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Voce alla Scuola: IL NUOVO ESAME DI STATO: APRIAMO UN DIBATTITO

Opinioni
da ScuolaOggi
Venerdì, 11 Agosto 2006

La proposta del nuovo esame, una partenza con il piede giusto

In primo luogo, soddisfazione. Sia per lo strumento scelto, il disegno di legge, che permette l'acquisizione di proposte emendative e integrazioni non solo del parlamento, ma anche del mondo della scuola; sia per i contenuti, che rispondono in larga misura alle attese di quanti hanno a cuore una scuola pubblica che ridia qualità ai processi formativi e motivazione e senso a docenti e studenti.
Lo schema proposto è in effetti qualcosa di più di un disegno che guardi solo agli Esami di stato. Infatti, l'art. 2 prefigura percorsi di formazione, ai fini delle scelte post diploma, e di collaborazione tra scuola e università che colgono esigenze effettive di studenti e operatori di entrambi i settori formativi. Ma di questo argomento si potrà parlarne in un approfondimento specifico.


In questa nota preme piuttosto entrare nel merito delle proposte ministeriali per qualche commento e qualche suggerimento integrativo o correttivo.
Registriamo in primo luogo le scelte caratterizzanti sul piano del funzionamento:


- il ritorno alle commissioni miste che è da ritenere, in questa fase, la più funzionale all'obiettivo di ridare dignità all'esame di stato;

- il presidente della commissione (uno per ogni due classi quinte) sottratto ad un ruolo puramente notarile e messo in grado di presiedere alle varie operazioni e garantirne, non solo sul piano burocratico-formale, efficacia e correttezza;

- l'aumento del credito scolastico (da 20 a 25 punti) che valorizza l'impegno degli studenti nelle classi precedenti e ne responsabilizza il ruolo;

- le modalità di svolgimento della seconda prova scritta per gli Istituti tecnici, professionali e d'arte e per i licei artistici dovrà tener conto della dimensione tecnico-pratica e laboratoriale delle discipline coinvolte;

- la reintroduzione dell'ammissione agli esami sulla base di due requisiti: la valutazione positiva dell'alunno in sede di scrutinio finale; il saldo di tutti i debiti formativi contratti negli anni precedenti.

Ritengo queste scelte opportune e felici nell'attuale situazione. Probabilmente, a processi di riforma del secondo ciclo ridefiniti, ci sarà bisogno di interventi di natura anche molto diversa. Qui il giudizio di opportunità ha come necessario riferimento l'attuale situazione della nostra scuola superiore e la necessità di mandare segnali tendenti a porre un freno alla dequalifizazione e alla demotivazione in atto; dequalificazione e demotivazione, indotti in buona parte dalla riforma Moratti dell'Esame di Stato, ma non solo. Le scelte del disegno di legge rispondono in effetti alle attese del mondo della scuola, quasi coralmente espresse, anche recentemente, in tutte le sedi e con i più vari strumenti. E perciò vanno salutate con soddisfazione.
I necessari processi di riforma delle Superiori, da riattivare al più presto, ci diranno, all'occasione, rispetto a questo nuovo modello di esami, in che direzione cambiare e cosa.


Ciò premesso, vorrei fare qualche considerazione ulteriore, partendo da alcuni interrogativi, sollecitati dalla lettura del testo e dall’esperienza di questi anni, e sviluppando ipotesi di lavoro che rendano più visibile anche il taglio innovatore e riformista del nuovo modello. Propongo di seguito gli interrogativi che avverto come più significativi, senza un ordine preciso di priorità:

- L'autonomia dello studente (come obiettivo didattico e formativo) nelle prove previste, e soprattutto nella prova orale, ha, nel testo proposto, una sottolineatura adeguata? Come darle centralità nell'azione didattica e peso adeguato in sede di esami? La centratura della prova orale su "tesine", ricerche, "prodotti" - come risultato di un lavoro che si sviluppi in tutto l'anno scolastico e prova dei livelli effettivi di autonomia dello studente (perseguita unitariamente dal Consiglio di classe e coltivata individualmente) – non può essere una ipotesi da riprendere e rafforzare?

