dal Corriere della Sera
Parere approvato dal Consiglio superiore di Sanità Su Welby non c'è accanimento terapeutico Le cure, e in particolare il respiratore che lo mantiene in vita, non rientrano in questa definizione. La Turco: «Servono nuove norme»
ROMA - Le cure a Piergiorgio Welby ed in particolare il respiratore che lo
mantiene in vita non sono accanimento terapeutico. È quanto prevede il parere
approvato dal Consiglio Superiore di Sanità.
LIVIA TURCO: «SERVONO NUOVE NORME» - Il parere espresso dal Consiglio superiore
di sanità sul caso Welby conferma, secondo il ministro della Salute Livia Turco,
la necessità di norme chiare. È un parere «molto importante», rileva il ministro
in una nota al termine della lunga riunione di del Consiglio Superiore di
Sanità. Il parere, osserva il ministro, «conferma che abbiamo bisogno di nuove
norme che siano più chiare nello stabilire come e con quali modalità poter
esercitare il diritto di scelta sulle cure e sui trattamenti da parte del
cittadino anche in casi delicati come quello di Piergiorgio Welby».
20 dicembre 2006
Etimologia della parola Eutanasia
La parola “eutanasia” deriva dal
greco antico e significa "buona morte", “dolce morte” (eu = “buona” e thanatos =
“morte”).
L’eutanasia è comunemente intesa come l’azione volta a liberare da dolori
intollerabili il morente provocandone la morte.
Se la morte è provocata su più individui l’eutanasia è detta “collettivistica”,
se si tratta di un singolo individuo è chiamata “individualistica”.
L’eutanasia “individualistica” è quella più conosciuta dal senso comune in
quanto è proprio la conoscenza di casi di tale natura che ha contribuito a
sviluppare il moderno dibattito intorno al problema della buona morte.
Questa forma di eutanasia si distingue in:
- eutanasia attiva: la morte di una persona è causata da un comportamento
attivo;
- eutanasia passiva: la morte di un individuo è provocata da un comportamento
passivo o omissivo, il quale può essere consentito dal paziente oppure essergli
sconosciuto e deciso dai medici o dai parenti dello stesso. Per questa ragione
si parla di eutanasia passiva consensuale ed eutanasia passiva non consensuale.
Attualmente i criteri per definire un’azione come eutanasia possono riassumersi
secondo il seguente schema:
- Si tiene conto dell’obiettivo primario da parte di chi la pratica di estirpare
la sofferenza procurando la morte al malato. A questo proposito, si precisa che
non deve essere considerata eutanasia una cura palliativa, anche se dovesse come
effetto secondario e non voluto avvicinar ela morte del paziente (in casi del
genere si parla di eutanasia indiretta).
- È accertata la somministrazione di sostanze tossiche mortali o la non dovuta
assistenza medica.
- Il suicidio non è considerato una forma di eutanasia.
- In presenza della richiesta fatta da chi intende morire, gli aiuti o la
cooperazione al suicidio sono considerati forme di eutanasia.
L’eutanasia collettivistica, invece, si può riferire all’azione con cui vengono
eliminate persone portatrici di handicap per migliorare la qualità della razza
(si parla di eutanasia eugenia), oppure agli atti con cui sono soppresse persone
anziane o comunque inutili nel processo economico per favorirne altre
socialmente più utili (si parla di eutanasia economica).
Nel lessico riguardante l’eutanasia si è da qualche anno fatto strada il termine
“living-will” o “testamento biologico”: esso indica il documento che consente ad
ogni individuo di scegliere per iscritto come e se vorrà essere trattato quando
non potrà essere lui stesso a dare il consenso, nel caso le sue condizioni
fossero irreversibili. I “living-will”, infatti, hanno valore giuridico.
“Un po’ di storia”
Si hanno notizie di pratiche simili all’eutanasia sin dall'antica Grecia. Qui,
così come a Roma, in determinate situazioni era possibile praticarla.
Successivamente, il prosperare delle grandi religioni monoteistiche, le quali
tra i cardini delle loro morali avevano e hanno la sacralità della vita umana,
fece si che l'eutanasia fosse ritenuta un’azione moralmente inaccettabile.
