsi. Ignorando i piacevoli commenti delle mie amiche (“Oh, quant’è carina questa borsa!”, “Oh, quant’è carino questo paio di pantaloni…è velluto di quello buono, vero?”) ma con la testa fra le nuvole vidi finalmente ciò che da tanto tempo aspettavo di vedere, ciò che avevo atteso a lungo da molto tempo; così la verità mi si parò davanti con una tale forza e una tale velocità che quasi non sbattei contro il muro di fronte a me: ero cresciuta davvero e tra qualche mese sarei diventata una liceale in cerca di emozioni e di libertà. In quel momento però il brusco e prolungato squillo della campanella interruppe i miei pensieri e quasi fui travolta da quello che sembrava un branco informe di bufali inferociti in corsa in una prateria. Solo per brevi attimi dovetti incontrare quegli occhi carichi di curiosità, ma anche di superiorità e per poco dovetti anche incrociare quello sguardo che lasciava trasparire i pensieri di una mente che ricordava i momenti già vissuti allo stesso modo, solo 2 o 3 anni addietro, proprio lì. Poi una mano invisibile spinse me e i miei compagni a entrare in Presidenza dove iniziò veramente la mia avventura. Per iniziare ci misero tutti in fila come se stessimo per fare una recita e poi, dopo aver assistito all’esaltante scena di fogli che volavano da tutte le parti ad opera della furia del vicepreside (il quale non trovava più i nostri elenchi e imprecava contro il ritardo di alunni e insegnanti) ci smistarono oralmente per le varie classi a gruppi di tre. Io (più per nobiltà d’animo che per ignoranza) lasciai che mi inserissero all’interno di un gruppo in cui non conoscevo nessuno in modo da poter assistere alla felicità delle mie due migliori amiche che si ritrovarono abbracciate con la prospettiva di poter trascorrere una lieta giornata insieme. Il mio gesto l’ho definito un sacrificio, poiché non si può mai immaginare quanto sia importante la presenza di un volto amico in mezzo a una moltitudine di sconosciuti e, per di più, in un luogo completamente nuovo e ignoto. Mi lasciai quindi alle spalle la possibilità di poter paragonare e confrontare la mia vecchia scuola con quella e mi recai triste e sola dalla mia buona mamma che mi aspettava davanti alla presidenza e guardava con comprensione il mio volto pallido, come quello di un condannato a morte sull’altare dei sacrifici umani. Tuttavia non mi arresi e nonostante la tristezza dovuta al mio peggiore incubo di restare sola, mi armai di speranza e di buon senso, decisa a fare nuove amicizie e a trovarmi un po’ più a mio agio. La sorte che toccò agli altri non mi è stata ancora resa nota e intanto io mi avviai verso un universo sconosciuto, lasciandomi alle spalle quei sorrisi di incoraggiamento e l’apprensione di chi capiva vagamente la mia situazione.
Per prima cosa cercai di fare amicizia con la ragazza e il ragazzo del mio gruppo e iniziai a sentirmi meglio. Poi con Giovanna e Marco ( questi erano i loro nomi ) ci recammo verso l’Aula Magna dove fummo accolti con gioia con un “ E voi chi siete? Quelli delle medie vero? Qua stiamo facendo compito e non vogliamo gente tra i piedi. Se volete potete sedervi là in fondo muti e in silenzio.” Però! Che meravigliosa accoglienza, e che finezza e che stile! Non potevamo aspettarci di più. Davvero! Siamo nuovamente scesi in Presidenza dove mi hanno con gioia informato che io non dovevo essere lì perché non ero negli elenchi e che dovevo essere in breve buttata fuori. Poi con la mia solita fortuna della nata il venerdì 17 alle ore 17.00 e la bontà sconfinata del vicepreside sono stata ammessa alle lezioni. Pareva che capitassero tutte a me. Ma se già iniziavo a stupirmi, non avevo idea di quanto ancora mi doveva succedere… Riprendendo il filo del discorso mi trovavo lì, con Marco e Giovanna, senza sapere dove andare. C’è però da dire che riguardo all’organizzazione delle scuole non avevo mai visto nulla di simile: la prontezza delle risposte come “No, noi no” oppure “ Nella prossima classe” alla nostra domanda di accoglienza lascia davvero sbalorditi…! Alla fine, dopo aver sopportato pazientemente le lamentele della mia compagna riguardo alla disponibilità del personale della