- E’ riconosciuto a sufficienza, in termini di credito scolastico, l'impegno degli studenti negli anni precedenti? La proposta di 25 punti, rispetto ai 20 attuali, la si ritiene soddisfacente? O bisognerebbe prospettare un punteggio più elevato? Per esempio, 30?)

- La riproposizione della prima prova, negli stessi termini in cui l'abbiamo sperimentata in questi anni, risponde a obiettivi di funzionalità ed efficacia o non riproduce di fatto, per come è stata realizzata, la centralità di una cultura umanistica che, nei termini in cui viene proposta, dice poco e sa di poco, anche se si presenta sempre in veste pretenziosa? (Le tracce quest'anno per la prima prova riempivano 8 fittissime pagine; l'anno scorso, 9, o forse più). In altri termini, "le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato" perché non accertarle attraverso le altre prove scritte da strutturare in tal senso?

- In che senso la terza prova scritta deve essere espressione dell'autonomia delle singole scuole? L'esperienza di questi anni, non certo entusiasmante, ne giustifica il mantenimento? Perché non pensare piuttosto ad una terza prova omogenea a livello nazionale (gestita dall'INValSI?) per i vari tipi di scuola, che punti all'accertamento dei livelli di padronanza dei saperi alti di cittadinanza attiva dei nostri studenti? E orienti conseguentemente l'offerta formativa delle nostre scuole in quella direzione? Si può eventualmente pensare, a integrazione della prova di livello nazionale, ad una parte, gestita autonomamente dalla commissione, tendente ad accertare saperi e competenze perseguiti attraverso progetti innovativi e sperimentali di scuola?

- La riproposizione - opportuna - dell'ammissione agli esami stato (con la relativa valutazione positiva nelle discipline del Piano Studi) è conciliabile con i contenuti dell'esame, sostanzialmente identici a quelli già valutati in sede di scrutinio finale? La commissione mista fa certamente la differenza. Ma perché non pensare ad un esame di stato che si qualifichi (caratterizzi) in base all'indirizzo? E quindi assuma come oggetti valutativi essenzialmente, se non esclusivamente, il profilo in uscita per i vari tipi di scuola?

- La dimensione tecnico-pratica e laboratoriale è opportuno recuperarla attraverso una prova scritta (la seconda) o non piuttosto nella prova orale in cui "saper fare" e competenza operativa sono più facilmente verificabili?

- La valutazione positiva in sede di scrutinio finale, necessaria ai fini dell'ammissione, come va intesa? Valutazione positiva in tutte le materie o giudizio complessivamente positivo, pur con qualche insufficienza in alcune materie, controbilanciata da risultati più che sufficienti in altre materie (tipo modello di ammissione agli Esami di Qualifica negli Istituti professionali)?

- Lo sbarramento - sempre ai fini dell'ammissione - costituito dai debiti non saldati è la scelta giusta? Personalmente penso di sì per una serie di ragioni che le scuole conoscono bene. Qualcuno può ritenerla però troppo penalizzante. E’ possibile, allora, ragionare, almeno in via di ipotesi, sulla opportunità di introdurre penalizzazioni più nette dei debiti non saldati (per esempio, un punto in meno per ogni debito), che sposti però in sede di esami di stato la valutazione sulla formazione complessivamente maturata? (Nel senso che il non assolvimento non pregiudicherebbe l'ammissione, ma peserebbe, in modo evidente e significativo, sul giudizio finale e sugli stessi esiti dell'esame).

Concludo ribadendo che, in ogni caso, già questa proposta ministeriale, pur nei termini prospettati, rappresenta un buon passo in avanti in direzione di una scuola che punti alla qualità e al recupero di senso.