Questa condanna divenne in seguito legale, trovando prima un'enunciazione nelle
norme morali e quindi negli ordinamenti giuridici della quasi totalità degli
stati.
Il termine “eutanasia” venne introdotto nel linguaggio medico dal filosofo
inglese Francesco Bacone, agli inizi del secolo XVII, ma la situazione cominciò
a mutare nella prima metà del XX secolo culminando nella fondazione di alcune
associazioni che promuovevano la “liberalizzazione” dell’eutanasia
individualistica.
Ciò avvenne nel 1935 in Gran Bretagna e nel 1938 negli Stati Uniti d'America.
Gli anni citati sono da tenere a mente poiché rappresentano l’avvio di un
consenso cresciuto esponenzialmente e che ha portato in alcuni paesi occidentali
ad un clima tale da consentire delle aperture legislative nei confronti
dell'eutanasia passiva consensuale e non consensuale.
In Italia i principi religiosi del cristianesimo e i valori morali dominanti,
tradizionalmente vicini al credo cattolico, hanno favorito lo sviluppo di una
legislazione che ha di fatto equiparato l'eutanasia all'omicidio, tuttavia è
opportuno precisare che Papa Pio XII si espresse a favore di quella che oggi è
definita “terapia del dolore”, ossia un trattamento volto al controllo dei
sintomi e non alla cura della patologia di base che, evidentemente, non è più
guaribile. La terapia del dolore si effettua tramite somministrazione di
analgesici di natura oppiacea, in pazienti non più guaribili in cui i sintomi
della malattia comportino sofferenze-fisiche e psicologiche – insopportabili.
In Olanda, invece, da tempo è possibile optare per l'eutanasia passiva o
suicidio assistito ed il dibattito sulla liceità dell’eutanasia attiva si
arricchisce giorno dopo giorno di nuovi interventi. Un caso simile questo è
quello dell’Australia.
“Le questioni cruciali”
Gli interrogativi riguardanti questa delicatissima pratica sono aumentati di
pari passo con l’aumento delle capacità della tecnica, la quale ha consentito la
realizzazione di strumenti in grado di sostituire le funzioni vitali di un
individuo.
È evidente che nel momento in cui a funzionare sia solo l’apparato organico
dell’individuo e non quello cosciente sorge il problema se abbia maggiore
importanza la vita biologica ( vita dell’organismo ) o la vita biografica.
A tale proposito, come comportarsi nel caso dei bimbi anencefalici? Cosa dire di
coloro che sono affetti da malattie a carattere degenerativo? Ad esempio: il
malato di Alzheimer, il quale si allontana pian piano dal una propria
autocoscienza può essere forse considerato meno in vita di un individuo sano?
Questi interrogativi mostrano pienamente l’intrigo della questione riguardante
l’eutanasia. Tuttavia, rispetto alle ovvie risposte che fornisce un pensiero
collegato alla sacralità della vita propria della religione cattolica (
l’eutanasia non va applicata in nessun caso ), ad essi ha cercato di dare nuove
risposte la corrente utilitarista.
Essa promuove una teoria improntata sul concetto di qualità della vita, rispetto
al quale si stabilisce il valore di un’esistenza. Per cui non solo le vite degli
individui in stato di coma irreversibile, ma anche di quelli in stato vegetativo
persistente o dei neonati con gravi malformazioni non hanno alcun valore in sé.
Le definizioni di vita e di morte si intrecciano con gli importanti i problemi
sollevati dall’esigenza di trovare un comportamento condiviso per i medici che
entrano a contatto con individui che non presenta alcuno stato di coscienza e
quindi non possono esprimere alcun consenso in merito alle terapie da seguire o
alla soluzione drastica di interruzione delle cure.
Ancora una volta entra in gioco la tecnica con i suoi strumenti: la
constatazione, attraverso l’elettroencefalogramma ( EEG ), della assenza di
attività cerebrale, sembra mettere tutti d’accordo sul fatto che ci si trova di
fronte a qualcosa di molto distante da un individuo vivo.
Non costituisce dunque reato per i medici dare luogo alla sospensione
dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, avendo constatato
regolarmente la morte cerebrale.
