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Costume e società: La vita del professore di filosofia francese Robert Redeker dopo la fatwa di morte degli islamici

Rassegna stampa

un articolo di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 20 febbraio 2007
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «CONVIVERE CON LA MORTE»



Dal FOGLIO del 20 febbraio 2007:

Si conclude su una nota di speranza sorvegliata il diario dell’intimidazione di Robert Redeker, “Il faut tenter de vivre” (Seuil edizioni). Dedicato a un nonno antinazista incarcercato dalla Gestapo, il diario è stata la risposta alla caccia alle streghe. “Scrivere significa resistere allo schiacciamento. E’ uno spazio di libertà, nel momento in cui ogni libertà materiale mi è stata confiscata”.

Iena dattilografa, servo del capitale, imperialista, blasfemo, petainista, sionista, antirepubblicano e islamofobo. Solo alcuni degli epiteti affibbiati a questo cinquantacinquenne professore francese di filosofia minacciato di morte dagli ascari salafiti e costretto alla macchia per aver pubblicato un editoriale sul Figaro contro l’“intimidazione islamista”. Robert Redeker è stato vittima non soltanto di una fatwa, spiega Catherine Kintzler sull’ultimo numero della celebre rivista “Les temps modernes”, ma di una “inquisizione islamoprogressista”.

Lo storico Jean Baubérot lo ha paragonato all’antisemita Edouard Drumont, lo scrittore tunisino Abdelwahab Meddeb ha scomodato Louis Ferdinand Céline, il filosofo Pierre Tévanian lo ha bollato come “razzista” e il Mouvement contre le racisme et pour l’amitié entre les peuples ha accostato il suo nome a quello di Osama bin Laden. La sua colpa è aver sferrato un attacco alla roccaforte dell’islamismo fondamentalista, ideologia in cui germinano terrore, ferocia e notte, come una fogna di paura. “I colleghi parlano di te come di un morto”, dicono dall’istituto Pierre Riquet di Saint Orens de Gameville, presso Toulouse, dove Redeker insegnava prima della fatwa. Suo padre, un uomo che si alzava alle quattro di mattina per andare a mungere vacche che non gli appartennero mai, è morto due settimane fa. Non ha retto al massacro mediatico e familiare abbattutosi sulla vita del figlio, “carne condannata a morte”.

Il mandato di morte sul sito qaidista al Hesbah recitava: “Ecco il maiale che ha criticato il profeta Maometto. Questo giorno non deve concludersi senza che i leoni della Francia lo abbiano punito”. E l’invito a seguire l’esempio del “leone dei Paesi Bassi”, Mohammed Bouyeri. “Che Allah invii un leone a decapitarlo”. Quindi i dettagli: foto della casa, indirizzo, e-mail e telefono. “Mi assalgono le immagini degli ostaggi occidentali dalla testa tagliata” annota Redeker. “Sarà anche la mia sorte, la testa tagliata? Sento il coltello gelato aprirmi la gola, il suono del sangue simile a quello di un secchio d’acqua che si svuota nella fogna, sento le braccia che la trattengono mentre mi dibatto come un animale.

Nella mia infanzia contadina ho conosciuto la messa a morte del maiale, aveva qualcosa di rituale, i suoi gridi, i ringhi stridenti da strappare il timpano, i trasalimenti, il sudore funereo. I jihadisti di al Hesbah mi paragonano a un maiale. Avrò, sotto la lama, più dignità di quest’animale?”. A Parigi, il giorno in cui questo figlio dei Pirenei uscì dalla tana, in molti erano presenti a sostenerlo, a cominciare dall’amico e regista di “Shoah”, Claude Lanzmann (“il pubblico è sospeso alle sue parole e ai suoi gesti, come melomani davanti a una grande interprete”).