scuola, siamo capitati finalmente in una classe disposta ad accoglierci e ciò ha messo fine alla disperata ricerca di Giovanna di qualcosa di cui lamentarsi. Dal canto mio, iniziavo a essere stufa di girovagare senza una meta come un’anima in pena e fui più che felice di vedere che quella era anche la classe di Nelly e Lucy, due mie simpatiche compagne di palestra, sempre pronte a scherzare e a darti una mano. Io ero così impegnata a cercare qualcun altro che conoscevo e a valutare la proposta di sedermi accanto a loro che non mi accorsi che, gentilmente, Giovanna e Marco avevano occupato gli unici due posti liberi rimasti e, egoisticamente, se ne stavano lì come se non avessero fatto nulla di più divertente che darsi a una rapida ricerca e corsa verso le uniche due sedie rimaste. Dopo aver finalmente occupato una delle due sedie delle ragazze, che sussurravano la lezione alla prof., sedute vicino alla cattedra, mi accorsi che gli altri facevano quello che volevano, ognuno per conto suo: chi disegnava, chi colorava, chi soprattutto parlava… e alla prof.? Non gliene poteva importare di meno! Solo allora mi dedicai all’osservazione accurata della stanza che presentava una parete costituita da grandi finestre, un’altra occupata quasi del tutto da una grande lavagna murale e le altre due piene di splendidi cartelloni. La stanza non era molto grande ma appariva tale grazie alla luminosità e alla disposizione dei pochissimi banchi. La cattedra era rialzata e ciò permetteva agli insegnanti di vedere tutta la classe…da un’altra prospettiva! Da prendere in considerazione è anche il fatto che per trovare una classe disposta ad accoglierci era passato un quarto d’ora e che quindi buona parte del tempo era volato via. Per il restante non dovetti fare altro che ascoltare i discorsi delle tre ragazze con le quali ero stata seduta (“Accidenti, non dirmi che anche questo si doveva studiare, prenderò un altro 2 oppure posso dirle che ci vado interrogata giovedì così non dovrò più studiare quest’anno. Inoltre se i miei vedono la pagella mi ammazzano di sicuro...”, “...a chi lo dici? A me invece levano il cell, non farmici pensare!”) e guardarle disegnare. Con gioia vendicativa notai anche che Giovanna e Marco erano tutti sudati perché i posti che avevano scelto, con l’alzarsi del sole, erano stati colpiti in pieno.
Al suono della campanella che annunciava la fine della prima ora, seguì un silenzio soprannaturale in classe che mi stupì tanto dato il chiacchiericcio di pochi minuti prima. Il perché mi fu subito svelato all’arrivo di una giovane professoressa i cui pantaloni a fiori viola lasciavano intendere molte cose. Mi stupì anche che tutti si alzarono di botto in piedi come se si fossero appena seduti su una tavola di chiodi. Io, che ero impegnata a leggere le iscrizioni murali, non me ne accorsi subito, ma fui lieta di notare che neanche Giovanna e Marco si erano alzati. Io l’avrei fatto solo se fosse passata la regina Elisabetta, al massimo. Così pensai ma non ebbi tempo di rifletterci molto perché la mia attenzione fu attirata dalla conversazione delle alunne con la prof. che raccontavano con una smisurata quantità di particolari l’intervento subito da una ragazza (la quale ascoltava interessata la vicenda, come se non fosse accaduta a lei) che con dolore aveva visto penetrare aghi e siringhe nella pancia per levarle un tumore che la faceva soffrire molto. Io nel mio posto avevo la pelle d’oca e mi toccavo la pancia e tenevo le corna per scaramanzia. Solo dopo una rilassante lezione di... (preferisco non parlare di quale materia noiosa si trattasse) mi sono sentita veramente sveglia come lo è un ghiro in letargo, ma ho aspettato con perseveranza la fine della lezione, il cui solo fatto degno di nota fu un rimprovero a una ragazza che scriveva sul banco e la punizione consistente nel pagare 0.70 centesimi. Felice come non mai, al suono della campanella stavo per precipitarmi fuori per vedere come era andata agli altri miei compagni, ma, ecco, che entra un altro professore e io credo di essere rimasta con la bocca aperta per molto tempo prima di convincermi che la ricreazione sarebbe arrivata un’ora dopo. Nel