ADi Associazione Docenti Italiani
IL NUOVO CORSO DI VIALE TRASTEVERE
La presidente dell’ADI ne discute con N. Bottani e C. Marzuoli
“C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole anzi d'antico”
Il nuovo corso e le tre priorità dell'ADi
A. Cenerini: La funzione dell'ADi è sempre stata quella di analizzare criticamente le politiche scolastiche dei vari governi, al di sopra e al di fuori di qualsiasi schieramento, e insieme di affiancare alle critiche proposte costruttive. Con questo stesso metodo, dunque, vorrei insieme esaminare il nuovo corso del ministro Fioroni.
Con il seminario internazionale del febbraio 2006, Tre nodi da sciogliere per la nuova legislatura, al quale voi avete fattivamente e generosamente collaborato, l'ADI ha indicato tre priorità:
1. la decentralizzazione dell'istruzione,
2. l'istruzione e formazione dai 14 ai 21 anni, con specifica attenzione all'istruzione tecnica e professionale,
3. lo stato giuridico dei docenti e dirigenti scolastici, con particolare riferimento a reclutamento e carriera docente.
Sono questioni intrecciate, che hanno segnato la storia della scuola italiana. E proprio dalla storia passata e dalla cronaca recente sappiamo quanto sia difficile sciogliere questi nodi.
Sappiamo anche, però, che si tratta di temi oggi presenti nell'agenda politica di quasi tutti i Paesi, e alcuni di essi, come la decentralizzazione, si presentano come processi irreversibili. Tutto questo richiederebbe, come voi avete tante volte sottolineato, la capacità e la volontà di gestire con tempestività e lungimiranza la fase di transizione.
Gli atti di indirizzo e i decreti firmati dal ministro sembrano invece ispirarsi a quel diffuso conservatorismo che aleggia sulla e nella scuola, e che è assolutamente trasversale, a destra, a sinistra e al centro. “Quaeta non movere, mota sedare ” pare la linea intrapresa dal nuovo ministro, instaurando quello che lui stesso ha definito il
“metodo del cacciavite”, con il quale ha, in verità, molto “svitato” (sospensioni, disapplicazioni, proroghe), poco,
per ora, avvitato.
Rispetto alle tre priorità indicate dall'ADi, la situazione pare immobile , anzi a tratti regressiva. Di questo vorrei discutessimo insieme, cominciando dalla prima priorità insieme indicata: la “decentralizzazione”.
La decentralizzazione nel nuovo corso:
autonomia scolastica versus regioni
A. Cenerini: Nei documenti e negli atti finora prodotti dal ministero il ruolo delle Regioni, definito dal nuovo Titolo
V, è ignorato, anzi scongiurato. Ci sono costanti richiami all'unità del sistema che, in una situazione come quella italiana di perdurante centralismo statalistico, suonano come moniti contro la decentralizzazione. Ad esempio, la
Direttiva generale per l'anno 2006 recita ai primissimi punti”: “a ssicurare (…) un sistema educativo unitario, di validità nazionale, senza rischi di segmentazione territoriale che produrrebbe insostenibili diseguaglianze dei giovani e delle famiglie nell'accesso all'istruzione e nella qualità dei suoi processi e dei suoi risultati”. E' l'antico slogan contro la decentralizzazione, pur sapendo che il centralismo non ha sanato, ma mantenuto e accentuato, le differenze fra Nord e Sud (v. dati MPI su ritiri e abbandoni)
E ancora, si interviene sugli Istituti professionali, ignorando che il Titolo V assegna l”istruzione professionale” (non solo la “formazione professionale”) alla legislazione esclusiva regionale. Non si coinvolgono le Regioni sul tema della valutazione, né su nessun' altra delle questioni trattate. Si rafforza il ruolo degli USR e dei CSA.
Ora, vorrei chiedere in primo luogo a Carlo Marzuoli se tutto questo sia compatibile con la Costituzione vigente.
C. Marzuoli: No. Le indicazioni del ministro sono concepite per un sistema “statale” di gestione dell'istruzione. Con
il nuovo Titolo V , invece, statali sono alcune regole (le "norme generali sull'istruzione" i "livelli essenziali " e "i principi fondamentali" ), ma queste non sono il servizio dell'istruzione.
Le norme sono prescrizioni di carattere generale, sono un "prevedere". Il servizio è un fare in concreto, un
"provvedere": servizio vuol dire organizzare, erogare prestazioni, rilevare e soddisfare bisogni. Con il Titolo V la gestione del servizio e quindi del personale è quasi per intero regionale (e locale), ma questo richiede un quadro d'insieme che ora non c'è, e che non pare essere voluto.
