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Quesiti: VOTARE NO AL REFERENDUM, LE RAGIONI DI UNA SCELTA

Redazione
“Votare NO

perché la nostra comunità nazionale

non regredisca in modo irreversibile

e profondamente lacerante” .

Renza Bertuzzi, dal  sito nazionale della Gilda degli Insegnanti, 11/6/2006

 

 Abbiamo chiesto all’Avvocato Francesco di Matteo, responsabile del Comitato Dossetti per la Costituzione di Bologna di spiegarci tutti gli aspetti della Legge di revisione costituzionale su cui tutti i cittadini dovranno pronunciarsi al Referendum del 25 e del  26 giugno.

Ecco la sua ampia e approfondita analisi.  

 
  Il progetto

Il  progetto di legge costituzionale approvato dalla Camera dei deputati, in seconda votazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella seduta del 20 ottobre 2005, e dal Senato della Repubblica, in seconda votazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, nella seduta del 16 novembre 2005, con maggioranze inferiori ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, maggioranze racchiuse esclusivamente all’interno di quella espressa dal voto elettorale 2001, che ha dato vita al governo della Casa delle libertà presieduto dall’on. Silvio Berlusconi , porta un titolo significativo : “Modifiche alla Parte II della Costituzione” .

Tale progetto riscrive ben cinquantaquattro (54) articoli sugli ottantacinque (85) che compongono la  II  Parte .

In pratica, è stato sostituito l’intero “ordinamento democratico” vigente.

E’ falso affermare o ritenere che una tale “controriforma” della Costituzione non tocchi la I Parte, lasciando così immutati i diritti e le libertà dei cittadini.

E’ al contrario vero che la I Parte riconosce le libertà e pone dei principi che possono trovare realizzazione effettiva soltanto attraverso le regole contenute nella II Parte.

 Conseguentemente, sostituendo l’ “ordinamento democratico” prefigurato dai Costituenti con un altro tipo di ordinamento, realizzato sotto la spinta di orientamenti politici e culturali profondamente differenti da quelli che avevano animato i Costituenti, si viene a incidere in modo radicale sui principi affermati nella I Parte.
 Gli effetti

E’ stata modificata la “forma di Governo” e cancellata la “centralità del Parlamento”, organo attraverso il quale si dovrebbe esprimere la “sovranità popolare” in forma rappresentativa.

In tale modo si viene a incidere profondamente sulla natura e sulla sostanza del “principio democratico”
 Parte I della Costituzione

 La ferita al “principio democratico” si riflette immediatamente sul sistema dei diritti e delle libertà dei cittadini che sono riconosciuti in via di principio nella I Parte della Costituzione, mentre i confini concreti dei diritti e delle libertà sono rimessi al legislatore ordinario.

Ad esempio, per quanto riguarda la I Parte della Costituzione :

-  l’art. 13, primo comma, in materia di detenzione, perquisizione e altra restrizione alla libertà personale, lascia alla legge ordinaria di disciplinarne i   casi e i modi;

- l’art. 14, in materia di inviolabilità del domicilio lascia poi al legislatore ordinario la disciplina dei  casi   e  dei  modi   per eseguire ispezioni e sequestri;

-  l’art. 15, in materia di limitazioni alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra comunicazione, rimette alla legge ordinaria la disciplina;

- l’art. 16, in materia di libertà di circolazione e di soggiorno da parte dei cittadini dentro il territorio della Repubblica, lascia al legislatore ordinario di disciplinarne le limitazioni;

- l’art. 23, in materia di prestazioni personali e patrimoniali, rinvia la disciplina alla legge ordinaria.

Lo stesso “principio del ripudio della guerra”, che costituisce il nucleo duro del principio internazionalista o supernazionale, sebbene affermato in modo categorico e solenne dall’art. 11 della Costituzione, trova la sua garanzia di effettività soltanto nella II Parte, laddove è affidato alle Camere (art. 78) il compito di deliberare “lo stato di guerra”, e quindi di impedire che il nostro paese sia coinvolto in una avventura bellica quando non ricorra il presupposto costituzionale della difesa della patria (art. 52), e di autorizzare la ratifica dei trattati internazionali (art. 80), attraverso i quali passano scelte dirimenti in tema di pace e di guerra.

E cosa resta dei diritti e delle libertà sanciti dalla I Parte, formalmente intatti, quando le “leggi ordinarie” sono nelle mani di una Camera che il Primo ministro comanderà a bacchetta, ricattandola con la minaccia di scioglimento anticipato ?
 Parte seconda della Costituzione

La nuova  “forma di Governo” prevede l’ “abolizione del voto di fiducia” .

 Assume la carica di Primo ministro il candidato collegato a un partito o a una coalizione che abbiano raccolto più voti.

Sia il Presidente della Repubblica sia le Camere avrebbero un obbligo verso di lui.

Il Presidente della Repubblica perderebbe così il suo “ potere di nomina ” secondo l’art. 92 della Costituzione.

I Parlamentari avrebbero in tal modo un “ vincolo di mandato ” contro l’art. 67 della Costituzione.