frattempo non dovetti fare altro che ascoltare la lezione del simpatico docente che insegnava Religione e ci mise poco a confondermi con i vari nomi in cui è chiamato Gesù e le feste come Pasqua e Pentecoste. Nel frattempo dovetti anche ignorare le proteste del mio stomaco che invocava aiuto e dei miraggi di un bel cornetto che fluttuava nell’aria e volava via dalla finestra. Forse fu proprio questo che mi spinse al suono della tanta agognata campanella a sfrecciare via dalla classe, senza mettermi d’accordo con Giovanna e Marco. Guidata dalla fame scesi verso il basso, accompagnata solo dal ricordo che la mattina (che ora sembrava appartenere a secoli fa) ero salita verso l’alto, ma ben presto mi trovai sola e stavo tanto rimpiangendo il mio peccato di ingordigia che quasi non vidi arrivare Sissi, Ciro e Lucio, i quali mi raccontarono di aver passato tutta l’ora a prendere appunti di latino. Ma in quel momento volevo solo mangiare e così, a braccetto con Sissi, partii alla ricerca disperata del mio amato cornetto perduto: ed eccola lì, la sala mensa con gli altri miei compagni (li avrei salutati dopo, prima il dovere e poi il piacere), quasi piango per la felicità di averla trovata, la vedo diafana, mi affretto, sta per scomparire…Driiinnnn! E d’un tratto dopo averla a lungo cercata non la vedo più, mi sento come Mosè che muore dopo esser riuscito a vedere la Terra Promessa senza più metterci piede, e vedo anche un’altra cosa là in fondo…, non riesco a distinguerla bene…, ma sì, è il mio adorato cornetto che vola via a farsi benedire! Come ho fatto a non riconoscerlo prima?! Ma non riesco a vedere niente, la massa di bufali e bisonti che c’era stamani all’entrata è tornata, e corre, schiaccia gli altri, diventa un’unica macchia di non so che….. E io? Non avevo avuto tempo di mangiare, di salutare qualcuno, di fare qualcos’altro che richiedesse maggiore sforzo di pensare ad un morbido, croccante, cremoso cornetto. Ma si, ora che ci pensavo bene ecco perché correvano tutti, manco il tempo di comprare nulla e dovevano tornare in classe e ciò che rimaneva era un grasso studente in un angolo intento a mangiarsi la sua bella pizzetta, scolandosi tutto l’olio a la salsa addosso e con quell’espressione di sazia soddisfazione che avrei voluto avere anche io. Tuttavia nella serie “ La mia fortuna in questa scuola” doveva ancora avvenire la parte più comica: mi sono persa. Ebbene sì, non ridete ma io ero ancora con la mente su quel profumato cornetto fumante che ho dimenticato sia il percorso che avevo fatto dalla classe al piano terra, sia dove poteva essere il mio gruppo! E come mi sono sentita allora…! Ho iniziato a girare per tutti i piani della scuola pensando a come, nella classe, gli altri si stessero chiedendo che fine avessi fatto, e più cercavo di orientarmi, più mi confondevo. Iniziai a chiedere aiuto ai bidelli i quali ne sapevano meno di me e mi indicavano aule non accessibili o corridoi che finivano su grandi scale. E più andavo avanti per i 3 piani e più mi apparivano uguali, con le stesse scale che si biforcavano in tutte le direzioni. Iniziai a chiedere aiuto a tutti i prof., bidelli e alunni che incontravo per strada, finché, dopo 10 minuti di disperata ricerca e con i piedi doloranti, non trovai la classe che, fortuna delle fortune, era vuota. Allora mi disperai davvero e giunsi alla conclusione che dovevo essere stata toccata dalla mala sorte. Vagai per altri 5 minuti senza vedere una faccia conosciuta, parlando da sola come una pazza e dicendo a tutti coloro che mi avevano indicato la strada “Grazie, l’ho trovata” e, siccome avevo chiesto aiuto a tanti, sembrava che mi si fosse incantata la lingua! Poi, con un gemito di felicità, vidi Nelly venire verso di me e allora, con la dignità e la grazia che può avere un sopravvissuto in un deserto senza mangiare (il che era vero dopo tutto) e bere chiesi dov’erano finiti tutti; e lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi disse che erano tutti in palestra e lei era salita solo per cambiarsi. Così finalmente, come un gladiatore che entra nell’arena, io entrai in palestra, con il volto finalmente soddisfatto dopo una lunga