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Umanistiche: ETICA LAICA ED ETICA RELIGIOSA: PARLIAMONE IN CLASSE

Rassegna stampa
Etica laica ed etica religiosa: parliamone in classe
Roberto Lolli*

 

Solitamente, il tema del confronto tra etica religiosa ed etica laica si pone all’improvviso, sull’onda di un fatto di cronaca e di un dibattito mediatico. Il docente si imbatte così in uno di quei casi in cui eludere significa fatalmente deludere. Sfuggire il discorso comporta la perdita di credibilità nel ruolo di guida nel processo di formazione della consapevolezza civica, etica e culturale dello studente. Affrontare il dibattito, invece, comporta il rischio di un’esposizione personale alla critica o alla polemica pretestuosa. Una soluzione per affrontare con serenità questo passaggio tra Scilla e Cariddi è condurre il dibattito dal motivo contingente ai termini generali e universali, così da fornire agli studenti i mezzi per una comprensione migliore, più autonoma della questione. Al tempo stesso, il docente avrà l’opportunità di contrapporre al modello socialmente imperante dello slogan il metodo fondato sull’analisi puntuale e la ricostruzione della complessità del reale.

Conflitto o complementarità tra i due paradigmi
 Il problema è che nessuna interpretazione può essere neutrale, neppure questa ha l’ambizione di esserlo: importante è comunque fornire agli studenti, usando gli strumenti dell’analisi storica e politica, il quadro più ampio e documentato possibile, la possibilità di discussione e di critica. Quella che segue è, pertanto, un’ipotesi di lavoro.
 Il confronto tra etica laica ed etica religiosa si è svolto storicamente in una di queste due modalità: come conflitto oppure come complementarità.
 La prima modalità di rapporto, il conflitto, è testimoniata sin dall’antichità e, certamente, è anche quella storicamente prevalente: le teocrazie antiche, medievali e moderne da una parte, i recenti totalitarismi politici dall’altra, rappresentano specularmente l’ambizione di un’etica religiosa intransigente o di un’altrettanto intollerante etica laica di insediarsi in un determinato contesto quali esclusive depositarie di una verità assoluta, metafisica o storica poco importa, comunque sottratta a qualsiasi forma di discussione.
 La seconda modalità di rapporto, la complementarità, si manifesta in epoche che si caratterizzano o per un basso livello di articolazione teologica della religione (per esempio, il politeismo greco di età classica) o per la riconosciuta continuità e contiguità tra pensiero filosofico e religioso (il caso del Rinascimento) o, infine, quando sia stato possibile – non senza scontri – separare l’ambito della ragione laica da quello della devozione religiosa (l’età della rivoluzione scientifica moderna e dell’Illuminismo). Un ruolo non secondario, nella creazione di uno spazio autonomo per l’etica laica, è stato svolto dal potere politico che ha cercato di emanciparsi dalla morsa delle pretese di supremazia del potere spirituale (vedi l’epoca della lotta delle investiture, la fioritura dei Comuni o le prime concezioni della sovranità popolare all’alba del XIV secolo).

Il processo di secolarizzazione iniziato nell'età moderna…
 Nel Novecento il processo di secolarizzazione, descritto da Max Weber quale effetto della triplice svolta rappresentata da Riforma protestante, Rivoluzione scientifica e Industrializzazione, ha apparentemente dichiarato il successo della modalità del rapporto di complementarità, confinando l’etica religiosa entro i confini della sfera privata – intangibili secondo la prospettiva del liberalismo lockeano – mentre all’etica laica si è attribuito il compito di costruire la cornice dell’azione nella sfera pubblica. Ciò allo scopo di prevenire la tendenza di una religione – e in senso lato di ogni ideologia assunta con atteggiamento devoto – di considerare se stessa unica interprete della verità assoluta e, pertanto, allo scopo di proteggere la società da qualsiasi fenomeno di intolleranza.
 Sullo sfondo di questo processo, che comporta la neutralizzazione della religione rispetto all’ambito pubblico, è riconoscibile la voce del Trattato teologico-politico di Spinoza, testo-chiave per la distruzione di ogni pretesa teocratica.

… e la controffensiva integralista dell'età contemporanea
 Tuttavia, anche se sul piano del discorso filosofico la distinzione degli ambiti tra etica laica e religiosa è diventata prevalente – da Galileo a Kant, da Hegel a Nietzsche, da Popper alla Arendt – pure nel mondo contemporaneo si assiste a una generalizzata controffensiva nei confronti della secolarizzazione. Tale fenomeno è riconoscibile nella diffusione di un atteggiamento integralista che non è affatto confinato all’Islam, ma abbraccia settori importanti del cristianesimo cattolico e riformato e si afferma non tanto nel tentativo di ristabilire un contatto autentico con il sacro di fronte alla contaminazione dell’inautenticità della società consumista, quanto nel tentativo di mobilitare politicamente le masse una volta tramontato il marxismo, la 'religione laica' dei secoli XIX e XX.
 Sotto questo aspetto, i rigurgiti tradizionalisti sia in ambito islamico che cristiano assumono il tratto non già della persistenza dell’antico, ma di una reazione assolutamente moderna contro la modernità. Oggi i fondamentalisti non scelgono la via del romitaggio, ma sfruttano con abilità gli spazi offerti dai media, dalle televisioni satellitari, da internet.

Un dialogo possibile e necessario
 Poste le premesse, sarà più facile svolgere a questo punto un’analisi delle differenti interpretazioni e delle loro implicazioni sui temi di maggiore delicatezza e di maggior attrito fra i fautori dell’etica laica e di quella religiosa: la vita, la morte, la ricerca scientifica, la famiglia, l’educazione, i diritti della persona.
 Da un lato si pone l’etica laica che, nelle sue diverse articolazioni, pone l’accento sulla libertà delle scelte individuali e sulla qualità della vita, mentre, dall’altro, l’etica religiosa, anch’essa nelle sue mille varietà, tende a chiamare in causa termini universali quali 'natura', 'tradizione', 'valori' per collegare le scelte del singolo a un piano superiore, trascendente, non soggetto ai facili mutamenti della storia, della moda, degli interessi. Questa dialettica tra 'mutamento' e 'permanenza', tra 'individuo' e 'tradizione' è di per sé feconda, perché obbliga da una parte i fautori dell’innovazione a interrogarsi sul piano delle conseguenze e dall’altra i fautori della conservazione ad affrontare una critica che può liberare dagli assolutismi.
 Purtroppo, questa dialettica nella società si svolge assai poco coi toni della discussione serena e costruttiva. Forse è sempre avvenuto così nella storia. Nella scuola, però, occorre creare l’opportunità per lasciare fuori dalla porta della classe gli atteggiamenti precostituiti e per formare giovani più aperti e tolleranti.

 *Insegna Filosofia e storia presso il Liceo scientifico 'A. Roiti' di Ferrara. Ha curato con P. Salandini l'opera di storia della filosofia Filosofie nel Tempo, diretta da Giorgio Penzo, 4 voll., Roma, SpazioTre, 2000-2006.

Pubblicato il 30/1/2007








Postato il Mercoledì, 31 gennaio 2007 ore 00:05:00 CET di Silvana La Porta
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