La condanna del Bullismo è patetica,
anzi ipocrita.
di Giocondo Talamonti, da Fuoriregistro del 13/12/2006
"Prima digestio fit in ore", dicevano i latini indicando nella bocca l'inizio della digestione.
Traslando il concetto, si può anche affermare che la prima educazione avviene in famiglia.
Qui si danno gli esempi, i consigli, le punizioni perchè il comportamento dei figli si conformi alle regole del vivere civile, cioè della società.
Ma questa ultima varia a seconda delle mode e dei tempi, per cui per una generazione può diventare lecito quello che era precluso alla precedente, dato che cambiano i modelli di riferimento e le abitudini sociali codificati dai mass-media.
La prova? Tutti i ragazzi sotto i diciotto anni vestono alla stessa maniera, al nord come al sud: pantaloni sbracati, mutande in bellavista, ombelichi al vento, scarpe da jogging, telefonino in una mano, spinello nell'altra, lettore mp3 corredato di cuffie alle orecchie.
Di chi è la colpa?
Non sono un sociologo, ma poiché ho passato quaranta anni nella scuola, dividendo con generazioni di giovani ansie, paure e gioie dell'adolescenza, sento il dovere di dare una chiave di lettura del fenomeno, più in veste di addetto ai lavori che non presumendo di indicare soluzioni.
La filiera, dunque, si compone di tre soggetti: famiglia, scuola e società con quest'ultima in veste di giudice spietato, nel senso che rifiuta o emargina elementi di scarso valore, così come il mercato boccerebbe un prodotto difettoso o inutile.
Andando a ritroso, la Scuola ha le sue colpe, in specie per aver ceduto al miraggio di voler elevare la quota statistica dei diplomati, chiudendo ambedue gli occhi sul grigiore dell'appiattimento qualitativo, elargendo debiti, facili promozioni, rilassamenti e buonismi con la conseguenza di demotivare i migliori e premiare i fannulloni, convinti, come le famiglie di appartenenza, che il diritto allo studio, sancito dalla Costituzione, significhi diritto al diploma.
Latita paurosamente il concetto di meritocrazia con annessi i valori di sacrificio, impegno, correttezza e rispetto per gli adulti, genitori o docenti che siano.
Altrettanto assente è la prospettiva di considerare la Scuola come propedeutica all'ingresso dei giovani nella società.
Gli studenti "fasulli" sdoganati dalla scuola, sono destinati ad alimentare la schiera dei disoccupati o, nella migliore delle ipotesi dei sottooccupati, i quali, presa coscienza dalla penosa inconsistenza vivacchiano senza pretendere, senza aspirare, privi di stimoli ed inventiva.
Ma i mali maggiori vengono dalla famiglia, troppo accondiscendente e permissiva, troppo cedevole ed acquiescente nei confronti dei figli. I genitori hanno colpe spaventose da farsi perdonare: dalla scarsa presenza in famiglia alla precarietà del ménage, dall'incapacità a fissare modelli comportamentali a quella di imporre principi di autorità.
La forza di dire "no" nei momenti opportuni e giustificare i motivi della negazione, è di gran lunga maggiore rispetto alla concessione di un "sì", sempre e comunque.
Mette in pace la coscienza del genitore, crea meno stress, procura meno conflitti.
Ma il guaio è che l'atteggiamento buonista della famiglia non risponde solo ad una logica utilitaristica; è diventato costume diffuso, un cancro sociale sviluppatosi sull'onda delle pretese dei diritti senza doveri.
La speranza che sia la Scuola a correggere gli errori di formazione civica dei ragazzi è una pia illusione. Lo dico con amarezza.
Le carenze comportamentali non subiranno miglioramenti nel corso degli studi perchè è la stessa famiglia a condannare ogni iniziativa scolastica che abbozzi schemi autoritari.
La condanna del Bullismo è patetica, anzi ipocrita.
Ciascuno faccia la sua parte nel ricreare le condizioni di vivibilità sociale.
Alla fine, come un giovane cresca, si sviluppi e venga assorbito dalla comunità con i giusti requisiti di digeribilità è un problema che investe ogni cittadino.