A. Cenerini: nell'impostazione del ministro Fioroni c'è, a parole, un'esaltazione dell'autonomia scolastica che pare posta in contrapposizione alle nuove competenze regionali. Vorrei chiedere a Norberto Bottani, per la conoscenza comparata che ha dei diversi sistemi scolastici, se poteri regionali e autonomia delle scuole siano in contrasto o se invece debbano e possano coesistere.
N. Bottani: ci sono diverse configurazioni di decentralizzazione e autonomia scolastica a livello internazionale. In alcuni Paesi sono più accentuati i poteri delle Regioni e degli Enti Locali, in altri quelli delle scuole autonome, in altri ancora i due poteri sono in equilibrio. Rispetto al quadro internazionale l'Italia è un caso di ermafroditismo bizzarro:sulla carta massima decentralizzazione (v. Titolo V del 2001) e massima autonomia scolastica (v. DPR
275/1999), nella pratica e nella politica degli apparati minima decentralizzazione e minima autonomia delle scuole. Infatti, da un lato si promuove a parole e in modo demagogico l'autonomia degli istituti scolastici, perché non si stanziano né si prevodono i mezzi e le risorse necessari per sostenerla, dall'altro si pers iste nell'ignorare la questione della governabilità locale, territoriale, delle scuole.
Ora d eve essere chiaro che l'autonomia va sostenuta, promossa, monitorata, e che in Italia un impegno del genere non può più essere assunto dall'amministrazione centrale e dai suoi apparati decentrati (USR e CSA da pochi giorni USP, Uffici Scolastici Provinciali). Una delle funzioni vitali degli assessorati regionali potrebbe e dovrebbe proprio essere il sostegno all'autonomia. Prendiamo la questione della “quota” flessibile del curricolo. La norma che il ministro Fioroni ha ripreso dal decreto sul 2° ciclo prevede l'attribuzione alle istituzioni scolastiche del
20% dei piani di studio “nell'ambito degli indirizzi definiti dalle regioni”. Ora sarebbe grave che le Regioni
rinunciassero a questa competenza. Fino ad oggi le scuole non hanno utilizzato nemmeno il 15% di cui dispongono dal 2000. E' più che mai urgente una politica che sostenga questa flessibilità e che solo le Regioni possono promuovere. Vorrei concludere dicendo che chi continua a contrapporre l'autonomia scolastica a quella regionale e degli enti locali, in realtà ha una sola finalità: perpetuare il centralismo statalistico, bloccare l'innovazione e mantenere lo status quo.
C. Marzuoli: In materia di “autonomia scolastica” vale anche la pena ricordare sia la sentenza n. 13/2004 della Corte costituzionale, che ha ben chiarito che l'autonomia non può risolversi nella incondizionata libertà di autodeterminazione delle scuole, sia le dichiarazioni della Conferenz a Unificata delle Regioni che nel documento del 14 luglio 2005 hanno sottolineato che per “esprimere compiutamente la sua potenzialità ed il suo valore,
l'autonomia scolastica necessita del pieno esercizio da parte delle Regioni della funzione di governo territoriale del
sistema, articolato nelle diverse fasi di programmazione, di indirizzo, di coordinamento, di allocazione delle risorse,
di valutazione, a garanzia della crescita e dello sviluppo di una rete di relazioni sul territorio che consentano l'affermarsi dell'autonomia in un sistema organico”.
A. Cenerini: Vorrei chiedere ad entrambi perché le Regioni non rivendicano con più forza i loro poteri.
C. Marzuoli: I motivi sono molteplici e sono stati ben evidenziati dall' Indagine prodotta dall'ADi: c'è impreparazione ad assumere questi compiti e, poi, vi è la questione del finanziamento. Finché non sarà risolto questo problema è politicamente più “vantaggioso” per le Regioni porsi insieme alle scuole in posizione rivendicativa nei confronti dello Stato anziché di governo del sistema, un esempio per tutti: la questione degli organici. Ma è un'impostazione priva di respiro istituzionale e dunque consentirà solo, al massimo, di rallentare il declino
N. Bottani: Carlo ha toccato un nodo fondamentale: la gestione del personale. E' questa sicuramente una delle questioni più spinose in Italia. Come risulta dai dati internazionali, ampiamente convalidati da almeno una decina d'anni, l'Italia ha uno dei sistemi scolastici più “onnivori” tra quelli dell'OCSE, nel senso che utilizza una grande quantità di personale senza che ciò si traduca né in buoni risultati scolastici, né in soddisfazione del personale, né
in una diminuzione equamente distribuita del numero di alunni per classe, che in molti casi continua ad essere superiore a 25. La questione è pertanto di assoluta rilevanza, tenuto conto che la spesa per il personale assorbe oltre il 95% del bilancio del Ministero dell'istruzione, a danno degli investimenti, mentre le retribuzioni si mantengono basse, perché “vaporizzate” su un numero larghissimo di addetti. La decentralizzazione può rappresentare un modo per uscire da questo circolo vizioso, purché non si decentralizzi solo la capacità di spesa, mantenendo centralizzato il finanziamento. Non si può cioè rendere le amministrazioni locali politicamente responsabili dell'erogazione dei servizi, senza renderle anche fiscalmente responsabili.