A questa argomentazione gli avversari dell’eutanasia introducono l’argomento del
“pendio scivoloso”: consentire l’eutanasia vuol dire imboccare una strada dalla
quale sarebbe poi molto difficile deviare.
Affermano che dall’eutanasia di individui incoscienti si potrebbe giungere in
seguito all’eutanasia di portatori di malattia neurologiche a carattere
degenerativo e alla soppressione di embrioni portatori, ad esempio, del morbo di
Huntngton ( che non si manifesta prima dei 40 anni ). Si riconsegnerebbe ai
medici uno strapotere assai pericoloso, rispetto a cui solo loro e i loro mezzi
tecnici sarebbero in grado di dire la verità sulla vita morente e nascente.
I sostenitori dell’eutanasia obiettano a queste considerazioni con l’idea e la
convinzione che un buon apparato giuridico consentirebbe di evitare l’imbocco di
strade scivolose.
dal Corriere della Sera
Richiamo contro la nuova corsa agli armamenti nucleari Papa:«Aborto e eutanasia minano la pace» Nel Messaggio per la pace 2007 il Pontefice richiama anche la necessità del dialogo religioso e del rispetto dell'ambiente
CITTÀ DEL VATICANO - «La persona umana, cuore della pace»: questo il titolo
scelto da Papa Ratzinger per la Giornata della Pace che si celebra il primo
gennaio. . Molti i temi toccati nel messaggio Messaggio per la Pace 2007,
presentato questa mattina in Vaticano dal cardinale Renato Raffaele Martino,
presidente di «Giustizia e Pace».
SCEMPIO DELLA VITA UMANA - Benedetto XVI nel suo messaggio torna a denunciare
con forza «lo scempio» che si fa della vita umana «nella nostra società: accanto
alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di
violenza, ci sono - afferma nel Messaggio per la Giornata della Pace - le morti
silenziose provocate dalla fame, dall'aborto, dalla sperimentazione sugli
embrioni e dall'eutanasia». «Come non vedere in tutto questo - si chiede il Papa
- un attentato alla pace? L'aborto e la sperimentazione sugli embrioni
costituiscono la diretta negazione dell'atteggiamento di accoglienza verso
l'altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace». «Il
rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase - ricorda inoltre il Messaggio -
stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il
soggetto non ha la completa disponibilità Il diritto alla vita e alla libera
espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo. La pace ha
bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che
non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di
valori che è proprio dell'uomo in quanto tale».
CORSA AL NUCLEARE -Benedetto XVI ha espresso anche la sua grande inquietudine
per la nuova corsa agli armamenti nucleari messa in atto da alcuni Paesi. «Altro
elemento che suscita grande inquietudine - si legge nel testo - è la volontà,
manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari. Ne è
risultato ulteriormente accentuato il diffuso clima di incertezza e di paura per
una possibile catastrofe atomica». «Ciò riporta gli animi - afferma il Papa -
indietro nel tempo, alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta guerra
fredda». «Purtroppo - si legge nel testo - ombre minacciose continuano ad
addensarsi all'orizzonte dell'umanitá. La via per assicurare un futuro di pace
per tutti è rappresentata non solo dagli accordi internazionali per la non
proliferazione delle armi nucleari, ma anche dall'impegno di perseguire con
determinazione la loro diminuzione e il loro definitivo smantellamento». Su
questo fronte, si afferma, «è in gioco il destino dell'intera umanitá».
LIBERTA' RELIGIOSA - Fondamentale per Bendetto XVI anche il diritto alla libertà
religiosa e al dialogo. «In alcuni Stati i cristiani vengono perseguitati, e
anche di recente si sono dovuti registrare tragici episodi di efferata
violenza». Il Pontefice, però, oltre a puntare l'indice contro quei regimi «che
impongono a tutti una unica religione» non esita a criticare anche quei «regimi
indifferenti» che «alimentano» un «sistematico dileggio culturale nei confronti
delle credenze religiose». Il Papa denuncia le «difficoltà» che incontrano i
credenti - cristiani e non cristiani - «nel professare pubblicamente e
liberamente» le proprie «convinzioni religiose». «Per quanto riguarda poi la
libera espressione della propria fede, un altro preoccupante sintomo di mancanza
di pace nel mondo è rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto
i seguaci di altre religioni incontrano» si legge nel Messaggio per la pace.
