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Leggi: LE REVISIONI COSTITUZIONALI

Comunicati
Le revisioni costituzionali
 di Claudio De Fiores*

 

Le leggi di revisione costituzionale
La costituzione italiana non può essere modificata da leggi ordinarie, né tanto meno attraverso eccezionali deroghe o procedure informali. Per modificare la Costituzione è necessario ricorrere all'adozione di leggi di revisione costituzionale.
 Le leggi di revisione sono leggi sovraordinate rispetto alle leggi ordinarie. Solo esse sono in grado di incidere (attraverso modifiche, disposizioni aggiuntive, abrogazioni) sul testo della Costituzione. Ciò non deve tuttavia indurre a ritenere che attraverso le revisioni costituzionali sia possibile addivenire a revisioni totali della Costituzione o sia, addirittura, possibile procedere alla fondazione di un nuovo ordinamento costituzionale. Il potere di revisione costituzionale è un potere costituito, giuridicamente delimitato e nettamente separato dal potere costituente che è, invece, un potere extra ordinem destinato a irrompere nei grandi momenti della storia (eventi rivoluzionari, disgregazione di imperi, lotte di liberazione, fine di dittature o di guerre). D'altronde ciò è quanto è avvenuto anche in Italia dove il processo costituente, avviato dai partiti politici antifascisti, protagonisti della Resistenza, si è in breve tempo risolto nella convocazione di una grande Assemblea costituente alla quale il "popolo sovrano", il 2 giugno 1946, ha assegnato il compito di redigere la Costituzione della Repubblica italiana.

I limiti del potere di revisione
 Il potere di revisione non può quindi essere impiegato per instaurare un nuovo ordine costituzionale, ma ha il solo fine di assestare determinati istituti e di adattare singole norme costituzionali alle nuove ed emergenti istanze della vita civile, politica e sociale della nazione.
 Non ogni singolo aspetto della Costituzione è però revisionabile. L'art. 139 Cost. stabilisce, infatti, che "la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale". Tale limite deve essere però inteso non solo in senso letterale (come divieto di restaurazione della forma di stato monarchica), ma estensivamente, coinvolgendo in tale definizione gran parte dei principi costituzionali che essendo coessenziali alla forma repubblicana e al suo sviluppo devono necessariamente essere ritenuti, a loro volta, irrivedibili. E la ragione è evidente: i caratteri della forma repubblicana non sono altro che i caratteri della Repubblica così come espressi nel primo articolo della nostra Costituzione ("L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione") e in quelli immediatamente successivi. Da ciò ne deriva che sono parte integrante della forma repubblicana: il principio democratico (art. 1); la garanzia di tutela dei diritti politici, civili e sociali (art. 2); l'ispirazione sociale ed egualitaria della Repubblica che ha il compito di "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" (art. 3); il fondamento lavorista (art. 1 e 4); l'unità e l'indivisibilità della Repubblica (art. 5).

Il procedimento di 'revisione costituzionale'
 Il procedimento di 'revisione costituzionale' è disciplinato dall'art.138 della Costituzione. Esso si compone di due fasi: una fase necessaria che si svolge integralmente in Parlamento e una fase eventuale che coinvolge, invece, tutti i cittadini.

La fase necessaria
Nel corso della prima fase dell'iter legis è prevista una doppia deliberazione da parte dei due rami del Parlamento "ad intervallo non minore di tre mesi" (cd. pausa di riflessione). La prima di queste deliberazioni può essere assunta a maggioranza relativa (è sufficiente, cioè, che i sì superino i no). Nella seconda deliberazione tale maggioranza non è più ritenuta adeguata e per poter procedere alla riforma della Costituzione sarà, quindi, necessario raggiungere un quorum più alto.
 Qualora il progetto di legge venga approvato da una maggioranza particolarmente ampia, pari almeno ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera (maggioranza qualificata), il procedimento si esaurisce: la revisione costituzionale ha avuto successo e bisognerà ora provvedere all'entrata in vigore delle nuove disposizioni. La legge viene, allora, trasmessa al Presidente della Repubblica per la promulgazione e successivamente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

La fase eventuale
 La fase eventuale ha, invece, inizio qualora la legge - anche in una soltanto delle due Camere - sia stata approvata solamente con la maggioranza assoluta (cioè con la metà più uno dei componenti dell'assemblea e non con quella dei due terzi).
 In questo caso, il testo, una volta approvato, viene immediatamente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in modo da darne ampia pubblicità e consentire, nei successivi tre mesi, la possibilità di richiedere un referendum popolare sulla riforma. Ai sensi del secondo comma dell'art. 138 Cost. potranno richiedere referendum: una frazione del corpo elettorale (cinquecentomila elettori), una componente delle autonomie territoriali (cinque consigli regionali), le minoranze politiche (un quinto dei componenti di ciascuna Camera).
 Com'è evidente il referendum popolare delineato dall'art. 138 è un vero e proprio referendum oppositivo attraverso il quale le minoranze organizzate (nel Paese, sul territorio, in Parlamento) intendono contrastare una revisione della costituzione che, non essendo stata adottata a maggioranza qualificata, potrebbe surrettiziamente incrinare il carattere pattizio della nostra Carta fondamentale.
 Ma la tensione garantista (il c.d. favor constitutionis) che anima il procedimento di revisione costituzionale è confermata anche da un altro ulteriore elemento: l'art. 138 non contempla (a differenza di quanto previsto per il referendum abrogativo su leggi ordinarie) alcun quorum di partecipazione ai fini della validità della consultazione referendaria. Ciò significa, in altre parole, che anche una ristretta componente di cittadini contrari alla revisione potrebbe, con la propria attiva partecipazione al voto (e 'approfittando' dell'astensione dalla maggioranza degli elettori), sbarrare definitivamente la strada all'entrata in vigore di una legge di revisione costituzionale.