Ma la maggior parte degli intellettuali e accademici di Francia hanno avanzato mille obiezioni, pur di non apporre la firma sui manifesti di solidarietà: “Avrei sostenuto l’intervento americano in Iraq, non sarei antiamericano, sarei, sebbene non ebreo, sionista, sarei contro i giovani dei sobborghi, sono sarkozysta, scriverei sul Figaro, sarei réactionnaire”. Gli intellos sono andati in aiuto di clandestini, clochard, precari dello spettacolo e squatters, ma ripugnava loro diventare complici di Redeker. “Non sarei soltanto uno da decapitare, come proclamano i jihadisti, ma anche un filosofo indegno di insegnare”. Torna in mente un titolo di André Glucksmann: “Silenzio, si uccide!”. Ben integrato, non viene dal terzo mondo, non è sans papiers. In breve, Redeker non era una buona vittima.

In questa lunga intervista con il Foglio, Redeker ripercorre i giorni della fuga e della persecuzione.

“Per la mia sicurezza, sono sepolto vivo. Ho vissuto come in una tomba. I miei avversari hanno messo in moto una macchina infernale: la distruzione della mia identità intellettuale e professionale. Sono obbligato a prevenire con un’ora di anticipo le mie uscite, anche per andare a prendere la posta al cancelletto di casa. Devo annunciare quanto tempo durerà il mio spostamento”. Limita le uscite a una o due al giorno. Troverà un giorno la libertà completa? “Sono incapace di rispondere a questa domanda. Il fatto anche di porla è una piccola vittoria, spero provvisoria, per gli islamisti”.