In ogni caso, è l'amara constatazione del pontefice, è che «non viene rispettato
un diritto umano fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza
pacifica. Ciò non può che promuovere una mentalità e una cultura negative per la
pace».
PACE SOLO DA DIALOGO - «Un'autentica pace si ottiene grazie al dialogo tra i
credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti». Il
Papa rilancia l’importanza e la necessità del dialogo interreligioso per
costruire nel mondo intero una pace solida.
Benedetto XVI sottolinea come «le norme del diritto naturale non vanno
considerate come direttive che si impongono dall’esterno, quasi coartando la
libertà dell’uomo. Al contrario - scandisce il Papa nel testo - esse vanno
accolte come una chiamata a realizzare fedelmente l’universale progetto divino
iscritto nella natura dell’essere umano». In tal senso, «il riconoscimento e il
rispetto della legge naturale - prosegue Benedetto XVI - costituiscono anche
oggi la grande base per il dialogo» fra le diverse fedi. «E’ questo un grande
punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per una autentica
pace».
DISTRUZIONE DELL'AMBIENTE GENERA CONFLITTI E GUERRE - Nel messaggio per la
celebrazione della giornata mondiale della pace del primo gennaio 2007 il
Pontefice ha anche richiamato temi ecologici: «l'esperienza dimostra che ogni
atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente e reca danni alla convivenza umana».
In questo contesto Benedetto XVI propone la definizione di «ecologia della
pace». C'è un nesso particolarmente stretto, afferma il Papa, fra l'ecologia e
l'altro problema «ogni giorno più grave dei rifornimenti energetici». «In questi
anni - si legge nel messaggio - nuove nazioni sono entrate con slancio nella
produzione industriale, incrementando i bisogni energetici. Ciò sta provocando
una nuova corsa alle risorse disponibili che non ha confronto con situazioni
precedenti». Allo stesso tempo ci sono nazioni completamente tagliate fuori da
questa corsa e dallo sviluppo. «La distruzione dell'ambiente - osserva Benedetto
XVI - un suo uso improprio o egoistico e l'accaparramento violento delle risorse
della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perchè sono frutto
di un concetto disumano di sviluppo». «Uno sviluppo infatti - prosegue il
messaggio - che si limitasse all'aspetto tecnico-economico, trascurando la
dimensione morale religiosa, non sarebbe uno sviluppo umano integrale e
finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacitá distruttive
dell'uomo».
GRIDO DI DOLORE PER VITTIME PEDOFILI E DONNE SFRUTTATE - Benedetto XVI nel suo
messaggio ha anche lanciato un «grido di dolore» per i bambini vittime della
pedofilia. «Il loro futuro - denuncia il Papa nel Messaggio per la Giornata
della Pace - è compromesso dallo sfruttamento e dalla cattiveria di adulti senza
scrupoli». Il tema è affrontato nelle prime righe del testo, quando il Papa
rende omaggio «ai bambini, che con la loro innocenza arricchiscono l'umanità di
bontà e di speranza e, con il loro dolore, ci stimolano a farci tutti operatori
di giustizia e di pace». «Proprio pensando ai bambini - spiega - ho voluto che
in occasione della Giornata Mondiale della Pace la comune attenzione si
concentrasse sul tema: Persona umana, cuore della pace. Sono infatti convinto
che rispettando la persona si promuove la pace, e costruendo la pace si pongono
le premesse per un autentico umanesimo integrale. È così che si prepara un
futuro sereno per le nuove generazioni».