Il Premier potrebbe sempre ottenere lo scioglimento della Camera.

 Qualora il Premier presentasse alla Camera una legge da lui ritenuta essenziale alla realizzazione del suo programma e la Camera non l’approvasse, il Premier avrebbe il potere di sciogliere la Camera con un  “tutti a casa”.

 Qualora la maggioranza lo sfiduciasse, seguirebbe lo scioglimento della Camera.

La cosiddetta “piccola sfiducia costruttiva” (mozione con il nome di un nuovo Primo ministro), che si sostiene sarebbe stata prevista per evitare lo scioglimento, è disciplinata in modo da renderla impraticabile.

Deve essere presentata e sottoscritta dalla metà più uno dei Deputati, ma (fare attenzione) tutti appartenenti al partito o alla coalizione formanti la maggioranza eletta con il Premier (gli altri parlamentari non contano).

Al Premier sarà sufficiente assicurarsi la fedeltà illimitata di una piccola fazione minoritaria per rimanere in sella e chiedere lo scioglimento.

Il Premier può così rimanere a Palazzo Chigi per un quinquennio se ha con sé un modestissimo manipolo di fedelissimi .

 Il Premier diviene  “assoluto”, ispirato a quella tendenza plebiscitaria che , com’è stato detto, spinge a “tradurre il potere sovrano degli elettori in una delega del medesimo al Primo ministro eletto” .

 Trattasi di una vera e propria eresia antidemocratica.

Se i Deputati devono decidere sotto il continuo ricatto dello scioglimento, la Camera è ridotta ad un organo di pura registrazione della volontà del Governo.

E’ la novità più incostituzionale e pericolosa.

 Cadono i pesi e i contrappesi al  “ potere esecutivo” .

 Presidente della Repubblica e Parlamento sono del tutto privi di poteri autonomi e di controllo.

 La cosiddetta  “devolution”, che impropriamente dà il nome alla legge costituzionale oggetto del referendum e che con particolare malizia ha nascosto la ben più grave sostanza di detta legge riguardante la “forma di governo”, aumenta ulteriormente i “poteri legislativi esclusivi”  delle Regioni, non solo in materie essenzialmente “nazionali”, come scuola e sanità, ma anche “in ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.

 Si opera in tal modo una “secessione di fatto” nelle “zone” costituzionali di uguaglianza e si forza la mano sui grandi sistemi nazionali.
Scuola e Sanità sono materie che attengono ai diritti sociali.
Per tutti e due questi diritti le prestazioni da offrire per assicurarne il godimento non possono subire differenziazioni, perché violerebbero il “principio di uguaglianza”.
Si avrebbe un ipotesi di violazione certa anche del “principio di solidarietà” di cui all’art. 2 della Costituzione.
L’idea stessa di “uguaglianza giuridica” dei cittadini stabilito dall’art. 3 della Costituzione verrebbe contraddetta palesemente e il processo di realizzazione dell’  “uguaglianza di fatto” delineato dall’art. 3 della Costituzione sarebbe relegato al rango di una morta utopia.
Ci troviamo a rischiare così la “secessione dei diritti” e la “frattura fiscale” tra Nord e Sud del  Paese.
 

Vi è poi addirittura una norma che facilita la frammentazione territoriale di Regioni e Comuni.

 Quella per cui al referendum per “formare nuove regioni” possono partecipare soltanto “i cittadini residenti nei comuni e nelle province di cui si propone il distacco dalla regione” esistente.

Si tratta dell’art. 53, commi 13 e 14, del progetto di legge costituzionale che sarà sottoposto a referendum, che farebbe saltare per cinque (5) anni le precise garanzie costituzionali richieste in materia dall’attuale art. 132 della Costituzione.

Le minacce all’unità nazionale che derivano dalla cosiddetta “devolution” sono reali.

 Qualora siano approvate, dobbiamo aspettarci un uso molto esteso dei poteri legislativi esclusivi da parte delle Regioni del Nord.

La realizzazione della “devolution” dipenderà, infine, soprattutto dalla composizione della maggioranza di Governo.

La Lega, ove insediata al Governo, potrà sempre paralizzare gli interventi per la “tutela dell’interesse nazionale” e quelli per far valere la “clausola di supremazia statale”, finalizzati a mantenere i livelli di prestazioni essenziali per la effettività dei diritti civili e sociali.

 Perché chi avrà l’iniziativa sul pregiudizio eventuale arrecato da una legge regionale all’ “ interesse nazionale ” della Repubblica sarà esclusivamente il Governo.

 Il superamento del “bicameralismo paritario” avviene, poi, con la proposta di un modello, il Senato federale, incoerente con le caratteristiche di una Camera regionale, sia per struttura, sia per essere “superregionale” nelle funzioni.

Uno “Stato delle autonomie”, sia pure sbilanciato da una denominazione “federalista” attualmente irreale, che sia coerente con la forma di stato democratico non può che connotarsi come “cooperativo e solidale” in antitesi a una separazione tra Stato centrale e poteri locali.