Sono anche d'accordo con Carlo quando dice che non c'è convenienza per le Regioni ad essere attive nel campo dell'istruzione. In Italia le politiche educative non sono politicamente gratificanti, non portano voti. E' questa una questione culturale grave. Se l'impegno a rendere l'istruzione più equa, cioè più giusta socialmente, portasse riconoscimenti e voti ai dirigenti politici, avremmo già politiche scolastiche regionali dinamiche, visibili, pubblicizzate. Nulla di tutto ciò. La scuola è l'ultima ruota del carro, non la priorità numero uno come lo è in Inghilterra, in Francia, in Spagna, in Svezia.
Il segmento 14-21 anni nel nuovo corso
A. Cenerini: E' noto che il solo segmento dell'istruzione che, da Gentile ai giorni nostri, non ha mai avuto una riforma organica è quello dell'istruzione secondaria superiore, di cui l'istruzione tecnica e professionale rappresenta la parte più rilevante.
E' su questo segmento che si intrecciano alcune questioni cruciali, dai nuovi poteri regionali all'obbligo scolastico fino all'istruzione terziaria non universitaria.
Il Ministro Fioroni pare voler confermare lo status quo, anche se per ora il dlgs 226/05 è solo prorogato.
Si ripropone, pur con molte ambiguità, l'obbligo scolastico ai 16 anni, si dichiara di valorizzare l'istruzione tecnica e professionale, m a semplicemente consolidando l'esistente (gli istituti professionali quinquennali nell'alveo statale e con sbocco all'università), mentre la formazione professionale mantiene, separata dall'istruzione professionale,il suo carattere addestrativo. Infine l'istruzione tecnico-professionale postsecondaria (o terziaria come è internazionalmente definita) non universitaria pare non andare oltre gli attuali IFTS. L'ADi criticò profondamente la
riforma Moratti del 2° ciclo, ma certo non per mantenere lo status quo. Vorrei allora chiedere in primo luogo a
Norberto Bottani che di questi problemi si è a lungo occupato e continua ad occuparsene a livello internazionale, cosa pensa in proposito.
N. Bottani: innanzitutto una considerazione di carattere generale. Le politiche scolastiche in Italia non sono mai pilotate sulla base di dati, ma di principi general-generici che il più delle volte sono clamorosamente contraddetti dalla realtà. Non ci sono elaborazioni rigorose sulle transizioni orizzontali e verticali nei sistemi formativi e, ancor più importanti, sulla transizione al mondo del lavoro. Se non si collega il diritto allo studio al diritto al lavoro e non
si pilotano insieme queste due politiche, non si possono fare operazioni autenticamente democratiche. I dati per l'Italia sono assolutamente allarmanti, come ci indicano una serie di elaborazioni statistiche prodotte da ISTAT, ISFOL, da specifici lavori del ministero del lavoro e da enti privati . Ma di questo non ci si preoccupa. E si rimane attaccati al principio che un'istruzione democratica deve offrire percorsi scolastici uniformi il più a lungo possibile, impostati su una cultura di tipo liceale, considerata la sola “cultura” degna di questo nome, e tutti rigorosamente sfocianti nell'oceano universitario. Non importa se tutto questo produce una vera e propria ecatombe. I principi sono salvi.