Nel documento, il Pontefice lamenta anche «la non sufficiente considerazione per
la condizione femminile» che nel mondo di oggi, scrive, «introduce fattori di
instabilità nell'assetto sociale». «Penso - elenca Papa Ratzinger - allo
sfruttamento di donne trattate come oggetti e alle tante forme di mancanza di
rispetto per la loro dignità; penso anche, in contesto diverso, alle visioni
antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una
collocazione ancora fortemente sottomessa all'arbitrio dell'uomo, con
conseguenze lesive per la sua dignità di persona e per l'esercizio delle stesse
libertà fondamentali». Rivolgendosi ai responsabili delle Nazioni il Messaggio
avverte che «non ci si può illudere che la pace sia assicurata finchè non siano
superate anche queste forme di discriminazione, che ledono la dignità personale,
inscritta dal Creatore in ogni essere umano».
12 dicembre 2006
Dichiarazione sull'Eutanasia
Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede
(1980)
INTRODUZIONE
I diritti e i valori inerenti alla persona umana occupano un posto importante
nella problematica contemporanea. Al riguardo, il concilio ecumenico Vaticano II
ha solennemente riaffermato l’eccellente dignità della persona umana e in modo
particolare il suo diritto alla vita. Ha perciò denunciato i crimini contro la
vita “come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo
stesso suicidio volontario” (GS 27). La Congregazione per la dottrina della
fede, che di recente ha richiamato la dottrina cattolica circa l’aborto
procurato, ritiene ora opportuno proporre l’insegnamento della chiesa sul
problema dell’eutanasia.
In effetti, per quanto restino sempre validi i principi affermati in questo
campo dai recenti pontefici, i progressi della medicina hanno messo in luce
negli anni più recenti nuovi aspetti del problema dell’eutanasia, che richiedono
ulteriori precisazioni sul piano etico. Nella società odierna, nella quale non
di rado sono posti in causa gli stessi valori fondamentali della vita umana, la
modificazione della cultura influisce sul modo di considerare la sofferenza e la
morte; la medicina ha accresciuto la sua capacità di guarire e di prolungare la
vita in determinate condizioni, che talvolta sollevano alcuni problemi di
carattere morale. Di conseguenza, gli uomini che vivono in un tale clima si
interrogano con angoscia sul significato dell’estrema vecchiaia e della morte,
chiedendosi conseguentemente se abbiano il diritto di procurare a se stessi o ai
loro simili la “morte dolce”, che abbrevierebbe il dolore e sarebbe, ai loro
occhi, più conforme alla dignità umana.
Diverse conferenze episcopali hanno posto, in merito, dei quesiti a questa
Congregazione per la dottrina della fede, la quale, dopo aver chiesto il parere
di competenti sui vari aspetti dell’eutanasia, intende con questa dichiarazione
rispondere alle richieste dei vescovi per aiutarli ad orientare rettamente i
fedeli e per offrire loro elementi di riflessione da far presenti alle autorità
civili a proposito di questo gravissimo problema. La materia proposta in questo
documento riguarda, innanzitutto, coloro che ripongono la loro fede e la loro
speranza in Cristo, il quale, mediante la sua vita, la sua morte e la sua
risurrezione, ha dato un nuovo significato all’esistenza e soprattutto alla
morte del cristiano, secondo le parole di s. Paolo: “Sia che viviamo, viviamo
per il Signore; sia che moriamo, moriamo per il Signore. Quindi, sia che
viviamo, sia che moriamo siamo del Signore” (Rm 14,8; cf. Fil 1,20).
Quanto a coloro che professano altre religioni, molti ammetteranno con noi che
la fede in un Dio creatore, provvido e padrone della vita - se la condividono -
attribuisce una dignità eminente a ogni persona umana e ne garantisce il
rispetto. Si spera, ad ogni modo, che questa dichiarazione incontri il consenso
di tanti uomini di buona volontà, che, al di là delle differenze filosofiche o
ideologiche, hanno tuttavia una viva coscienza dei diritti della persona umana.
Tali diritti, d’altronde, sono stati spesso proclamati nel corso degli ultimi
anni da dichiarazioni di congressi internazionali; e poiché si tratta qui dei
diritti fondamentali di ogni persona umana, è evidente che non si può ricorrere
ad argomenti desunti dal pluralismo politico o dalla libertà religiosa, per
negarne il valore universale.
