LA STRADA E’ MIA…E FACCIO QUELLO CHE MI PARE!
Grandi uomini gli antichi Romani. A loro dobbiamo una distinzione vitale sulla quale fondarono il loro impero. Dico la distinzione tra res publica e res privata. L’antico Romano, perlomeno lui, distingueva tra la cosa pubblica, cioè quella di tutti, che riguardava il bene comune, e la cosa privata, personale, quella di ognuno di noi: la prima va trattata come bene non personale, ma appunto pubblico, con la seconda si può fare ciò che si vuole, perché è nostra, assolutamente nostra, inequivocabilmente nostra.
Ovvietà, dite voi? Non tanto, non tanto. Perché qualche sera fa a me serviva passare da una strada, dico una strada pubblica della mia cittadina, una via di tutti, a senso unico, creata perché tutti ci potessero camminare, a piedi o in macchina. Quand’ecco che vedo un’autovettura parata al centro della suddetta strada in senso opposto, col cofano ben spalancato, piena di masserizie, con l’aria beffarda di chi sta lì e non si vuole smuovere. Che avreste fatto voi, al mio posto e con la fretta bestiale che avevo? Avreste suonato il clacson, no, per sollecitare il proprietario a rimuoverla. Sì o no? Bene, dopo qualche minuto di strombazzamento, (capisco che non è molto civile neanch’esso, ma a mali estremi…estremi rimedi) è venuto fuori uno strano signore, dico strano perché aveva un’aria serena, serafica, quella tipica di una cherubino o un serafino. Gli mancava solo l’aureola. Mi si avvicina, sorridente, e mi dice con fare cortese: “Signorina, devo scaricare della roba. Mi dispiace, non si passa.” Come non si passa? Ma che significa che non si passa? Alle mie proteste ribatte: “Si passa, si passa, ma tra mezz’ora. Ripassi tra mezz’ora che si passa.” Con queste parole si gira e si allontana più serafico di quand’era giunto, più angelico di quand’era arrivato, e se ne va, con passo lento ma deciso, a continuare la sua opera, incurante di me, della mia fretta, delle mie proteste e della mia faccia arrabbiata.
Ma lei lo sa, caro signore, che i Romani amavano la res publica che si contrapponeva nettamente alla res privata? Ma lei lo sa, caro signore, che in Sicilia siamo abituati a trattare la res publica come se fosse una res privata? Lei lo sa? E nel frattempo, nel bel mezzo di questi feroci pensieri, quasi inconsapevolmente, avevo inserito la retromarcia, girato ben bene il collo come un tacchino irritato, e via via indietreggiato, amaramente scornata. Mentre la macchina restava lì, trionfante…in barba agli antichi Romani e alla loro vana, inutile, inascoltata lezione.
SILVANA LA PORTA
Grandi uomini gli antichi Romani. A loro dobbiamo una distinzione vitale sulla quale fondarono il loro impero. Dico la distinzione tra res publica e res privata. L’antico Romano, perlomeno lui, distingueva tra la cosa pubblica, cioè quella di tutti, che riguardava il bene comune, e la cosa privata, personale, quella di ognuno di noi: la prima va trattata come bene non personale, ma appunto pubblico, con la seconda si può fare ciò che si vuole, perché è nostra, assolutamente nostra, inequivocabilmente nostra.
Ovvietà, dite voi? Non tanto, non tanto. Perché qualche sera fa a me serviva passare da una strada, dico una strada pubblica della mia cittadina, una via di tutti, a senso unico, creata perché tutti ci potessero camminare, a piedi o in macchina. Quand’ecco che vedo un’autovettura parata al centro della suddetta strada in senso opposto, col cofano ben spalancato, piena di masserizie, con l’aria beffarda di chi sta lì e non si vuole smuovere. Che avreste fatto voi, al mio posto e con la fretta bestiale che avevo? Avreste suonato il clacson, no, per sollecitare il proprietario a rimuoverla. Sì o no? Bene, dopo qualche minuto di strombazzamento, (capisco che non è molto civile neanch’esso, ma a mali estremi…estremi rimedi) è venuto fuori uno strano signore, dico strano perché aveva un’aria serena, serafica, quella tipica di una cherubino o un serafino. Gli mancava solo l’aureola. Mi si avvicina, sorridente, e mi dice con fare cortese: “Signorina, devo scaricare della roba. Mi dispiace, non si passa.” Come non si passa? Ma che significa che non si passa? Alle mie proteste ribatte: “Si passa, si passa, ma tra mezz’ora. Ripassi tra mezz’ora che si passa.” Con queste parole si gira e si allontana più serafico di quand’era giunto, più angelico di quand’era arrivato, e se ne va, con passo lento ma deciso, a continuare la sua opera, incurante di me, della mia fretta, delle mie proteste e della mia faccia arrabbiata.
Ma lei lo sa, caro signore, che i Romani amavano la res publica che si contrapponeva nettamente alla res privata? Ma lei lo sa, caro signore, che in Sicilia siamo abituati a trattare la res publica come se fosse una res privata? Lei lo sa? E nel frattempo, nel bel mezzo di questi feroci pensieri, quasi inconsapevolmente, avevo inserito la retromarcia, girato ben bene il collo come un tacchino irritato, e via via indietreggiato, amaramente scornata. Mentre la macchina restava lì, trionfante…in barba agli antichi Romani e alla loro vana, inutile, inascoltata lezione.
SILVANA LA PORTA