A. Cenerini: Rientra in questa filosofia anche l'obbligo scolastico a 16 anni?
N. Bottani: La faccenda dell'obbligo scolastico è in Italia un inciampo che condiziona pesantemente il dibattito politico con il richiamo a posizioni di principio di valore simbolico ma ormai prive di significato, superate come sono dalle scelte e dai comportamenti delle famiglie e dei giovani. Il fatto eclatante è che non ci si concentra su cosa sia importante e indispensabile che tutti i ragazzi apprendano e su come riuscire a farlo apprendere, ma sull'istituzione che impartisce l'istruzione: gli istitut i scolastici e i centri di formazione professionale. Va detto allora con grande chiarezza che questo conflitto non ha nulla a che vedere con questioni educative, pedagogiche o formative, è solo una faccenda corporativa, di soldi, di interessi divergenti, di monopoli. Così come la perdurante gravissima assenza in Italia di un'alta formazione tecnico-professionale non universitaria è dovuta al monopolio accademico che ne ha ostacolato e impedito la diffusione. Fin quando non si chiarirà questo punto non si verrà mai a capo di contrasti puramente interpretativi e cavillosi.
C. Marzuoli: Vorrei aggiungere una considerazione sulla decisione assunta di mantenere gli istituti professionali in capo allo stato. Su questa scelta ha pesato senza dubbio la resistenza degli insegnanti al passaggio a una gestione regionale, considerata marginalizzante rispetto a quella di tutti gli altri docenti. Si può allora affermare che finchè la gestione di tutti gli insegnanti non diventerà regionale, il dilemma dell'istruzione tecnica e professionale non verrà sciolto. La prospettiva si porrà allora solo in termini di mantenimento dello status quo o di licealizzazione anche degli istituti professionali come è avvenuto per gli istituti tecnici.
A. Cenerini: Una considerazione, per concludere, sull'alta formazione tecnico-professionale terziaria non universitaria.
N. Bottani: E' noto che il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, è stato il primo in Italia a parlarne con cognizione di causa fin dall'inizio degli anni Novanta , e l'ha ripetuto con convinzione in questa campagna elettorale. A Viale Trastevere, però, si continua a non avere percezione dell'importanza strategica di questo segmento alto dell'istruzione, che è presente da oltre trent'anni negli altri Paesi. Si continua a pensare che l'alta
formazione tecnico professionale terziaria non universitaria coincida con gli IFTS,e che sia sufficiente intervenire (
non si sa come) su questi corsi. Ma non è assolutamente così, gli IFTS sono un aborto, che nulla hanno a che fare con percorsi strutturati e stabili di alta specializzazione, collegati alla ricerca applicata.
Lo stato giuridico nel nuovo corso
A. Cenerini: su questa materia abbiamo la fortuna di discutere con un giurista, che di questo si è personalmente occupato. Mi rivolgo pertanto, in primo luogo, a Carlo Marzuoli.
L'ADi ha indicato fra le tre priorità di questa legislatura, il varo di un nuovo stato giuridico degli insegnanti. E' noto che il precedente governo non ha affrontato la questione per non scontrarsi con le Organizzazioni Sindacali, e il tema è stato unicamente oggetto di iniziativa parlamentare di singoli deputati del centrodestra , mentre il centrosinistra si è allineato, in posizione subalterna, ai sindacati. Ora negli atti del nuovo ministro non solo non c'è
il minimo cenno alla questione dello stato giuridico, ma addirittura sono state disapplicate con accordi sindacali norme di legge riguardanti i docenti. Che dire?
C. Marzuoli: Vale la pena andare subito al cuore del problema: legge o contratto? E' opport uno ancora una volta ricordare l'art. 97 della Costituzione. La norma, di grande rilievo dal punto di vista della democraticità dell'ordinamento costituzionale della Repubblica, vuole che le linee essenziali delle organizzazioni e delle attività pubbliche siano regolate con legge o sulla base della legge. La ragione è evidente:l'Amministrazione è volta a perseguire l'interesse della collettività, interesse che può essere in contrasto con le richieste dei suoi dipendenti, e dunque il potere pubblico deve poter operare, se indispensabile, anche in via unilaterale e autoritativa (come si fa,
ad esempio, nel caso dell'espropriazione per pubblica utilità). Occorre dunque liberarsi dell'idea che, nei rapporti con la P.A., la contrattazione collettiva sia necessariamente sinonimo di maggiore democraticità dell'ordinamento. Nel caso, poi, dell'istruzione e del personale docente, la specificità del servizio e la necessità di garantire la libertà d'insegnamento esigono che lo spazio attribuito alla contrattazione sia rivisto e ridotto rispetto alla disciplina vigente e alle prassi che ne sono seguite. Soprattutto perché la contrattazione collettiva ha invaso spazi che non le competono, neppure ai sensi della legislazione vigente
A. Cenerini: In che rapporto si pone un nuovo stato giuridico con la legge di privatizzazione, in particolare con il d.lgs 165/2001?