I. VALORE DELLA VITA UMANA
La vita umana è il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione
necessaria di ogni attività umana e di ogni convivenza sociale. Se la maggior
parte degli uomini ritiene che la vita abbia un carattere sacro e che nessuno ne
possa disporre a piacimento, i credenti vedono in essa anche un dono dell’amore
di Dio, che sono chiamati a conservare e a far fruttificare. Da quest’ultima
considerazione derivano alcune conseguenze:
1) Nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all’amore
di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, inammissibile e
inalienabile, senza commettere, perciò, un crimine di estrema gravità.
2) Ogni uomo ha il dovere di conformare la sua vita al disegno di Dio. Essa gli
è affidata come un bene che deve portare i suoi frutti già qui in terra, ma
trova la sua piena perfezione soltanto nella vita eterna.
3) La morte volontaria ossia il suicidio è, pertanto, inaccettabile al pari
dell’omicidio: un simile atto costituisce, infatti, da parte dell’uomo, il
rifiuto della sovranità di Dio e del suo disegno di amore. Il suicidio, inoltre,
è spesso anche rifiuto dell’amore verso se stessi, negazione della naturale
aspirazione alla vita, rinuncia di fronte ai doveri di giustizia e di carità
verso il prossimo, verso le varie comunità e verso la società intera, benché
talvolta intervengano - come si sa - dei fattori psicologici che possono
attenuare o, addirittura, togliere la responsabilità. Si dovrà, tuttavia, tenere
ben distinto dal suicidio quel sacrificio con il quale per una causa superiore -
quali la gloria di Dio, la salvezza delle anime, o il servizio dei fratelli - si
offre o si pone in pericolo la propria vita.
II. L’EUTANASIA
Per trattare in maniera adeguata il problema dell’eutanasia, conviene,
innanzitutto, precisare il vocabolario. Etimologicamente la parola eutanasia
significava, nell’antichità, una morte dolce senza sofferenze atroci. Oggi non
ci si riferisce più al significato originario del termine, ma piuttosto
all’intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e
dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita.
Inoltre, il termine viene usato, in senso più stretto, con il significato di
procurare la morte per pietà, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime
sofferenze o di evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili
il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre
degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società.
È quindi necessario dire chiaramente in quale senso venga preso il termine di
questo documento. Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura
sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore.
L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati.
Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno può
autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia,
bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre,
può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla
sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente.
Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta, infatti,
di una violazione della legge divina, di un’offesa alla dignità della persona
umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità.
Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di
ordine affettivo o diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter
legittimamente chiedere la morte o procurarla ad altri. Benché in casi del
genere la responsabilità personale possa esser diminuita o perfino non
sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza - fosse pure in buona
fede - non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre
inammissibile. Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la
morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di
eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste angosciate di aiuto e di
affetto. Oltre le cure mediche, ciò di cui l’ammalato ha bisogno è l’amore, il
calore umano e soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti
coloro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri.
III. IL CRISTIANO DINANZI ALLA SOFFERENZAE ALL’USO DEGLI ANALGESICI
La morte non avviene sempre in condizioni drammatiche, al termine di sofferenze
insopportabili. Né si deve sempre pensare unicamente ai casi estremi. Numerose
testimonianze concordi lasciano pensare che la natura stessa ha provveduto a
rendere più leggeri al momento della morte quei distacchi, che sarebbero
terribilmente dolorosi per un uomo in piena salute. Perciò una malattia
prolungata, una vecchiaia avanzata, una situazione di solitudine e di abbandono
possono stabilire delle condizioni psicologiche tali da facilitare
l’accettazione della morte.
Tuttavia, si deve riconoscere che la morte, preceduta o accompagnata spesso da
sofferenze atroci e prolungate, rimane un avvenimento, che naturalmente angoscia
il cuore dell’uomo. Il dolore fisico è certamente un elemento inevitabile della
condizione umana; sul piano biologico, costituisce un avvertimento la cui
utilità è incontestabile; ma poiché tocca la vita psicologica dell’uomo, spesso
supera la sua utilità biologica e pertanto può assumere una dimensione tale da
suscitare il desiderio di eliminarlo a qualunque costo.