Antonio Valentino








    a ScuolaOggi
Venerdì, 11 Agosto 2006

Il nuovo esame di Stato: apriamo un dibattito

La nota di Valentino sul disegno di legge sull’esame di Stato va letta come l’apertura di un dibattito che ci deve accompagnare da qui alla discussione parlamentare autunnale ed oltre fino alla stesura del regolamento attuativo, il quale, com’è noto, costituisce di fatto, per una legge, la fonte a cui chi opera nel concreto deve pur sempre riferirsi.
Il nuovo ministro è partito bene ed è giunto in breve tempo alla formulazione di un’ipotesi di cambiamento di tutto rispetto. Ed è, appunto, sull’ipotesi valida che occorre intervenire perché sia possibile apportarvi tutti gli ulteriori emendamenti aggiuntivi necessari a rendere non solo più credibile ma anche più efficace un esame che da troppi anni è in sofferenza e che è pur sempre una tappa importante per la crescita dei nostri giovani e del nostro stesso Paese.


Sono d’accordo con tutto ciò che Valentino dice e vorrei riprendere, pur se brevemente, solo due questioni, una da lui diligentemente affrontata, l’altra – non so perché – dimenticata.

Prima questione: la prima prova scritta – La legge 425/97 è molto chiara in merito: “La prima prova scritta è intesa ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua in cui si svolge l’insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche del candidato, consentendo la libera espressione della personale creatività”. Nella legge non si parla affatto di tema, che si considera una prova per molti versi superata. Esplicitamente di tema si parlava, invece, nella precedente legge di riforma, la numero 119/69 (dovuta al ministro Fiorentino Sullo), dove, all’articolo 5 leggiamo: “La prima prova scritta consiste nella trattazione in italiano di un tema scelto dal candidato fra quattro che gli vengono proposti e che tende ad accertare le sue capacità espressive e critiche”. In seguito, a distanza di trent’anni, anche in virtù dei tanti suggerimenti che nel frattempo sia la ricerca educativa che quella linguistica avanzavano, con la nuova formulazione il legislatore intendeva proporre alla scuola modalità diverse e innovative di elaborazione scritta. Le scuole sembrarono, però, “spaventate” a fronte di una proposta così ardita e lo stesso ministro Berlinguer rassicurò docenti e studenti che il tanto caro tema non sarebbe stato depennato del tutto. Così, in sede di regolamento attuativo si giunse ad una formulazione cautelativa e, di fatto, correttiva del testo legislativo. Ed a quel testo venne aggiunto questo secondo testo: “…essa (la prima prova scritta, nda) consiste nella produzione di uno scritto scelto dal candidato tra più proposte di varie tipologie, ivi comprese le tipologie tradizionali…”. Così, tra le mille possibili tipologie innovative ne vennero scelte tre: l’analisi del testo, il saggio breve e l’articolo di giornale. Accanto a queste figurarono il tema storico (elegantemente definito come “sviluppo di un argomento di carattere storico…”) e quello di attualità (“trattazione di un tema su un argomento di ordine generale…”).

Così, invece di invitare le scuole ad attrezzarsi per rinnovare l’insegnamento linguistico ed esortarle a trovare nuove strade per l’elaborazione scritta, si scelse la via di mezzo, molto all’italiana! E non è un caso che, a otto anni di distanza dal “nuovo” esame, Valentino giustamente ancora lamenti la farraginosità delle prime prove scritte proposte dal Ministero. Caro Valentino! Le vie di mezzo non sono mai le strade migliori per cambiare! La critica di Valentino si appunta soprattutto (appare in un suo scritto di qualche tempo fa) sul saggio breve. E qui la cosa è veramente risibile! Io non so chi abbia consigliato al Ministro la strada che allora scelse! Il fatto è, semplicemente che quel mucchio di carte che inviano ai candidati non è affatto lo “stimolo” per un saggio breve, semmai lo è per un saggio lungo! Accade a Valentino, a me e a chiunque sia solito scrivere saggi: vi sono sempre delle fonti, delle occasioni, degli abbrivi, in positivo o in negativo, delle carte sparse sulla scrivania sulle quali si innesta un discorso, una disanima, si sostiene una tesi! Ma il saggio breve che ci ha affidato la tradizione linguistica e docimologica è un’altra cosa: su un determinato argomento che si propone agli studenti, si individuano una serie di questioni chiaramente definite e circoscritte su ciascuna delle quali ciascuno di loro deve esprimersi entro tempi e spazi determinati. Il che consente al soggetto di evitare divagazioni inutili, di non “andare fuori tema”, di abituarsi ad un linguaggio essenziale, non retorico né ridondante; e consente all’insegnante di stabilire in anticipo – e renderli noti, eventualmente, al soggetto – i criteri di correzione degli elaborati.

