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Umanistiche: LA SCUOLA NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Rassegna stampa
Diritto all'istruzione e diritto allo studio
 di Maria Rosaria Ricci*

 

L'analisi dell'art. 34 della Costituzione impone una preliminare indagine di tipo terminologico, volta a chiarire se esiste e qual è la differenza fra diritto all'istruzione e diritto allo studio.
 La necessità di tale chiarimento si spiega in ragione del differente impiego, da parte degli studiosi, dell'una o dell'altra delle due espressioni. Parte consistente della dottrina preferisce la prima, ritenendola giuridicamente più corretta rispetto alla locuzione «diritto allo studio» (Mastropasqua, Pototschnig, Ruscello); altri autori, al contrario, pur non negando la maggiore correttezza formale e giuridica dell'espressione «diritto all'istruzione», reputano più opportuno parlare di «diritto allo studio»: tale formula sarebbe più moderna e meglio esprimerebbe la nuova fondamentale funzione dell'istruzione, che non è quella di trasmettere un bagaglio culturale già acquisito, bensì quella di garantire la promozione e lo sviluppo della personalità dello studente (Atripaldi, Bruno, Meloncelli).
 Sicuramente interessante è poi l'orientamento di chi utilizza l'uno e l'altro dei due termini, attribuendo a ciascuno di essi un significato suo proprio (De Simone, Fancellu, Mazziotti Di Celso).
 Per «diritto all'istruzione» s'intende quello all'istruzione inferiore, di cui sono titolari tutti gli alunni della scuola dell'obbligo.
 L'espressione «diritto allo studio» indica, invece, il diritto di raggiungere i gradi più elevati degli studi, da riconoscersi non indistintamente in capo a tutti gli studenti, ma solo a quanti fra essi presentino specifici requisiti: capacità, merito, appartenenza a famiglie in condizioni economiche disagiate («privi di mezzi»); perciò si parla di diritto all'istruzione superiore.
 Quest'ultimo orientamento merita attenzione non solo perché soddisfa quell'esigenza di chiarezza cui poc'anzi si accennava, ma soprattutto perché trova la sua giustificazione proprio nel disposto costituzionale in esame.
 L'art. 34 Cost., infatti, dà fondamento al diritto all'istruzione nel suo secondo comma; il diritto allo studio si deduce, invece, dalla formulazione del comma successivo

Apertura della scuola a tutti e diritto all'istruzione inferiore
L'articolo in commento ha rappresentato una novità di grande rilievo rispetto al passato - dato che nello Statuto albertino non vi era riferimento alcuno né alla situazione giuridica ora tutelata né, più in generale, alla tematica scolastica - e ha costituito al tempo stesso una svolta nella legislazione ordinaria successiva, che ha introdotto una più articolata e organica disciplina della materia.
 La stessa disposizione ha fatto, però, a lungo discutere i padri costituenti e continua a far parlare gli studiosi dei giorni nostri.
 Il suo primo comma, che proclama la scuola aperta a tutti, solleva non poche questioni, alcuni interpreti riferendolo al primo gradino della scuola in generale, altri al primo gradino di ogni corso di studi. Qualche critico, inoltre, in maniera decisamente riduttiva, coglie in questa formula di apertura semplicemente un diritto all'iscrizione scolastica; i più, a ragione, la leggono quale consacrazione del diritto ad ottenere un'istruzione adeguata, necessaria alla formazione della personalità e all'assolvimento dei compiti sociali.
 La necessità di aprire la scuola a tutti denuncia, a quanto sembra, la volontà dei costituenti di fare in modo che l'istruzione, cessando di essere privilegio di pochi, potesse finalmente diventare diritto di tutti. E questo è il senso da dare alla proposizione in esame: essa sancisce il principio della non discriminazione ed il divieto di configurare l'istruzione come appannaggio di categorie determinate di persone, quelle situate più in alto nella scala sociale.
 A mente del secondo comma, l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
 Il legame fra le due caratteristiche è chiaro: l'imposizione di un obbligo, per adempiere al quale è previsto un sacrificio economico, non può che sposarsi con la garanzia della non onerosità dell'attività necessaria a tale adempimento.
 L'affermazione della gratuità e dell'obbligatorietà riferite all'istruzione consente di comprendere come nella statuizione in esame trovi fondamento da un lato, come si diceva, un diritto - inteso non già in senso generico, ma specificamente quale diritto all'istruzione inferiore - dall'altro un vero e proprio obbligo o dovere di istruzione. Le due situazioni giuridiche fanno capo ad un unico soggetto: l'alunno, che può soddisfare il diritto attraverso la gratuità ed adempiere all'obbligo mediante la frequenza a scuola.
 La correlazione diritto-dovere chiama in causa, è ovvio, anche la pubblica amministrazione: affinché il diritto all'istruzione possa essere soddisfatto, questa deve adoperarsi e porre in essere ciò che è necessario allo scopo.
 Il punto cruciale è proprio questo: cosa deve fare la pubblica amministrazione perché il diritto all'istruzione possa essere concretamente garantito?
 Può rispondersi che deve assicurarne la gratuità. In tal modo, però, altro non si fa se non spostare i termini del problema. Rendere gratuita l'istruzione significa esonerare semplicemente dal pagamento delle tasse di iscrizione a scuola, o vuol dire mettere a disposizione degli alunni tutto ciò che serve (i mezzi necessari) per consentire loro di adempiere all'obbligo scolastico e di esercitare, al tempo stesso, il diritto all'istruzione?
 Questa seconda accezione, più ampia e soddisfacente, trova fondamento proprio nel nesso che sussiste fra tale diritto e la caratteristica della gratuità: la garanzia del primo, difatti, si ritiene possa misurarsi nell'ampiezza della seconda.
 Quanto alla gratuità, si impone una precisazione. Spesso essa viene riferita indistintamente tanto all'istruzione inferiore quanto a quella superiore.
 Nel primo caso l'imputazione è senz'altro corretta, non foss'altro perché è lo stesso costituente che utilizza questa espressione. Qualche perplessità sorge, invece, con riferimento all'istruzione di grado superiore, nel qual caso più che di gratuità sarebbe opportuno parlare di sostegno statale a favore dei soggetti bisognosi, di assistenza da parte dello Stato che si traduce nell'attribuzione di borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze.
 Tra la gratuità della scuola obbligatoria e l'assistenza prevista per la fascia successiva vi è infatti una differenza considerevole. Mentre la prima è garantita a tutti, perché è dovere della società assicurare un minimo di istruzione agli alunni della scuola dell'obbligo, l'assistenza statale per gli studenti che percorrono i gradi più alti degli studi è riservata soltanto a una categoria di essi: i capaci e meritevoli privi di mezzi.
 Conferma di ciò si coglie nelle disposizioni di cui al terzo e al quarto comma, analizzate congiuntamente, nel paragrafo che segue, visto il nesso che le lega.

