Testata: Corriere della Sera
Data: 22 febbraio 2007
Pagina: 47
Autore: Danilo Taino
Titolo: «La resa dell'Occidente»
Dal CORRIERE della SERA del 22 febbraio 2007:
P er ora, Nicolas Sarkozy conquista gli intellettuali. Ma cosa succederebbe se
fossero les intellos a conquistare la mente e l'agenda del candidato alla
presidenza francese? E poi, a maggio, «Sarko» vincesse l'Eliseo? Beh, è vero che
la Francia non ha mai visto un presidente dare retta ai pensatori, ma una parte
del fascino di Sarkozy sta nella capacità di sorprendere. E, comunque, la
domanda si forma da sola se si legge il saggio La tirannia della penitenza (Guanda),
lavoro di Pascal Bruckner, romanziere, saggista, noveau philosophe che fino a
poco tempo fa era attratto da Ségolène Royal, ma adesso — come molti altri della
fu sinistra parigina — appoggia l'uomo dell'Ump. Avremmo un neocon al cuore del
Vecchio Continente?
Bruckner sostiene che l'Occidente e soprattutto l'Europa vivono in gran parte
sotto un cielo grigio, nuvole dense create dal senso di colpa per il passato e
per la superiorità dell'Ovest in fatto di libertà, democrazia, scienza. Nuvole —
denuncia — create e tenute gonfie da un'«ideologia balbuziente», dalla
tradizione dell'antioccidentalismo «che va da Montaigne a Sartre e che instilla
relativismo e dubbio», e da una élite di sacerdoti del pensiero che incitano
all'autoaccusa e alla fustigazione pubblica. «La casta degli intellettuali, alle
nostre latitudini, è la casta penitenziale per eccellenza, erede diretta del
clero dell'Ancien Régime».
È il confronto con l'Islam, ovviamente, il punto critico dell'analisi di
Bruckner.
Se il terrorismo ci colpisce, scatta il riflesso condizionato per il quale
qualche colpa l'avremo pure; se Al Qaeda abbatte le Torri gemelle, schiere di
«progressisti» ci raccontano che gli americani sono pur sempre responsabili dei
mali del mondo. «Così come esistono predicatori di odio nell'islamismo radicale,
esistono predicatori di vergogna nelle nostre democrazie, soprattutto fra le
élite intellettuali, e la loro capacità di fare del proselitismo non è
trascurabile».
Il risultato è un abbaglio ideologico tragico che Bruckner — fatte le
proporzioni — paragona a quello dei vecchi comunisti, i quali, pur sapendosi
innocenti, confessavano colpe immaginarie di fronte alle accuse dello
stalinismo. «L'europeo medio, uomo o donna che sia, è un essere
straordinariamente sensibile, sempre pronto ad attribuirsi la colpa della
povertà dell'Africa, a impietosirsi di fronte alle sofferenze di un mondo di cui
si ritiene responsabile, e a chiedersi cosa possa fare lui per il Sud, invece di
interrogarsi su cosa il Sud possa fare per se stesso».
Da giovane, Bruckner (oggi ha 58 anni) ha scritto due libri assieme ad Alain
Finkielkraut, l'intellettuale francese che, nei giorni delle rivolte delle
banlieue, creò un caso quando sostenne che le società multirazziali ci mettono
poco a diventare anche multirazziste. Ora, di Finkielkraut non condivide la
rivalorizzazione assoluta del colonialismo, inteso come nobile tentativo di
«portare educazione e civiltà ai selvaggi». Ciò nonostante, ritiene che la
questione dell'espansione di conquista, dell'impero — interessi centrali anche
dei neocon americani — siano essenziali per capire e spiegare il disorientamento
dell'uomo europeo frastornato da globalizzazione, ondate migratorie, minacce
alla sua sicurezza. E distingue tra colonialismo, fenomeno politico
condannabile, e colonizzazione, che può essere giudicata — dice — solo sul piano
storico: sarebbe difficile sostenere, duemila anni dopo, che la colonizzazione
della Gallia da parte dei Romani fu negativa o che l'influsso arabo sulla Spagna
non abbia contribuito a creare una civiltà ricchissima.
Insomma, noi occidentali non abbiamo un debito, sempre e comunque, verso il
resto del mondo. È vero che la civiltà europea è stata capace di atrocità. Ma
anche di opere sublimi. Soprattutto — qui sta la sua grandezza rispetto ad altre
— sa creare gli antidoti alla sua stessa barbarie, riesce ad analizzare se
stessa e a migliorarsi perché è aperta. È quel lucido fenomeno caratteristico
dell'Occidente che non è tanto la lotta tra il Bene e il Male, ma, nella formula
laica di Raymond Aron, la lotta di ciò che è preferibile contro ciò che è
detestabile. Ma se la lotta non è tra Bene e Male, lo spirito autocritico non
può diventare assoluto, totem in sé: pena la sua trasformazione in dogma. Ed è
invece questo, secondo Bruckner, quello che sta succedendo nel Vecchio
Continente: «Dal rifiuto dei dogmi nasce il dogma tutto nuovo della
demolizione».
Messa in politica, fatta entrare all'Eliseo, l'analisi di Bruckner
costringerebbe la Francia e l'Europa di oggi a smettere di camminare a testa in
giù, a cambiare il loro stesso modo di essere. Perché il senso di colpa è «un
alibi per la nostra abdicazione», dietro di esso si nasconde la rinuncia a
essere qualcosa nel mondo, addirittura il tentativo di separarsi da esso: si
accettano le colpe e ci si carica sulle spalle «il monopolio della barbarie» in
cambio della «triste cuccagna del supermercato, del tenore di vita,
dell'edonismo». No, Sarkozy che dà retta a les intellos non sarebbe
semplicemente un presidente neocon (Bruckner non lo è nemmeno). Costringerebbe
il Vecchio Continente e rimettersi in piedi: che è di più.