ed estenuante ricerca. Ciò che mi fece rabbia fu che Giovanna e Marco avevano subito trovato la strada ed erano andati dritti in palestra, o almeno così mi raccontarono. Morale della storia? Capitano tutte a me. Inutile dire che aspettai con ansia l’arrivo a casa e a malapena riuscii a sopportare l’ora di Educazione Fisica tenuta da un insegnante che per punizione ci fece uscire e ci fece andare nel cortile per poi farci tornare in palestra, senza motivazione. Cosa ancora da notare fu che solo 5 facevano palestra mentre gli altri giocavano a tennis o ping pong o parlavano seduti comodamente nelle panchine. Nonostante la stanchezza e la voglia di tornare a casa, mi assicurai prima di potermene andare tranquillamente e per questo lo chiesi a un bidello che mi accompagnò dal vicepreside, il quale mi fece così tante domande prima di capire che ero solo venuta per chiedergli se potevo andare via, che la testa mi iniziò a girare e vidi triplo. Finalmente uscii senza sapere quale dei tre avevo salutato (!!!) e mi ritrovai finalmente fuori a respirare l’aria fresca e ad assicurarmi che la giornata era finalmente finita (almeno in quel senso). Vidi le mie migliori amiche e le ascoltai quel poco che bastava per capire che avevano deciso di iscriversi all’indirizzo PNI. Poi le salutai per raggiungere di corsa la mia cara mamma e raccontarle la mia avventura.
Eh, si, è stata proprio un’avventura degna di essere scritta, che magari ha fatto un po’ ridere ma ha raccontato la storia realmente accaduta alla sottoscritta proprio martedì 24 gennaio 2006, giorno in cui, nonostante il mal di testa e la confusione con la quale sono tornata a casa, ho finalmente capito che non è mai troppo presto per iniziare a badare a se stessi e per rendersi conto che non bisogna avere paura dell’ignoto, perché se ci sono riuscita io a combinare tutto questo e adesso a riuscire a sorridere, può riuscirci chiunque. Non smettete mai di fare nuove esperienze ma siate sempre pronti ad affrontare tutto con coraggio, determinazione e speranza ricordandovi però di essere ottimisti perché solo con la positività si può riuscire a trasformare una storia semplice come la mia in un simpatico ma breve romanzo d’avventura.
Le Mura Sara I H
Quale decisione è più importante per il tuo futuro se non la scelta delle scuole superiori? Che complicato evento è insieme di grande responsabilità e di grande utilità. Si cercano ovunque notizie e indicazioni, ci si fa consigliare da amici e parenti, tante scelte e tante soluzioni con solo risultato di uscirne con la testa piena di confusione e di incertezza. Poi inizia la valutazione delle possibilità di farcela, del lavoro da intraprendere e dalla sua difficoltà. Peccato che spesso non è una scelta semplice da fare, ti porta all’esaurimento nervoso, allo stress che aumenta quando decidi finalmente dove andare e quale scuola visitare. Ma credetemi, dire che per me è stato agghiacciante visitare il luogo in cui l’anno prossimo trascorrerò la maggior parte della mia giornata è davvero dir poco! E già, perché l’avventura in cui mi sono tuffata proprio stamani, ha davvero dell’incredibile…
Tutto cominciò con la definitiva scelta di andare al Liceo Scientifico Leonardo di Giarre. Precedentemente avevo scelto l’indirizzo Brocca Linguistico, giacché mi piacciono molto le lingue e non volevo buttare via i tre anni di francese che avevo fatto alle scuole medie (inutile dire che avevo scelto il liceo scientifico perché amavo le materie scientifiche). Poi però avevo cambiato idea (…e chi non lo fa dopo essersi informato meglio ?!) e avevo scelto Brocca Scientifico perché inseriva più materie scientifiche importanti per adempiere le aspettative del mio futuro. Con mia immensa gioia mi era stato comunicato a scuola il giorno in cui potevo andare a visitare ciò che ormai da mesi più ingombrava la mia mente e mi rendeva nervosa: il Liceo Scientifico Leonardo di Giarre, ovvero la mia futura scuola superiore. Anche se nei giorni seguenti la data era stata cambiata, non era svanita la mia voglia e il mio entusiasmo di pensare al mio futuro più prossimo e nonostante tutto ho aspettato pazientemente l’arrivo di stamattina.