La minaccia islamista ha fatto oscillare la sua vita in un’altra dimensione. “Vivendo sotto la protezione permanente della polizia, sono una specie di profugo politico nel mio paese. L’idea di poter contare sullo stato è un balsamo che allevia la nostra disgrazia”. Ma lo stato si è rivelato incapace di garantire fino alla fine l’esercizio del diritto costituzionale alla libertà d’espressione. “Che gli islamisti cerchino di farmi tacere, lo capisco. Ma che la Repubblica nutra questo stesso desiderio mi rivolta. Laici che vengono a sostegno dei fanatici. La risposta della repubblica agli islamisti doveva essere: Redeker deve vivere in piena luce, noi garantiamo. Invece la Repubblica ha detto: nascondiamo Redeker, cosa che implica la sospensione provvisoria di alcune delle sue libertà. E’ stato necessario lasciare la casa, i miei amici, il mio lavoro e i miei allievi; disperdere la mia famiglia”. E’ la libertà di pensare e scrivere che i “barbari portatori di morte” intendono uccidere. “La libertà d’espressione è il bene più prezioso inventato dall’Europa, il cuore della sua esistenza spirituale. E’ un tesoro che nessun’altra civilizzazione ha saputo costruire. Tutti coloro che cercano di distruggere l’Europa, sottometterla a un’ideologia totalitaria, cercano inizialmente di attaccare questa libertà d’espressione. Così è stato nel caso dei grandi totalitarismi del Ventesimo secolo. Gli eventi recenti delle caricature di Maometto mostrano che per i nemici della civiltà europea, la libertà d’espressione è il primo ostacolo che bisogna eliminare. In Francia, negli istituti universitari, numerosi professori di storia autocensurano i loro corsi quando ci sono allievi musulmani in classe. Molto spesso l’insegnamento della Shoah non può essere svolto. La critica contro lo stato ebraico è sempre ontologica: lo stato di Israele, colpevole di un ‘peccato originale’, è il solo al quale si nega il diritto di esistere. Al fondo di quest’angelismo pericoloso opera un’inversione vertiginosa: l’effetto Durban, lo sfruttamento dell’antirazzismo a fini antigiudei. Il grande storico Pétré-Grenouilleau è stato perseguitato per aver spiegato che la tratta dei neri è stata un’invenzione dell’islam, che questa tratta musulmana ha fatto più morti della tratta occidentale e che i regni africani partecipavano attivamente a questo commercio. La lotta contro la libertà di espressione è una lotta contro la verità. Le proteste contro il discorso, eccezionale in profondità e intelligenza, di Benedetto XVI, fanno parte di questa guerra contro la libertà d’espressione”. Una delle accuse che gli vengono rivolte è di appiattire l’islam all’islamismo. “Molti specialisti dell’islam, tra cui Bernard Lewis, mostrano che la tentazione islamista si è spesso manifestata nella storia dell’islam. Questa continuità costituisce il grande problema attuale. Si tratta di spiegare la facilità con la quale l’islamismo si stabilisce e diventa minaccia in paesi come la Tunisia, l’Egitto o il Marocco. Non lo si può considerare come una piccola setta che sviluppa un’interpretazione completamente esogena dell’islam. No, è un fenomeno che ha presa sulla fede”. Un neologismo ha trovato posto in modo fracassante sulla nostra scena politica: islamofobia. “Il concetto di islamofobia è un’arma forgiata dagli islamisti allo scopo di imporre la loro visione totalitaria del mondo. Immerge le sue radici nell’oscurantismo più sordido. E’ un’arma semantica destinata a distruggere la libertà d’espressione assimilando il rifiuto di una religione, di un’ideologia, l’islam, al razzismo”. L’antisemitismo è invece odio inestinguibile del popolo ebreo. “Gli ebrei potrebbero essere atei, cambiare religione, l’antisemitismo persisterebbe. Se esistono ebrei atei, la frase ‘musulmano ateo’ risulta assurda perché essere musulmano significa aderire a una credenza. Esistono americani musulmani, europei musulmani, asiatici musulmani”. L’islam non traccia i contorni di un’etnia né tantomeno di un popolo. “Non esiste un popolo musulmano, ma numerosi musulmani vivono fra i popoli. Si incontrano musulmani di tipo germanico, africano, asiatico, una delle glorie della Francia, Franck Ribéry, è un europeo convertito all’islam”. Redeker non ritratta la sua accusa al cuore dell’islam. L’idea secondo cui “anziché eliminare la violenza arcaica neutralizzandola, sulla scia dell’ebraismo e del cristianesimo (l’ebraismo inizia con il rifiuto del sacrificio umano, che è l’ingresso nella civiltà, mentre il cristianesimo trasformerà il sacrificio in eucarestia), l’islam le crea un bel nido per crescere al caldo”. “Un po’ ovunque