C. Marzuoli: La legge di privatizzazione affida alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro e i minori atti di organizzazione. Dunque la contrattazione collettiva dovrebbe rimanere in detto ambito. Così non è.
Ad esempio, la definizione della funzione docente non è materia di rapporto di lavoro ma di determinazione di quel compito pubblico che (per di più) caratterizza la pubblica istruzione (equivale a stabilire la competenza di un ufficio) e che è investito direttamente da aspetti di costituzionalità (la libertà d'insegnamento). Di funzione docente parla infatti, correttamente, l'art.395 d.lgs n.297/1994. Ma di funzione docente parla anche l'art. 24 del CCNL
2002-2005 . Il che puo' determinare il seguente dilemma: nell'ipotesi di contrasto fra l'art. 395 e l'art. 24 chi vince e
chi perde?
A. Cenerini: Mi pare indubbio che secondo l'impostazione del ministro Fioroni vinca il contratto, visto che con un accordo sindacale ha disapplicato norme di legge quali la funzione del tutor, i contratti di prestazione d'opera non riconducibili a profilo docente, la mobilità legata ai periodi dei cicli .
C. Marzuoli: E' purtroppo così, secondo le prassi prevalenti . Ma tutto questo è molto preoccupante. La disapplicazione della norma che limitava la mobilità annuale dei docenti e garantiva la continuità didattica almeno per i singoli periodi dei cicli è un esempio lampante di come la contrattazione possa andare contro l'interesse della collettività. Una vicenda che coinvolge in modo centrale il diritto all'istruzione di tutti i cittadini (e che certo interessa ancor più i meno abbienti) è stato tratta come un problema aziendale, nel chiuso di un rapporto fra datore di lavoro (che – non si dimentichi – è naturalmente spinto a conquistare il consenso politico dei suoi dipendenti, diversamente da ciò che accade nei rapporti di lavoro fra privati) e sindacati. In un simile contesto, è difficile immaginare che si pos sano avere esiti differenti. Ma un sistema giuridico che si presta a tutto ciò, a mio avviso, è costituzionalmente inaccettabile e ciò in nome del principio democratico e dei diritti dei cittadini.
A. Cenerini: Come è potuto accadere che una norma di legge sia disapplicata da un accordo sindacale?
C. Marzuoli: E' avvenuto in forza di una disposizione che aggrava il quadro che ho sopra descritto. Si tratta
dell'art.2,c. 2, d.lgs. n. 165/2001, che consente di disapplicare specifiche disposizioni legislative in base a successivo accordo sindacale. E' ciò che ha fatto il ministro in carica: ha cancellato una serie di disposizioni con valore e forza di legge semplicemente mediante accordo con soggetti privati ( il sindacato), senza bisogno di ricorrere ad alcuna procedura quantomeno altrettanto pubblica e trasparente e più immediatamente riconducibile alla sovranità popolare come quella che si esprime con la legge e con il decreto legislativo.
A. Cenerini: E allora che fare?
C. Marzuoli: Se non si affronta questo problema è inutile parlare di condizione giuridica del personale docente come problema che coinvolge profili indisponibili ad opera di chiunque o come problema che coinvolge direttamente tutti i cittadini e non solo i rapporti fra Governo e Sindacati.
A. Cenerini: Intravedi possibili soluzioni al problema?
C. Marzuoli: Si può intraprendere una delle strade seguenti:
Soluzione radicale - a) Si rovescia il sistema delineato dalla normativa vigente (v. art. 2 d.lgs. n.165/2001) e si determinano, con elenco tassativo, le materie affidate alla contrattazione; b) si prevede che comunque le disposizioni adottate con legge (legge nazionale) prevalgano su eventuali contrastanti norme contrattuali, anche quando il contrasto sia implicito, salva diversa indicazione di legge.
Soluzione meno dirompente, ma più praticabile - a) non si toccano le linee del sistema quale
in generale risultante dal d.lgs. n. 165/2001, salvo la necessità di escludere l'operatività, almeno nel settore in oggetto, del citato art. 2, c.2, d.lgs . n. 165/2001, per evitare troppo facili disapplicazioni ed una specie di delega in bianco; b) si interviene con legge sugli specifici aspetti che interessano, con ciò automaticamente sottraendo spazio, pur se per singoli aspetti, alla contrattazione collettiva.
LE PROPOSTE ADi
L'ADi e la decentralizzazione
A. Cenerini: cerchiamo ora di mettere sinteticamente in fila le proposte dell'ADi rispetto alle tre priorità indicate, proposte che voi avete in grandissima misura contribuito a elaborare. Ricominciamo dalla decentralizzazione.