Ecco cosa accadde…
Avrei già dovuto capire che la mattinata non si prospettava una delle migliori dal fatto che avevo “accuratamente” dimenticato di informare mia mamma del minuscolo particolare che doveva accompagnarmi lei e aspettare il mio ingresso alla scuola superiore. Inoltre all’ultimo minuto mi ero ricordata che avrei dovuto portare con me una borsa con un blocchetto e una penna che, come ci avevano suggerito i prof., potevano sempre tornare utili. Alle 8.10 correvo già giù dalle scale accompagnata dalle suppliche piuttosto adirate di mia mamma che mi invitava a sbrigarmi. Accompagnata mia sorella maggiore all’Istituto Tecnico Commerciale di Riposto, io e mia mamma iniziammo a sfrecciare sulla strada asfaltata con una velocità degna della Formula 1 ed ecco davanti pararsi d’un tratto, imponente e maestosa, la mia futura scuola: stavo per entrarci per la prima volta e…che nervosismo e che emozione! Lontano lontano come piccoli puntini bianchi vidi molti dei miei compagni che si avvicinavano sempre di più. E, come una diva di Hollywood, scesi dalla macchina a testa alta e li raggiunsi. Ignorando i piacevoli commenti delle mie amiche (“Oh, quant’è carina questa borsa!”, “Oh, quant’è carino questo paio di pantaloni…è velluto di quello buono, vero?”) ma con la testa fra le nuvole vidi finalmente ciò che da tanto tempo aspettavo di vedere, ciò che avevo atteso a lungo da molto tempo; così la verità mi si parò davanti con una tale forza e una tale velocità che quasi non sbattei contro il muro di fronte a me: ero cresciuta davvero e tra qualche mese sarei diventata una liceale in cerca di emozioni e di libertà. In quel momento però il brusco e prolungato squillo della campanella interruppe i miei pensieri e quasi fui travolta da quello che sembrava un branco informe di bufali inferociti in corsa in una prateria. Solo per brevi attimi dovetti incontrare quegli occhi carichi di curiosità, ma anche di superiorità e per poco dovetti anche incrociare quello sguardo che lasciava trasparire i pensieri di una mente che ricordava i momenti già vissuti allo stesso modo, solo 2 o 3 anni addietro, proprio lì. Poi una mano invisibile spinse me e i miei compagni a entrare in Presidenza dove iniziò veramente la mia avventura. Per iniziare ci misero tutti in fila come se stessimo per fare una recita e poi, dopo aver assistito all’esaltante scena di fogli che volavano da tutte le parti ad opera della furia del vicepreside (il quale non trovava più i nostri elenchi e imprecava contro il ritardo di alunni e insegnanti) ci smistarono oralmente per le varie classi a gruppi di tre. Io (più per nobiltà d’animo che per ignoranza) lasciai che mi inserissero all’interno di un gruppo in cui non conoscevo nessuno in modo da poter assistere alla felicità delle mie due migliori amiche che si ritrovarono abbracciate con la prospettiva di poter trascorrere una lieta giornata insieme. Il mio gesto l’ho definito un sacrificio, poiché non si può mai immaginare quanto sia importante la presenza di un volto amico in mezzo a una moltitudine di sconosciuti e, per di più, in un luogo completamente nuovo e ignoto. Mi lasciai quindi alle spalle la possibilità di poter paragonare e confrontare la mia vecchia scuola con quella e mi recai triste e sola dalla mia buona mamma che mi aspettava davanti alla presidenza e guardava con comprensione il mio volto pallido, come quello di un condannato a morte sull’altare dei sacrifici umani. Tuttavia non mi arresi e nonostante la tristezza dovuta al mio peggiore incubo di restare sola, mi armai di speranza e di buon senso, decisa a fare nuove amicizie e a trovarmi un po’ più a mio agio. La sorte che toccò agli altri non mi è stata ancora resa nota e intanto io mi avviai verso un universo sconosciuto, lasciandomi alle spalle quei sorrisi di incoraggiamento e l’apprensione di chi capiva vagamente la mia situazione.