nel mondo, pensiamo alle lapidazione delle donne, l’islam intimorisce la gente ragionevole. A livello mondiale, dal Pakistan alla Mauritania, l’islam mostra un viso di odio, intolleranza, ingiustizia e arcaismo. Schiaccia milioni d’esseri umani sotto un giogo implacabile. Non parlo della fede, ma dell’islam come istituzione ideologica coercitiva che paralizza intere società. Il timore di fronte all’islam è completamente legittimo. In Europa, è il timore di perdere libertà difficilmente acquisite nel corso dei secoli. Per le donne, è il timore di perdere la loro dignità. L’islam è la sola religione che incuta timore. Nessuno ha timore del Dalai Lama. Il destino dei Buddha giganti in Afghanistan e quello delle Twin Towers di New York si è rivelato simile: statue e torri erano le icone della diversità insopportabile all’islam. Nelle Twin Towers la diversità abbondava, si mescolava con la prosperità e la bellezza, uomini di tutte le culture e di tutti i livelli socioculturali vi lavoravano e si incontravano. Era il simbolo dell’ibridazione delle diversità, la differenza inaccettabile”. La manipolazione linguistica è un metodo dei totalitarismi. “Il termine islamofobia nasconde la trappola tesa alle istituzioni laiche da musulmani integralisti per impedire la critica della religione, pur sottoponendo segmenti dell’esistenza sociale, specialmente quella delle donne, a un’influenza totalitaria. Perdere la battaglia semantica, riutilizzando il vocabolario messo in circolazione dagli islamisti, sarebbe disastroso. La prestidigitazione di questa parola consiste nell’invertire la realtà mettendo l’oscurantismo in posizione di vittima e la laicità d’aggressore. Islamofobia è una parola di combattimento, tutti ricordano la formula del poeta rivoluzionario Vladimir Maïakovski: ‘Le parole sono pallottole’”. Redeker ci tiene a ricordare che il suo articolo non tirava in causa i musulmani come persone. “Solo l’islam come ideologia. E’ razzista rifiutare le estorsioni che si praticano, dalla Mauritania al Pakistan, in nome dell’islam? E la sharia, le lapidazioni, le mutilazioni, la schiavitù ancora longeva nelle società musulmane, la criminalizzazione dell’omosessualità, lo statuto inferiore delle donne? E’ razzista ritenere che centinaia di milioni di esseri umani vivano ogni giorno sotto il giogo imposto da questa religione? A colpi di lapidazioni e di fatwe, l’islam fa pesare il proprio giogo oscuro su milioni di esseri umani. Non una parola di quell’articolo richiamava all’odio verso le persone. Una critica virulenta del cattolicesimo, dei suoi riti, della comunione, ad esempio, assimilandola a un rito antiquato di antropofagia, non può passare per un appello di odio contro i cattolici come individui. Esiste il diritto di ridicolizzare la lapidazione del diavolo alla Mecca quanto di ridicolizzare la comunione. Lungi da costituire un appello all’odio, l’articolo era un appello alla ragione. Come può essere che nella Francia delle forze che si pretendono di sinistra si accetti una condanna a morte extragiuridica ed extraterritoriale, per offesa di blasfemia? La loro accettazione si basa sul ‘ma’: condanniamo le minacce dirette contro Robert Redeker, ‘ma’ le sue opinioni sulla religione musulmana eccetera”. Per essere ben visti in Francia, prosegue Redeker, “bisogna essere atei aggressivi, ma esclusivamente contro il cattolicesimo. Intransigente con il cattolicesimo, indissolubile sulla laicità scolastica quando individua un’offensiva cristiana, la galassia progressista francese si mostra molto tollerante riguardo alle rivendicazioni dell’islam. I nipoti di Robespierre e di Marx interiorizzano la retorica dell’ayatollah Khomeini: esistono due Satana, America e Israele. ‘Morte agli ebrei’, ecco uno slogan presente tanto nelle manifestazioni opposte alla politica di Bush in Iraq quanto in quelle contro la legge sulla laicità a scuola. Secondo Spinoza, l’odio si rallegra di tutte le disgrazie che cadono sull’oggetto dell’esecrazione. E’ pronto a passare all’alleanza con il diavolo, purché un male ricada sull’oggetto del suo risentimento. Se la spada viene dall’islam, supposti diseredati del pianeta, allora questa spada, indipendentemente dal suo orrore, è venerata dagli anticapitalisti occidentali. L’islam sarebbe oggi la fede degli oppressi come il comunismo lo era ieri, il che giustifica l’islamofilia contemporanea con lo stesso spirito con cui si giustificava la sovietofilia di ieri. Se fossi stato minacciato dalla chiesa, sarebbero centinaia di migliaia a manifestare, in processioni strette, nella strada. Urlerebbero alla Repubblica in