N. Bottani: Non ci sono dubbi sul fatto che alcune riforme fondamentali, come quella del secondo ciclo e dell'istruzione terziaria non universitaria saranno possibili solo se si procederà ad una seria decentralizzazione del sistema istruzione.
A. Cenerini: Abbiamo visto però con l' Indagine svolta in 15 Regioni -un campione quindi assolutamente significativo- che le Regioni non sono ancora preparate ad assumere questi compiti. Nella maggioranza dei casi non ci sono competenze adeguate, mancano elaborazioni, progetti, e non si percepisce nemmeno la volontà di assumere nuove pesanti responsabilità. Sembra tutto ancora sospeso.
C. Marzuoli: In parte questo è dovuto al fatto che il Titolo V non è stato attuato e che, dopo la bocciatura referendaria della riforma costituzionale del centrodestra, è in corso- parrebbe- un lavoro volto ad “aggiustare” la riforma costituzionale del 2001. E' anche vero, però, che sono trascorsi cinque anni dall'entrata in vigore del nuovo Titolo V, e che le norme in esso contenute erano state in parte già anticipate dalla legge 59/1997 e dal d.lgs. n.112/1998. In questa situazione le Regioni hanno lo spazio, se vogliono, per cominciare ad attrezzarsi e ad esercitare le funzioni e le responsabilità che loro competono. Appare dunque singolare che sia stato possibile emanare, ieri, un atto come il D.P.R. n.319/2003, con cui si stabilizza la gestione centralistica dell'istruzione e si rafforzano i poteri degli Uffici Scolastici Regionali, e, oggi, un atto come la recentissima “ Direttiva sul ruolo e sui compiti degli Uffici Scolastici Provinciali”, firmata dal ministro Fioroni il 7 settembre 2006, con cui si sono di fatto riesumati i vecchi Provveditorati. Senza un'azione convinta delle Regioni volta a rivendicare i propri poteri e gli strumenti per realizzarli, la decentralizzazione dell'istruzione non può decollare. L'autonomia è come la libertà: controvoglia non si è liberi, e nemmeno autonomi.
N. Bottani : Sono ovviamente d'accordo con Carlo, vorrei aggiungere che credo che si debba tenere vivo il dibattito su questo tema, che in Italia è assolutamente asfittico. A questo fine penso che l' Indagine prodotta dall'ADi sia molto importante e vada valorizzata. Ma non ci si deve fermare a quanto è già stato fatto. L' indagine è stata chiamata Quick Survey, perché non è stata concepita come indagine scientifica vera e propria, pur essendo assolutamente attendibile. Si è trattato di una sorta di sondaggio, che aveva il duplice obiettivo di verificare la pertinenza dei temi affrontati e degli snodi evidenziati e di raccogliere un paniere accettabile d'informazioni per capire come le regioni si stessero muovendo in questo campo, senza la pretesa né di confrontarle tra loro né di produrre un quadro esaustivo dell'evoluzione in corso. Si tratta ora, come ho sempre detto, di reimpostare le domande, alla luce delle informazioni e osservazioni raccolte, e di procedere in modo scientifico ad una vera e propria indagine in tutte le Regioni. Questo è un compito importante che l'ADi può assumersi per favorire e sostenere il processo di decentralizzazione.
A. Cenerini: E' un lavoro che richiede tempo e molte energie, ma credo che siamo nelle condizioni di farlo. Ci daremo tempi e strumenti per realizzarlo.
L'ADi e l'istruzione dai 14 ai 21 anni
A.Cenerini: Le elaborazioni dell'ADi sul secondo ciclo sono numerose. Abbiamo prodotto documentate analisi del decreto 226/05 seguendolo nelle sue varie fasi di realizzazione, abbiamo fatto specifici convegni e anche esaminato in modo approfondito le riforme e le tendenze in atto nei principali Paesi europei (Inghilterra; Francia; Spagna ) Nell'ultimo convegno internazionale dell'ADi hai avuto tu, Norberto, il compito di esporre le tesi
dell'associazione, quindi a te la parola.
N. Bottani: Voglio in premessa dire che mi auguro che le indicazioni del ministro, che tu illustravi all'inizio, vengano in qualche modo messe in discussione dalle Regioni. Nessuno si nasconde che il secondo ciclo
costituisce uno dei terreni più scivolosi sui quali opera la politica dell'istruzione, e che qualsiasi intervento è
destinato a suscitare polemiche e reazioni. Ma il ritardo culturale, tecnologico, organizzativo e pedagogico dell'Italia in questo campo è tale da non consentire più rinvii e immobilismi.