Per tale forma di “Stato delle autonomie” si pone il problema della creazione di una sede parlamentare nella quale realizzare la rappresentanza del sistema locale, al fine di assicurare sia una prassi dei rapporti centro - periferia non esposta al tradizionale e continuo rischio di riprodurre forme di accentramento, sia una leale collaborazione delle autonomie ad un governo unitario e solidale della comunità nazionale.

I detti fini tra loro complementari sono raggiungibili con la trasformazione del “bicameralismo paritario” in un  bicameralismo  che veda, accanto alla Camera nazionale una seconda Camera, presumibilmente il Senato, costituita come camera territoriale.

 Secondo le migliori teorie costituzionali una Camera di questa natura non può essere né eletta direttamente dal popolo, né mista di rappresentanti popolari e di rappresentanti delle autonomie, ma deve essere costituita da rappresentanti in carica presso le Regioni e deve disporre di funzioni e di competenze non equivalenti ma convergenti con quelle dell’altra Camera.

Il Senato federale proposto dal disegno di legge costituzionale in esame non risponde affatto a questa natura.

Non vi risponde per la struttura, che resta elettiva, né per le funzioni, che sono inammissibilmente superiori, in casi importanti, a quelle della Camera nazionale, proprio laddove sarebbe richiesto, come nel caso delle competenze concorrenti e del contrasto con l’ “interesse nazionale”, che la decisione finale spettasse a quest’ultima.

 La spiegazione di un modello tanto incoerente con l’essenza di una Camera regionale non può che ricondursi alla volontà della Lega, che ha fortemente influito su queste decisioni, di predisporre non dei meccanismi di garanzia contestuale dell’autonomia e dell’unità nazionale, ma degli strumenti conflittuali e dissolutori di un’autentica collaborazione centro - periferia.

Il riflesso grave di tale impostazione si ha nell’ampliamento della quota di membri della Corte Costituzionale di nomina parlamentare, elevati da cinque a sette, che accentua la politicizzazione della Corte e tende a farne un organismo soggetto alle tensioni in senso conflittuale provenienti dal sistema regionale, anziché espressione di equilibrio tra componente centrale e componente periferica, e soprattutto Giudice supremo dei diritti .
 Rivedere o no la Costituzione ?
            Il potere di revisione della Costituzione è previsto nella stessa all’art. 138.

Il modello  che ci è stato consegnato dai Costituenti prevede la necessità di una ampia condivisione, tra maggioranze e opposizioni, su  argomenti da revisionare e sulle soluzioni da dare.

E’, infatti, prevista una maggioranza qualificata per l’approvazione di leggi costituzionali di revisione (due terzi) e una doppia lettura parlamentare rispetto alla discussione in materia di leggi ordinarie.

Ma la necessità dell’ampia condivisione viene sottolineata ancor più dalla possibilità di ricorrere al “referendum oppositivo” , nel caso la legge costituzionale di revisione sia approvata da una maggioranza inferiore a quella qualificata, da parte o di un quinto dei membri di una delle Camere o di cinquecentomila elettori o di cinque Consigli Regionali.

 L’ampia condivisione è inoltre garantita dal fatto che la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi , senza che ricorra in questo caso l’ulteriore elemento normale per altri tipi di referendum, della partecipazione al voto almeno della metà più uno degli aventi diritto.

Ciò significa che una legge costituzionale non condivisa da almeno i 2/3 dei componenti di ciascuna Camera può essere sottoposta alla valutazione dei cittadini e che anche un numero minimo di partecipanti al referendum contrari all’approvazione determinino la decadenza della legge costituzionale proposta.

Le leggi di revisione non sono leggi di modifica e cioè per  “dare forma nuova a ciò che già esiste”.

Il “potere costituente” si è già esaurito con la promulgazione della Costituzione della Repubblica Italiana vigente.

Ogni legge di revisione costituzionale, pertanto, può operare un intervento di cosiddetta “manutenzione” della Costituzione data solo nell’ambito dei principi, dei valori e dell’ordinamento della Costituzione stessa, vale a dire nel quadro dei “poteri costituiti” .

Non può, pertanto, stravolgerla, modificarla, ma può soltanto aggiornarla coerentemente allo schema costituzionale che la Costituzione stessa ha già stabilito per sempre.

La nostra Costituzione non è affatto datata o superata o venuta meno.

Essa costituisce uno degli esempi più luminosi di costituzione scritta e aspetta non soltanto di essere puntualmente e costantemente attuata ma di realizzare quella forte energia programmatica e evolutiva della nostra comunità nazionale come mirabilmente essa stessa prevede.
 Perché votare no al Referendum

 Semplicemente per impedire che una proposta di legge costituzionale che sovverte l’ordinamento democratico parlamentare vigente, concentrando tutti i poteri sovrani nella figura del Primo ministro, e attenta in modo drammatico all’unità e alla indivisibilità del paese possa far regredire la nostra comunità nazionale in modo irreversibile e profondamente lacerante .
                                                                   (A cura di Renza Bertuzzi)









Postato il Lunedģ, 12 giugno 2006 ore 00:34:07 CEST di Silvana La Porta
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