pericolo, al ritorno del pétainisme, chiamerebbero alla costituzione di un comitato pubblico, un fronte repubblicano. Ma la minaccia viene da partigiani dell’islam, l’unica religione con la quale i colleghi professori, punta di diamante della laicità, si mostrano comprensivi”. In Europa, dopo il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, è avvenuto qualcosa di sintomatico. “Ho voluto sostenere Ratzinger, accusato di islamofobia e caricaturato come nazista dalle élite europee che hanno soltanto indulgenza per un islam egemonico. C’è stato un linciaggio mediatico di Benedetto XVI impressionante. Tuttavia, ciò che ha espresso il Papa quel giorno era di grande valore, nella grande tradizione europea della teologia e della filosofia. L’Europa avrebbe dovuto riconoscersi nella posizione del Papa. E’ avvenuto l’opposto: è stato abbandonato dall’Europa”. L’episodio è stato un evento storico: “Un Papa è stato screditato e abbandonato dalle élite del vecchio continente. Non è mai successo con questa unanimità. E’ un cambiamento epocale. Dinanzi alle vociferazioni delle folle musulmane che manifestarono contro Benedetto XVI, gli europei non hanno fatto blocco attorno al Papa; al contrario, lo hanno reso responsabile di quest’ondata di violenza. Lo hanno trasformato in colpevole. Attualmente, in Europa, c’è un’atmosfera di capitolazione. Questa codardia si radica nella nostra cultura politica. L’Europa si crede postpolitica: vive nel miraggio della fluidità e della pace perpetua, l’illusione dell’assenza di nemici come se fosse, per riprendere una formula di André Glucksmann, un gigantesco ‘campo di vacanze’. Negli anni Settanta buona parte della sinistra urlava: ‘Meglio rossi che morti’. Il disfattismo rivoluzionario del 1938 diceva: meglio Hitler della guerra. Per spiegare il suo impegno nella resistenza, Jean Cavaillès diceva di preferire Paris-Soir al Völkische Beobachter. L’attuale clima di capitolazione è una logica conseguenza, ma un elemento nuovo è venuto ad aggiungersi alla codardia: la colpevolezza. L’Europa si sente colpevole di essere, si sente imbarazzata dei suoi valori. Questo contesto sociologico e ideologico spiega la debolezza degli europei in affari come quella delle caricature di Maometto o del discorso di Ratisbona”. La modernità evacua il tragico. “Il fanatismo contemporaneo della trasparenza, della piena luce, uccide l’oscuro. L’illusione europea è di credere che il mondo musulmano abbia gli stessi valori del mondo europeo. Noi europei crediamo che i tesori di civilizzazione ai quali siamo giunti – importanza dell’individuo, della vita umana, i diritti sociali, i diritti politici, l’uguaglianza dell’uomo e della donna, la diffusione della cultura, il rispetto delle differenze eccetera – siano naturali. Quest’illusione costituisce un reato di metafisica progressista. Abbiamo lo stato d’animo di quelli che pensano che la storia sia finita: supponiamo che anche se fossimo sconfitti, i nostri vincitori adotterebbero i nostri stessi valori, poiché, precisamente la storia è finita”. Prima si maschera la radicalità dell’ostilità ai valori occidentali. Poi si cela la precarietà delle civiltà, “tesori preziosi potrebbe scomparire se non li proteggiamo. Non prestiamo attenzione alla lezione di Oswald Spengler: tutte le civilizzazioni storiche sono allo stesso tempo deteriorabili e incommensurabili. Questa dimenticanza della precarietà, alleata a una certa codardia, spiega le posture europee dinanzi ad alcuni aspetti della sharia. Centinaia di milioni di uomini e di donne, di bambini, in tutti i paesi musulmani, sono effettivamente sotto il giogo dell’oppressione. La loro vita è schiacciata dall’islam. Il Papa, Jyllands Posten, Robert Redeker, Charlie Hebdo sono andati troppo lontano, hanno esagerato, dicono molti europei. ‘Non vogliamo avere grane’. Il rifiuto di ‘avere grane’ è il rifiuto di essere nella storia, in senso filosofico. Volendo restare calmi, per non avere grane, gli europei si comportano come inquilini di una vasta casa di pensione che scava la propria tomba”. Al linciaggio di Redeker ha contribuito quel mito antifascista francese che si è rivelato una muta ideologicamente corretta. “Un filosofo, che è anche un amico, Pierre Taguieff, ci ha insegnato a diffidare di quest’antifascismo. Ci ha anche rivelato i pericoli dell’antirazzismo. Quest’antifascismo, ideologia ufficiale che impregna i mass media e la scuola, è un elemento decisivo della capitolazione dinanzi ai pericoli che ci minacciano”. E’ un antifascismo coercitivo: “In Francia, mai la sorveglianza ideologica è stata così forte quanto oggi. Questa