A. Cenerini: Non c'è dubbio che sia così. Ti chiedo allora di fornire alcune schematiche indicazioni.
N. Bottani: La questione dirimente è la centralità dell'istruzione tecnica e professionale, un obiettivo che è al primo posto nell'agenda dei governi dei principali Paesi europei, e che in Italia può attuarsi solo ad alcune condizioni, e cioè:
• decentralizzazione della gestione di tutta la scuola alle regioni;
• superamento delle scissioni tra formazione professionale, istruzione professionale e istruzione tecnica;
• permeabilità tra formazione/istruzione tecnica- professionale e liceale;
• costruzione dei curricoli di tutto il 2° ciclo (licei e istruzione/formazione tecnico-professionale) su un
“nucleo” di competenze essenziali comuni fino ai 16 anni, che deve coprire almeno il 50% del curricolo
(a.lettura, scrittura, comunicazione funzionale, b.matematica funzionale, c.TIC funzionali, d. lingua
straniera, e.competenze trasversali); e su apprendimenti di indirizzo, che sono le discipline e gli ambiti specialistici- riferiti sia alla cultura accademica che professionale- che differenziano i vari indirizzi liceali o i vari percorsi tecnico-professionali e che devono rappresentare circa i 2/3 delle qualifiche triennali, dei diplomi quadriennali e quinquennali;
• creazione di un nuovo apprendistato, mai decollato in Italia, che renda accessibili qualifiche e diplomi attraverso la formazione duale ( una reale alternanza scuola-lavoro),
• La creazione ex novo di istituti postsecondari non universitari di alta specializzazione tecnico- professionale, triennali, che costituiscono un punto davvero strategico nel panorama italiano, insieme all'avvio di un “nuovo” apprendistato.
A. Cenerini: Tutto questo senza toccare, almeno per ora, e come ha già dichiarato il ministro Fioroni, i cicli definiti dalla legge delega 53/03. Rimane sempre il problema della conclusione dell'istruzione secondaria di 2° grado alla maggiore età (18 anni), come in tutti i Paesi europei.
N. Bottani: Certo, ma non è il problema chiave oggi. Sarebbe sufficiente per il momento utilizzare il 5 ° anno come l'ADi ha indicato nella sua proposta sull' esame di stato
A. Cenerini: Per concludere la questione dell'obbligo scolastico a 16 anni, di cui abbiamo in parte già detto.
N. Bottani: Non posso che ripetere che l' obbligo “scolastico" ai 16 anni costituisce oggi un arretramento: è già avviato per tutti il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno. Occorre ragionare sui contenuti e non sugli interessi delle “corporazioni” .
Associazione Docenti Italiani
L'ADI e un nuovo stato giuridico
A. Cenerini: Siamo arrivati alla terza e ultima priorità: lo stato giuridico del personale docente e dirigente. L'ADi ha posto per prima nella scorsa legislatura questo tema, ne ha fatto oggetto di convegni, di elaborazioni e di proposte. Fin dal 2002 l'associazione ha potuto usufruire della guida generosa di Carlo Marzuoli, che ha consentito un approfondimento e una trattazione sempre più puntuale e argomentata del tema. Nessuno meglio di
te, Carlo, può quindi indicare alcuni dei punti salienti di uno stato giuridico innovativo e adeguato al nuovo assetto
costituzionale del sistema d'istruzione. Sul tema dirimente legge e contratto abbiamo già detto. Un altro fra i punti più controversi attiene al “datore di lavoro”. Possiamo cercare di fare chiarezza su questo punto?
C. Marzuoli: Il modello più coerente con il carattere non più statale dell'istruzione e con i principi di imparzialità e
di buon andamento induce ad un mutamento del soggetto datore di lavoro che non può più essere lo Stato.
L'alternativa che merita maggiore attenzione è quella fra Regioni ed Istituti scolastici. Per poter scegliere, occorre innanzitutto chiarire che cosa si deve intendere per datore di lavoro. Si intende essenzialmente:
• il soggetto titolare di un potere di intervento normativo, nei limiti consentiti dalla normazione nazionale e con salvezza degli ambiti rimessi alla contrattazione collettiva;
• il soggetto che partecipa a quell'organismo che sarà chiamato a dare direttive per la contrattazione all'ARAN e che partecipa quindi alla determinazione, innanzitutto, delle risorse da destinare alla contrattazione a livello nazionale.
Il datore di lavoro non coincide invece, necessariamente, con l'organismo presso il quale si presta l'attività e dunque con l'organismo da cui si dipende per i profili funzionali (concernenti lo svolgimento dell'attività), che rimane l'istituto scolastico.