Riconoscimento ed effettività del diritto allo studio
Il riconoscimento del diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (terzo comma) può considerarsi un'affermazione di principio, che si completa e concreta nella previsione dei mezzi attraverso i quali renderlo effettivo (quarto comma).
 Dall'esame delle due disposizioni sembra emergere, innanzitutto, che per aversi diritto alle provvidenze non è sufficiente essere capaci o meritevoli; è necessario che si sia capaci e meritevoli nello stesso tempo. Il merito, cioè, non può essere disgiunto dalla capacità e viceversa. Su questo punto non pare vi siano contrasti in dottrina, e ciò probabilmente per la chiarezza dei costituenti al riguardo.
 Sicuramente più controverso è, invece, un altro aspetto. Perché si possano ottenere le provvidenze di cui parla il legislatore costituente è necessario che si sia capaci e meritevoli e privi di mezzi, oppure a esse hanno diritto anche i capaci e meritevoli che però abbiano mezzi sufficienti?
 Nonostante le differenti posizioni della dottrina al riguardo, si ritiene ragionevole cercare la risposta nella distinzione tra riconoscimento ed effettività, o, come si è osservato, fra diritto al proseguimento degli studi e diritto alle prestazioni patrimoniali.
 E allora, in quest'ottica, il diritto di raggiungere i gradi più elevati degli studi sarebbe riconosciuto a tutti, ma verrebbe reso effettivo, attraverso un intervento statale, soltanto per i privi di mezzi (Ruscello).
 Insomma, la Repubblica concede benefici agli studenti che, pur capaci e meritevoli, non potrebbero conseguire certi livelli perché economicamente impossibilitati. Per coloro che, capaci e meritevoli, hanno mezzi propri, il diritto ai gradi più alti degli studi viene garantito in base alle norme che regolano l'accesso a scuola; non c'è bisogno, cioè, di un particolare intervento di sostegno.
 Questo sembra il senso da attribuire alle disposizioni in parola. Esso scaturisce da un'interpretazione non semplicemente letterale - la quale, anzi, rischierebbe di essere fuorviante a causa di quella «improprietà nel testo costituzionale» (Ospitali) rappresentata dall'uso dell'espressione “anche se privi di mezzi”, che non parrebbe escludere gli studenti in possesso degli stessi - bensì di tipo logico-sistematico, che tiene conto, cioè, non solo dell'articolo da interpretare, ma anche di altre statuizioni allo stesso legate e dei principi generali desumibili dalla Costituzione.
 Tralasciando altri riferimenti, non può farsi a meno di notare che il diritto allo studio rappresenta uno degli strumenti più importanti per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (fra cui quelli legati all'istruzione) e per dare attuazione, quindi, a quell'eguaglianza sostanziale fra cittadini abbienti e meno abbienti che è alla base dell'art. 3 Cost. (secondo comma).
 Tra diritto allo studio e principio di uguaglianza si coglie un evidente nesso di reciprocità: se non si tutela il primo non può garantirsi l'uguaglianza fra i cittadini; del pari, se non si assicura l'uguaglianza o, meglio, se non si rimuovono gli ostacoli economici che creano differenziazioni, non si può consentire ai capaci e meritevoli, privi di mezzi, di raggiungere i gradi più elevati degli studi.

 *Funzionario della Provincia di Roma, cultore delle materie di Istituzioni di Diritto pubblico (Università L.U.M.S.A. - Facoltà di Lettere e Filosofia) e di Diritto amministrativo (Università “La Sapienza - Fac. Scienze politiche). Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Diritto allo studio e assistenza economica agli universitari (Archivio Giuridico 1997), Il diritto allo studio (U.R.P.L. 1997).









Postato il Sabato, 08 luglio 2006 ore 00:30:00 CEST di Silvana La Porta
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