Caro Valentino! Sono anni che torturiamo commissari e candidati con un prova campata in aria, e che con un esame non può avere nulla a che fare!

Seconda questione: la certificazione delle competenze – Otto anni fa abbiamo lanciato un esame di Stato assolutamente innovativo – non lo volemmo più chiamare di maturità! – perché ci siamo resi conto – ed il legislatore lo dice esplicitamente – che il concetto di maturità è quanto di più incerto possa esserci e che, invece, quello che conta sono i reali saperi che lo studente ha acquisito e le modalità con cui questi saperi utilizza quando deve affrontare un problema! Ne parlammo tanto allora e Valentino lo ricorderà. Dalla maturità alle competenze! E non era uno slogan! Un salto di qualità non indifferente, che, però, ancora non siamo stati capaci di compiere, o meglio, di far compiere ai nostri giovani! L’introduzione dei punteggi in sostituzione di voti doveva servire a questo: a cominciare a “dare trasparenza alle competenze conoscenze e capacità acquisite secondo il piano di studi seguito” (art. 6 della legge). Una competenza non puoi definirla né con un voto né con un aggettivo! Se Mario ha “preso” dieci o ottimo, in italiano, matematica, ecc. non so se è un eccellente cuoco o un bravo chirurgo! La misurazione per punteggi doveva essere il primo passo per dare i primi contenuti certi alla certificazione di una competenza. Ma le competenze vanno definite e descritte! E preventivamente. Altrimenti si rimane a mezza strada (ed ancora ci siamo!). La letteratura sulle competenze è sterminata! Ma anche la pigrizia della nostra amministrazione non ha limiti! La Moratti, poi, ha combinato solo guai! Ha scritto un Pecup che non dice nulla e non serve a nulla, e ha scritto migliaia di Osa impasticcatissimi! Siccome sono un buono, potrei dire che il Pecup è al di là delle competenze e che gli Osa sono al di qua! E al centro che cosa c’è? Il vuoto! Ambedue non servono a nulla!

Quello che mi domando – e che ti domando, Valentino! – è questo: riusciranno… i nostri eroi del nuovo Mpi ad affrontare un buona volta questa questione? E’ certo che non è affatto cosa semplice individuare, definire, descrivere competenze terminali… chiamali standard, chiamali livelli essenziali dei saperi, chiamali traguardi formativi, ma che siano “cose” chiare e nette che i nostri studenti devono acquisire – siamo a livello di diploma rilasciato a un diciannovenne, ricordalo! – e che i nostri insegnanti adottino come meta dei percorsi curricolari che programmano! E’ su questa questione che si gioca la credibilità stessa del nostro sistema di istruzione! In effetti ce lo chiedono le Università, il mondo del lavoro, l’Europa anche! Oppure, non se ne vuole fare nulla? Si vuole continuare con la “migliore” linea gentiliana delle discipline ben scandite con i loro bravi libri di testo e i quadri orari settimanali o annuali che siano? Allora, si abbia il coraggio di dirlo! Ma poi non lamentiamoci se gli studenti si annoiano, gli insegnanti si demotivano, le ricerche internazionali ci mazzolano e gli obiettivi di Lisbona sono soltanto un irraggiungibile miraggio!

Maurizio Tiriticco





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Postato il Sabato, 12 agosto 2006 ore 01:15:45 CEST di Silvana La Porta
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