Secondo la dottrina cristiana, però, il dolore, soprattutto quello degli ultimi
momenti di vita, assume un significato particolare nel piano salvifico di Dio; è
infatti una partecipazione alla passione di Cristo ed è unione al sacrificio
redentore, che egli ha offerto in ossequio alla volontà del Padre. Non deve
dunque meravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l’uso degli
analgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle loro sofferenze
e associarsi così in maniera cosciente alle sofferenze di Cristo crocifisso (cf.
Mt 27,34). Non sarebbe, tuttavia, prudente imporre come norma generale un
determinato comportamento eroico. Al contrario, la prudenza umana e cristiana
suggerisce per la maggior parte degli ammalati l’uso dei medicinali che siano
atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possano derivare come
effetti secondari torpore o minore lucidità.
Quanto a coloro che non sono in grado di esprimersi, si potrà ragionevolmente
presumere che desiderino prendere tali calmanti e somministrarli loro secondo i
consigli del medico.
Ma l’uso intensivo di analgesici non è esente da difficoltà, poiché il fenomeno
dell’assuefazione di solito obbliga ad aumentare le dosi per mantenerne
l’efficacia. Conviene ricordare una dichiarazione di Pio XII, la quale conserva
ancora tutta la sua validità. Ad un gruppo di medici che gli avevano posto la
seguente domanda: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei
narcotici... è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente
(anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici
abbrevierà la vita)?”, il papa rispose: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle
date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e
morali: Sì”. In questo caso, infatti, è chiaro che la morte non è voluta o
ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole
causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando
allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone.
Gli analgesici che producono negli ammalati la perdita della coscienza, meritano
invece una particolare considerazione. È molto importante, infatti, che gli
uomini non solo possano soddisfare ai loro doveri morali e alle loro
obbligazioni familiari, ma anche e soprattutto che possano prepararsi con piena
coscienza all’incontro con il Cristo. Perciò Pio XII ammonisce che “non è lecito
privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo”.
IV. L’USO PROPORZIONATO DEI MEZZI TERAPEUTICI
È importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona
umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di
divenire abusivo. Di fatto, alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione
che non designa il diritto di procurarsi o farsi procurare la morte come si
vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana.
Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei
problemi.
In molti casi la complessità delle situazioni può essere tale da far sorgere dei
dubbi sul modo di applicare i principi della morale. Prendere delle decisioni
spetterà in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate
per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali
e dei diversi aspetti del caso.
Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli
ammalati devono prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei
rimedi che riterranno necessari o utili.
Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile?
Finora i moralisti rispondevano che non si è mai obbligati all’uso dei mezzi
“straordinari”. Oggi però tale risposta, sempre valida in linea di principio,
può forse sembrare meno chiara, sia per l’imprecisione del termine che per i
rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi
“proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno valutare bene i
mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di
rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con
il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni
dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali. Per facilitare l’applicazione
di questi principi generali si possono aggiungere le seguenti precisazioni:
- In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso
dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche
se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio.
Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene
dell’umanità.
- È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati
deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere
si dovrà tener conto del giusto desiderio dell’ammalato e dei suoi familiari,
nonché del parere di medici veramente competenti; costoro potranno senza dubbio
giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è
sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera
impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne
possono trarre.
- È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire.
Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura
che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo
oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice
accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di
un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare,
oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla
collettività.
- Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in
coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero
soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia
interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il
medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad
una persona in pericolo.
CONCLUSIONE
Le norme contenute nella presente dichiarazione sono ispirate dal profondo
desiderio di servire l’uomo secondo il disegno del Creatore. Se da una parte la
vita è un dono di Dio, dall’altra la morte è ineluttabile; è necessario, quindi,
che noi, senza prevenire in alcun modo l’ora della morte, sappiamo accettarla
con piena coscienza della nostra responsabilità e con tutta dignità. È vero,
infatti, che la morte pone fine alla nostra esistenza terrena, ma allo stesso
tempo apre la via alla vita immortale. Perciò tutti gli uomini devono prepararsi
a questo evento alla luce dei valori umani, e i cristiani ancor più alla luce
della loro fede.