Ma cominciamo dalla bocca.
anzi ipocrita.
di Giocondo Talamonti, da Fuoriregistro del 13/12/2006
"Prima digestio fit in ore", dicevano i latini indicando nella bocca l'inizio della digestione.
Traslando il concetto, si può anche affermare che la prima educazione avviene in famiglia.
Qui si danno gli esempi, i consigli, le punizioni perchè il comportamento dei figli si conformi alle regole del vivere civile, cioè della società.
Ma questa ultima varia a seconda delle mode e dei tempi, per cui per una generazione può diventare lecito quello che era precluso alla precedente, dato che cambiano i modelli di riferimento e le abitudini sociali codificati dai mass-media.
La prova? Tutti i ragazzi sotto i diciotto anni vestono alla stessa maniera, al nord come al sud: pantaloni sbracati, mutande in bellavista, ombelichi al vento, scarpe da jogging, telefonino in una mano, spinello nell'altra, lettore mp3 corredato di cuffie alle orecchie.
Di chi è la colpa?
Non sono un sociologo, ma poiché ho passato quaranta anni nella scuola, dividendo con generazioni di giovani ansie, paure e gioie dell'adolescenza, sento il dovere di dare una chiave di lettura del fenomeno, più in veste di addetto ai lavori che non presumendo di indicare soluzioni.
La filiera, dunque, si compone di tre soggetti: famiglia, scuola e società con quest'ultima in veste di giudice spietato, nel senso che rifiuta o emargina elementi di scarso valore, così come il mercato boccerebbe un prodotto difettoso o inutile.
Andando a ritroso, la Scuola ha le sue colpe, in specie per aver ceduto al miraggio di voler elevare la quota statistica dei diplomati, chiudendo ambedue gli occhi sul grigiore dell'appiattimento qualitativo, elargendo debiti, facili promozioni, rilassamenti e buonismi con la conseguenza di demotivare i migliori e premiare i fannulloni, convinti, come le famiglie di appartenenza, che il diritto allo studio, sancito dalla Costituzione, significhi diritto al diploma.
Latita paurosamente il concetto di meritocrazia con annessi i valori di sacrificio, impegno, correttezza e rispetto per gli adulti, genitori o docenti che siano.
Altrettanto assente è la prospettiva di considerare la Scuola come propedeutica all'ingresso dei giovani nella società.
Gli studenti "fasulli" sdoganati dalla scuola, sono destinati ad alimentare la schiera dei disoccupati o, nella migliore delle ipotesi dei sottooccupati, i quali, presa coscienza dalla penosa inconsistenza vivacchiano senza pretendere, senza aspirare, privi di stimoli ed inventiva.
Ma i mali maggiori vengono dalla famiglia, troppo accondiscendente e permissiva, troppo cedevole ed acquiescente nei confronti dei figli. I genitori hanno colpe spaventose da farsi perdonare: dalla scarsa presenza in famiglia alla precarietà del ménage, dall'incapacità a fissare modelli comportamentali a quella di imporre principi di autorità.
La forza di dire "no" nei momenti opportuni e giustificare i motivi della negazione, è di gran lunga maggiore rispetto alla concessione di un "sì", sempre e comunque.
Mette in pace la coscienza del genitore, crea meno stress, procura meno conflitti.
Ma il guaio è che l'atteggiamento buonista della famiglia non risponde solo ad una logica utilitaristica; è diventato costume diffuso, un cancro sociale sviluppatosi sull'onda delle pretese dei diritti senza doveri.
La speranza che sia la Scuola a correggere gli errori di formazione civica dei ragazzi è una pia illusione. Lo dico con amarezza.
Le carenze comportamentali non subiranno miglioramenti nel corso degli studi perchè è la stessa famiglia a condannare ogni iniziativa scolastica che abbozzi schemi autoritari.
La condanna del Bullismo è patetica, anzi ipocrita.
Ciascuno faccia la sua parte nel ricreare le condizioni di vivibilità sociale.
Alla fine, come un giovane cresca, si sviluppi e venga assorbito dalla comunità con i giusti requisiti di digeribilità è un problema che investe ogni cittadino.
Ma cominciamo dalla bocca.