Per prima cosa cercai di fare amicizia con la ragazza e il ragazzo del mio gruppo e iniziai a sentirmi meglio. Poi con Giovanna e Marco ( questi erano i loro nomi ) ci recammo verso l’Aula Magna dove fummo accolti con gioia con un “ E voi chi siete? Quelli delle medie vero? Qua stiamo facendo compito e non vogliamo gente tra i piedi. Se volete potete sedervi là in fondo muti e in silenzio.” Però! Che meravigliosa accoglienza, e che finezza e che stile! Non potevamo aspettarci di più. Davvero! Siamo nuovamente scesi in Presidenza dove mi hanno con gioia informato che io non dovevo essere lì perché non ero negli elenchi e che dovevo essere in breve buttata fuori. Poi con la mia solita fortuna della nata il venerdì 17 alle ore 17.00 e la bontà sconfinata del vicepreside sono stata ammessa alle lezioni. Pareva che capitassero tutte a me. Ma se già iniziavo a stupirmi, non avevo idea di quanto ancora mi doveva succedere… Riprendendo il filo del discorso mi trovavo lì, con Marco e Giovanna, senza sapere dove andare. C’è però da dire che riguardo all’organizzazione delle scuole non avevo mai visto nulla di simile: la prontezza delle risposte come “No, noi no” oppure “ Nella prossima classe” alla nostra domanda di accoglienza lascia davvero sbalorditi…! Alla fine, dopo aver sopportato pazientemente le lamentele della mia compagna riguardo alla disponibilità del personale della scuola, siamo capitati finalmente in una classe disposta ad accoglierci e ciò ha messo fine alla disperata ricerca di Giovanna di qualcosa di cui lamentarsi. Dal canto mio, iniziavo a essere stufa di girovagare senza una meta come un’anima in pena e fui più che felice di vedere che quella era anche la classe di Nelly e Lucy, due mie simpatiche compagne di palestra, sempre pronte a scherzare e a darti una mano. Io ero così impegnata a cercare qualcun altro che conoscevo e a valutare la proposta di sedermi accanto a loro che non mi accorsi che, gentilmente, Giovanna e Marco avevano occupato gli unici due posti liberi rimasti e, egoisticamente, se ne stavano lì come se non avessero fatto nulla di più divertente che darsi a una rapida ricerca e corsa verso le uniche due sedie rimaste. Dopo aver finalmente occupato una delle due sedie delle ragazze, che sussurravano la lezione alla prof., sedute vicino alla cattedra, mi accorsi che gli altri facevano quello che volevano, ognuno per conto suo: chi disegnava, chi colorava, chi soprattutto parlava… e alla prof.? Non gliene poteva importare di meno! Solo allora mi dedicai all’osservazione accurata della stanza che presentava una parete costituita da grandi finestre, un’altra occupata quasi del tutto da una grande lavagna murale e le altre due piene di splendidi cartelloni. La stanza non era molto grande ma appariva tale grazie alla luminosità e alla disposizione dei pochissimi banchi. La cattedra era rialzata e ciò permetteva agli insegnanti di vedere tutta la classe…da un’altra prospettiva! Da prendere in considerazione è anche il fatto che per trovare una classe disposta ad accoglierci era passato un quarto d’ora e che quindi buona parte del tempo era volato via. Per il restante non dovetti fare altro che ascoltare i discorsi delle tre ragazze con le quali ero stata seduta (“Accidenti, non dirmi che anche questo si doveva studiare, prenderò un altro 2 oppure posso dirle che ci vado interrogata giovedì così non dovrò più studiare quest’anno. Inoltre se i miei vedono la pagella mi ammazzano di sicuro...”, “...a chi lo dici? A me invece levano il cell, non farmici pensare!”) e guardarle disegnare. Con gioia vendicativa notai anche che Giovanna e Marco erano tutti sudati perché i posti che avevano scelto, con l’alzarsi del sole, erano stati colpiti in pieno.