Coloro che si dedicano alla cura della salute pubblica non tralascino niente per
mettere al servizio degli ammalati e dei moribondi tutta la loro competenza; ma
si ricordino anche di prestare loro il conforto ancor più necessario di una
bontà immensa e di una carità ardente. Un tale servizio prestato agli uomini è
anche un servizio prestato al Signore stesso, il quale ha detto: “Ogni volta che
avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete
fatto a me” (Mt 25,40). Il sommo pontefice Giovanni Paolo II, nell’udienza
concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvato la presente
dichiarazione, deliberata nell’assemblea ordinaria di questa s. congregazione, e
ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 5 maggio 1980.
Franjo card. Seper
Prefetto.
Fr. Jerome Hamer, o.p., arciv. tit. di Lorium
Segretario.
L'Aktion T4: il progetto di eutanasia nazista |
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Sommario Le origini del concetto di eutanasia in Germania La psichiatria tedesca, l'eugenetica e l'eutanasia Verso l'eutanasia: sterilizzazione forzata e propaganda Uccidere i bambini. La commissione per le malattie genetiche ed ereditarie Hitler e l'eutanasia La macchina della morte si mette in moto: Tiergartenstrasse 4 Tecnica dell'eliminazione: la prassi della "Aktion T4" Il bilancio delle vittime La resistenza al progetto di eutanasia L'inizio dell'Aktion 14F13 Le operazioni segrete dell'Aktion 14F13 L'eutanasia come "scuola dello sterminio" Le vittime: eliminare per uniformare Studiare il cervello: i mostri del Kaiser Wilhelm Institut Collegamenti Medicina e nazismo Gli "esperimenti medici" nei campi di concentramento nazisti I bambini e l'orco. Il massacro di Bullenhuser Damm Nazismo ed igiene sociale Il triangolo rosa: la persecuzione di omosessuali e transessuali Medici del programma di eutanasia Maximilian de Crinis medico, dirigente dell'Aktion T4 Irmfried Eberl medico, direttore della clinica di Brandenburg e comandante di Treblinka Julius Hallervorden medico neuropatologista, capo dipartimento del Kaiser Wilhelm Institut Werner Heyde SS medico psichiatra, dirigente dell'Aktion T4 e comandante dell'Aktion 14F13 Paul Nitsche medico, dirigente dell'Aktion T4 e dell'Aktion 14F13 Horst Schumann medico, attivo nel programma di eutanasia e negli esperimenti nei campi di concentramento |
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Organizzatori del programma di eutanasia Viktor Brack ufficiale SS, funzionario della Cancelleria del Führer Karl Brandt medico, generale SS. Commissario per la Sanità e la Salute del Reich Philip Bouhler generale SS, capo della Cancelleria privata del Führer fino al 1944 Leonardo Conti medico, generale SS, Segretario di Stato alla Sanità presso il Ministero degli Interni Franz Gürtner Ministro della Giustizia dal 1932 al 1941 SS, gli esecutori: dall'eutanasia ai campi di sterminio Erich Bauer sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor Kurt Bolender sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor Werner Dubious sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor e Belzec Kurt Franz ufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor e Belzec Karl Frenzel sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor Erich Fuchs sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor e Belzec Kurt Gerstein ufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka e Belzec Heinrich Gley sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Belzec Lorenz Hackenholt graduato SS, attivo nel programma di eutanasia e a Belzec Josef Hittreiter sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka Otto Horn infermiere, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka Robert Juhrs sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor e Belzec Heinrich Mattes sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka e San Sabba Willy Menz sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka e San Sabba Hermann Michel sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor August Miete sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka e San Sabba Gustav Muntzberger sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka Joseph Oberhauser ufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Belzec e San Sabba Heinz-Hans Schutt sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor Otto Stadie sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka e San Sabba Franz Stangl ufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka, Sobibor e San Sabba Franz Suchomel sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka, Sobibor e San Sabba Heinrich Unverhau sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka e Sobibor Gustav Wagner ufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor e San Sabba Christian Wirth ufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Treblinka, Sobibor, Belzec e San Sabba Ernst Zierke sottufficiale SS, attivo nel programma di eutanasia e a Sobibor e Belzec |
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