Le revisioni costituzionali in Italia nel periodo 1948-99
 Il potere di revisione, come si è già detto, consente solo puntuali e circoscritti interventi sul testo costituzionale. E non vi è dubbio che questo sia stato il significato e la portata delle numerose revisioni della Costituzione intervenute nella prima fase della storia costituzionale repubblicana (1948-1999). In quegli anni si è proceduto all'approvazione di ben ventincinque leggi costituzionali e di revisione costituzionale che hanno, tra l'altro, riguardato: le modalità di elezione di Camera e Senato e la durata della legislatura (L. Cost. 9 febbraio 1963, n. 2); il numero delle Regioni (L. Cost. 27 dicembre 1963, n. 3); la composizione della Corte (L. Cost. 22 novembre 1967, n. 2); la responsabilità penale dei ministri (L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1); il potere di scioglimento del Capo dello Stato (L. Cost. 4 novembre 1991, n. 1); le modalità di concessione dell'amnistia e dell'indulto (L. Cost. 6 marzo 1992, n.1); l'istituto dell'immunità parlamentare (L. Cost. 29 ottobre 1993, n. 3); l'autonomia statutaria delle Regioni (L. Cost. 22 novembre 1999, n. 1).

Le nuove tendenze del "revisionismo costituzionale"
 Diverse sono invece le tendenze del "revisionismo costituzionale" che si sono venute consolidando in questi ultimi anni in Italia, dove a partire dal 2000 - fatte salve due puntuali revisioni costituzionali (quella relativa alla XIII disposizione transitoria che ha posto fine al "divieto di ingresso" in Italia per i membri e i discendenti di Casa Savoia - L. Cost. 23 ottobre 2002, n. 1; e quella che ha introdotto in Costituzione il concetto di "pari opportunità tra donne e uomini" - L. Cost. 30 maggio 2003, n. 1) - si è proceduto alla stesura di veri e propri progetti organici di riforma della Costituzione. Il primo sfociato nella L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3 che ha modificato le disposizioni del Titolo V della Costituzione (concernente l'organizzazione costituzionale delle Regioni, Province e Comuni). Il secondo (pubblicato sulla G.U. 18 novembre 2005, n. 269) proteso a investire tutta la seconda parte della Costituzione e la cui entrata in vigore o meno dipenderà soltanto dall'esito del referendum costituzionale che si svolgerà il prossimo 25 giugno.
 Tre sono le 'peculiarità' che differenziano significativamente queste iniziative di revisione costituzionale rispetto alle precedenti:
 a) l'oggetto della riforma costituzionale non è più costituito da singole e circoscritte disposizioni normative, ma tende esponenzialmente a coinvolgere, in un caso, un intero titolo della Costituzione (L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3) e, nell'altro, tutta la sua seconda parte (più di quaranta articoli).
 b) il progetto di riforma è stato in entrambi i casi approvato in Parlamento non sulla base di una larga intesa tra maggioranza e opposizione (come sarebbe sempre opportuno quando si va a incidere sulla "legge suprema" dell'ordinamento), ma dalle sole forze di governo.
 c) in entrambi i casi l'approvazione del progetto di revisione a maggioranza assoluta e dopo accesi contrasti tra gli opposti schieramenti politici ha comportato l'inedita richiesta (ciò infatti non era mai accaduto in precedenza) di un referendum costituzionale.
 Il primo referendum si è svolto nell'ottobre del 2001 e, avendo avuto esito confermativo, ha suggellato l'immediata entrata in vigore della legge di revisione del titolo V della Costituzione, così come precedentemente approvata in Parlamento.
 Il secondo referendum sulle "Modifiche alla parte II della Costituzione" si è svolto, invece, il  25 giugno. In quell'occasione gran parte dei cittadini si sono trovati di fronte a un vero e proprio dilemma essendo chiamati a misurarsi, con un unico voto, su un articolato e particolarmente complesso progetto di modifica della seconda parte della Costituzione (dalla concentrazione dei poteri di indirizzo politico nelle mani del primo ministro alla c.d. devolution). La formulazione del quesito referendario non consente, infatti, alcun distinguo e ammette per sua natura una sola scelta: prendere tutto o lasciare tutto.

 *Professore associato di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli








Postato il Venerdì, 07 luglio 2006 ore 00:05:00 CEST di Silvana La Porta
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