Al suono della campanella che annunciava la fine della prima ora, seguì un silenzio soprannaturale in classe che mi stupì tanto dato il chiacchiericcio di pochi minuti prima. Il perché mi fu subito svelato all’arrivo di una giovane professoressa i cui pantaloni a fiori viola lasciavano intendere molte cose. Mi stupì anche che tutti si alzarono di botto in piedi come se si fossero appena seduti su una tavola di chiodi. Io, che ero impegnata a leggere le iscrizioni murali, non me ne accorsi subito, ma fui lieta di notare che neanche Giovanna e Marco si erano alzati. Io l’avrei fatto solo se fosse passata la regina Elisabetta, al massimo. Così pensai ma non ebbi tempo di rifletterci molto perché la mia attenzione fu attirata dalla conversazione delle alunne con la prof. che raccontavano con una smisurata quantità di particolari l’intervento subito da una ragazza (la quale ascoltava interessata la vicenda, come se non fosse accaduta a lei) che con dolore aveva visto penetrare aghi e siringhe nella pancia per levarle un tumore che la faceva soffrire molto. Io nel mio posto avevo la pelle d’oca e mi toccavo la pancia e tenevo le corna per scaramanzia. Solo dopo una rilassante lezione di... (preferisco non parlare di quale materia noiosa si trattasse) mi sono sentita veramente sveglia come lo è un ghiro in letargo, ma ho aspettato con perseveranza la fine della lezione, il cui solo fatto degno di nota fu un rimprovero a una ragazza che scriveva sul banco e la punizione consistente nel pagare 0.70 centesimi. Felice come non mai, al suono della campanella stavo per precipitarmi fuori per vedere come era andata agli altri miei compagni, ma, ecco, che entra un altro professore e io credo di essere rimasta con la bocca aperta per molto tempo prima di convincermi che la ricreazione sarebbe arrivata un’ora dopo. Nel frattempo non dovetti fare altro che ascoltare la lezione del simpatico docente che insegnava Religione e ci mise poco a confondermi con i vari nomi in cui è chiamato Gesù e le feste come Pasqua e Pentecoste. Nel frattempo dovetti anche ignorare le proteste del mio stomaco che invocava aiuto e dei miraggi di un bel cornetto che fluttuava nell’aria e volava via dalla finestra. Forse fu proprio questo che mi spinse al suono della tanta agognata campanella a sfrecciare via dalla classe, senza mettermi d’accordo con Giovanna e Marco. Guidata dalla fame scesi verso il basso, accompagnata solo dal ricordo che la mattina (che ora sembrava appartenere a secoli fa) ero salita verso l’alto, ma ben presto mi trovai sola e stavo tanto rimpiangendo il mio peccato di ingordigia che quasi non vidi arrivare Sissi, Ciro e Lucio, i quali mi raccontarono di aver passato tutta l’ora a prendere appunti di latino. Ma in quel momento volevo solo mangiare e così, a braccetto con Sissi, partii alla ricerca disperata del mio amato cornetto perduto: ed eccola lì, la sala mensa con gli altri miei compagni (li avrei salutati dopo, prima il dovere e poi il piacere), quasi piango per la felicità di averla trovata, la vedo diafana, mi affretto, sta per scomparire…Driiinnnn! E d’un tratto dopo averla a lungo cercata non la vedo più, mi sento come Mosè che muore dopo esser riuscito a vedere la Terra Promessa senza più metterci piede, e vedo anche un’altra cosa là in fondo…, non riesco a distinguerla bene…, ma sì, è il mio adorato cornetto che vola via a farsi benedire! Come ho fatto a non riconoscerlo prima?! Ma non riesco a vedere niente, la massa di bufali e bisonti che c’era stamani all’entrata è tornata, e corre, schiaccia gli altri, diventa un’unica macchia di non so che….. E io? Non avevo avuto tempo di mangiare, di salutare qualcuno, di fare qualcos’altro che richiedesse maggiore sforzo di pensare ad un morbido, croccante, cremoso cornetto. Ma si, ora che ci pensavo bene ecco perché correvano tutti, manco il tempo di comprare nulla e dovevano tornare in classe e ciò che rimaneva era un grasso studente in un angolo intento a mangiarsi la sua bella pizzetta, scolandosi tutto l’olio a la salsa addosso e con quell’espressione di sazia soddisfazione che avrei voluto avere