coercizione non è statale come i totalitarismi del Ventesimo secolo, ma di una parte della società civile e associazioni che non cessano di sorvegliare la lingua di altri. E’ una polizia privata della lingua e del pensiero. Il Movimento contro il razzismo e per la pace mi avrebbe voluto trascinare dinanzi ai tribunali dopo il mio articolo. Questa mitologia antifascista è il cavallo di Troia del multiculturalismo”. Conferenze annullate, corsi sospesi, vite sotto scorta: gli islamisti hanno guadagnato terreno. “Mi hanno ridotto al silenzio eliminandomi della vita pubblica. Non sono più una voce viva. Un divieto professionale si è abbattuto su me. E tutto ciò dove? Non in una Repubblica islamica qualunque, ma nella Repubblica francese. Quella della separazione delle chiese e dello stato. Buona parte dell’opinione pubblica francese ha interiorizzato come un imperativo la dichiarazione dell’ayatollah Khomeini che vede negli Stati Uniti, gli ‘angloamericani’ come li chiamava con odio la propaganda di Vichy, ‘il grande Satana’. L’Europa come un Club Mediterranée, in vacanza dalla politica, in vacanza dalla storia. Se la mia storia può avere un’utilità, è mostrare che non si deve cedere ogni giorno alle esigenze dell’islam”. Robert Redeker non sa fino a quando resterà soltanto una voce al di là della cornetta del telefono e un codice binario sul monitor del computer. “In una poesia considerata un vertice della letteratura francese, ‘Il cimitero marino’, Paul Valéry contempla il mare a Sète. Ho letto questa poesia all’età di sedici anni, non l’ho mai dimenticata. Tra l’autore e il mare si dispiega il cimitero, che, come una vite generosa, copre la collina fino alla riva. E’ come un mare di tombe, prolungato da un mare di onde e d’acqua, il Mediterraneo. Al di là delle tombe, c’è il vero mare, la vita, la libertà. In altre parole: la vita è oltre la morte. Ho utilizzato la poesia di Valéry per due ragioni. Inizialmente, durante due mesi, ho vissuto come nascosto in una tomba. Sepolto vivo. Come uscire da quest’affare, da questo surrogato di condanna a morte?”. Ovunque andrà, Redeker sarà considerato colpevole. “La mia condanna a morte su al Hesbah resterà. Le polemiche che mi riguardano nei siti Internet vi rimarranno. Internet è un registro universale di conservazione. Nulla si perde, tutto si conserva. E tuttavia, bisogna che mi inventi una vita nuova. Non c’erano condanne a morte contro Theo van Gogh, il cineasta olandese ucciso da un fanatico musulmano. Per garantire la mia sicurezza, è stato necessario privarmi di qualsiasi libertà e seppellirla. L’immagine della morte è stata messa dinanzi a me sotto forma della condanna, ma occorre perforare questa visione macabra. Una reminiscenza criminale può abbattersi sui miei figli, mia moglie, i miei genitori”. I suoi protettori insistono: “La vigilanza dovrà mantenersi, occorrerà conservare in memoria questa minaccia. Conservare questa vigilanza, impedirle di scivolare nella dimenticanza costituisce per la mia vita nuova un imperativo così essenziale come respirare, mangiare, digerire. Da oggi fino al giorno del mio trapasso, la vigilanza deve assimilarsi a una funzione biologica. Questa raccomandazione vale anche per Véronique e per i miei figli”. Inoltre, la poesia dà una lezione di vita: “La morte è presente, ma ‘occorre tentare di vivere’. Non bisogna lasciarsi intimidire dalla morte. Quest’avventura personale, che è mia, è anche il simbolo del destino dell’Europa. In mezzo alle minacce, deve superare le sue vergogne, la sue codardia, la sua colpevolezza. Deve affermare che bisogna tentar di vivere. Lì è la risposta all’islamismo”. In questi mesi il tempo si è dilatato fino a perdere consistenza, assumendo i colori dell’autunno. Ma nella sottomissione al silenzio, questo mite combattente, a cui nessuno aveva predisposto un futuro che ne facesse un formidabile polemista, ha trovato anche motivi di conforto. “Ho imparato ad accettare la morte. Il mio stato d’animo sposa quello di coloro che sono sopravvissuti a una malattia mortale. Una saggezza si profila per il fatto stesso di sapere che la mia vita può interrompersi a causa di un assassinio. Un epicureismo ben compreso ne guadagna poco a poco come guadagnano coloro che vivono oltre la propria morte. Ora accordo un prezzo infinito alle più piccole cose della vita, per le quali non avevo uno sguardo. Questa saggezza nuova è la vittoria della vita sui predicatori di morte, è la loro sconfitta”.









Postato il Mercoledì, 21 febbraio 2007 ore 14:42:34 CET di Salvatore Indelicato
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