Con queste precisazioni la scelta più plausibile cade sulle Regioni, non sull'Istituto scolastico, che si trasformerebbe in una ”statalità mascherata”.
A. Cenerini: In questa ipotesi quale ruolo potrebbe rivestire l'istituto scolastico nel reclutamento?
C. Marzuoli: Il problema si pone in termini non molto dissimili per il reclutamento e per i trasferimenti. Parlerei pertanto in generale di modalità di attribuzione dei posti. Occorre certamente considerare il particolare valore dell'autonomia dell'Istituto, che bisogna però subito contemperare con l'esigenza di evitare rischi (non secondari, data la no vità) di troppo radicale “personalizzazione” degli Istituti. Per questo io porrei una distinzione puramente quantitativa (in ipotesi 50%) a cui agganciare la diversità del soggetto responsabile dell'attribuzione dei posti.
A. Cenerini: Quindi la responsabilità della copertura dei posti vacanti (sia per immissione in ruolo sia per trasferimento) sarebbe in parte attribuita all'Istituto scolastico e in parte alla Regione. Stabilito questo e la percentuale di posti su cui i due diversi soggetti hanno facoltà di intervenire, si tratta di definire con quali procedure.
C. Marzuoli: Stabilito, ovviamente, che possono concorrere solo i docenti in possesso dei requisiti di legge
(specifica abilitazione), si tratta di scegliere la procedura concorsuale da utilizzare da parte della Regione e da
parte dell'Istituto scolastico. Per quanto concerne la Regione si tratta di un concorso: per i trasferimenti sicuramente in base a titoli, sottoposti a valutazioni non discrezionali, per quanto riguarda l'immissione in ruolo si tratta invece di ragionare in maniera complessiva su “formazione e reclutamento”. Per quanto concerne l'Istituto scolastico, la procedura concorsuale non dovrebbe essere dissimile per le due operazioni: immissione in ruolo e trasferimento. Ritengo che si potrebbe utilizzare quella che all'Università viene definita “valutazione comparativa”.
La valutazione comparativa potrebbe essere così caratterizzata:
• titoli di merito e colloquio,
• requisiti di specie indicati dall'Istituto,
• commissione di valutazione mista che si potrebbe ipotizzare costituita da (almeno) il Dirigente o suo delegato e due docenti di pari livello e in prospettiva appartenenti alla fascia dei docenti “esperti” (un termine che qui vuole semplicemente indicare la diversificazione della carriera e delle tipologie di docenti),
di cui uno appartenente all'Istituto ed uno esterno
• competenza per la parte procedurale burocratica alla Regione
A. Cenerini: Hai toccato un altro dei punti nevralgici, irrisolto da decenni, che è quello della carriera docente. Su
questo punto si scontrano da sempre due linee. La prima ritiene che vada per così dire “premiato” il merito all'interno dell'”unicità” della funzione. Per intenderci quella che normalmente viene definita “merit pay”. Si dà cioè
un premio alla “produttività”, che nel nostro caso sarebbe la qualità dell'insegnamento, la didattica ecc. Un
aggiornamento, in breve, dell'antico “merito distinto”. L'altra linea, ed è quella che ha sempre sostenuto l'ADi, si richiama alla “ individuazione di nuove figure professionali del personale docente” previste, ma mai realizzate, dalla legge 59/97, art. 21, c. 16.
C. Marzuoli: Teoricamente le due proposte possono convivere, ma non vi è dubbio che attualmente l'esigenza irrinunciabile è la determinazione di uno sviluppo di carriera che abbia il carattere della stabilità, che comporti diritti
e responsabilità ulteriori, senza che questo implichi necessariamente distacco dall'insegnamento, e che preveda
una retribuzione di base maggiore. In questo senso è necessario definire una fascia differenziata, quella che ho definito dei “docenti esperti”. Vanno poi determinate le percentuali di posti da assegnare e le modalità di accesso.
A. Cenerini: Sulle modalità di accesso che ipotesi si possono fare?
C. Marzuoli: Propenderei per l'utilizzo della “valutazione comparativa”, ma si può approfondire, ovviamente.
A. Cenerini: Credo che abbiamo toccato le questioni nodali, prossimamente una definizione puntuale dell'intero stato giuridico!
Un grazie caloroso a entrambi per questo ulteriore contributo che ci avete offerto, insieme alla speranza e all'augurio che il dibattito sulle priorità che insieme abbiamo individuato possa diffondersi e arricchirsi.