anche io. Tuttavia nella serie “ La mia fortuna in questa scuola” doveva ancora avvenire la parte più comica: mi sono persa. Ebbene sì, non ridete ma io ero ancora con la mente su quel profumato cornetto fumante che ho dimenticato sia il percorso che avevo fatto dalla classe al piano terra, sia dove poteva essere il mio gruppo! E come mi sono sentita allora…! Ho iniziato a girare per tutti i piani della scuola pensando a come, nella classe, gli altri si stessero chiedendo che fine avessi fatto, e più cercavo di orientarmi, più mi confondevo. Iniziai a chiedere aiuto ai bidelli i quali ne sapevano meno di me e mi indicavano aule non accessibili o corridoi che finivano su grandi scale. E più andavo avanti per i 3 piani e più mi apparivano uguali, con le stesse scale che si biforcavano in tutte le direzioni. Iniziai a chiedere aiuto a tutti i prof., bidelli e alunni che incontravo per strada, finché, dopo 10 minuti di disperata ricerca e con i piedi doloranti, non trovai la classe che, fortuna delle fortune, era vuota. Allora mi disperai davvero e giunsi alla conclusione che dovevo essere stata toccata dalla mala sorte. Vagai per altri 5 minuti senza vedere una faccia conosciuta, parlando da sola come una pazza e dicendo a tutti coloro che mi avevano indicato la strada “Grazie, l’ho trovata” e, siccome avevo chiesto aiuto a tanti, sembrava che mi si fosse incantata la lingua! Poi, con un gemito di felicità, vidi Nelly venire verso di me e allora, con la dignità e la grazia che può avere un sopravvissuto in un deserto senza mangiare (il che era vero dopo tutto) e bere chiesi dov’erano finiti tutti; e lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi disse che erano tutti in palestra e lei era salita solo per cambiarsi. Così finalmente, come un gladiatore che entra nell’arena, io entrai in palestra, con il volto finalmente soddisfatto dopo una lunga ed estenuante ricerca. Ciò che mi fece rabbia fu che Giovanna e Marco avevano subito trovato la strada ed erano andati dritti in palestra, o almeno così mi raccontarono. Morale della storia? Capitano tutte a me. Inutile dire che aspettai con ansia l’arrivo a casa e a malapena riuscii a sopportare l’ora di Educazione Fisica tenuta da un insegnante che per punizione ci fece uscire e ci fece andare nel cortile per poi farci tornare in palestra, senza motivazione. Cosa ancora da notare fu che solo 5 facevano palestra mentre gli altri giocavano a tennis o ping pong o parlavano seduti comodamente nelle panchine. Nonostante la stanchezza e la voglia di tornare a casa, mi assicurai prima di potermene andare tranquillamente e per questo lo chiesi a un bidello che mi accompagnò dal vicepreside, il quale mi fece così tante domande prima di capire che ero solo venuta per chiedergli se potevo andare via, che la testa mi iniziò a girare e vidi triplo. Finalmente uscii senza sapere quale dei tre avevo salutato (!!!) e mi ritrovai finalmente fuori a respirare l’aria fresca e ad assicurarmi che la giornata era finalmente finita (almeno in quel senso). Vidi le mie migliori amiche e le ascoltai quel poco che bastava per capire che avevano deciso di iscriversi all’indirizzo PNI. Poi le salutai per raggiungere di corsa la mia cara mamma e raccontarle la mia avventura.
Eh, si, è stata proprio un’avventura degna di essere scritta, che magari ha fatto un po’ ridere ma ha raccontato la storia realmente accaduta alla sottoscritta proprio martedì 24 gennaio 2006, giorno in cui, nonostante il mal di testa e la confusione con la quale sono tornata a casa, ho finalmente capito che non è mai troppo presto per iniziare a badare a se stessi e per rendersi conto che non bisogna avere paura dell’ignoto, perché se ci sono riuscita io a combinare tutto questo e adesso a riuscire a sorridere, può riuscirci chiunque. Non smettete mai di fare nuove esperienze ma siate sempre pronti ad affrontare tutto con coraggio, determinazione e speranza ricordandovi però di essere ottimisti perché solo con la positività si può riuscire a trasformare una storia semplice come la mia in un simpatico ma breve romanzo d’avventura.
Le Mura Sara I H