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Università: I primi interventi di

Normativa Utile

Università,

da Corriere della Sera
Domenica, 11 Giugno 2006


ROMA - Il primo passo è stato volutamente simbolico: il ritiro del decreto d’istituzione dell’Università Franco Ranieri di Villa San Giovanni, in Calabria, documento firmato dalla Moratti l’ultimo giorno prima di lasciare il ministero. Che università è questa? Un ateneo privato messo su alla chetichella da un ex preside di scuole medie e superiori, Francesco Ranieri, che lo aveva intitolato al nonno e sistemato in una palazzina a due piani vicino all’imbarco dei traghetti per la Sicilia. Il tutto con la benedizione di Silvio Berlusconi che ne aveva parlato durante il suo comizio di chiusura della campagna elettorale in Calabria. Il via libera della Moratti al riconoscimento era arrivato, nonostante due sanzioni dall’Antitrust per pubblicità ingannevole e un rinvio della Corte dei conti.

ESAMI DEI LAVORATORI - Un gesto simbolico certo, ma significativo. E collegato al secondo intervento: un limite agli esami che possono essere riconosciuti a chi lavora in modo da incorniciare la laurea in tempi molto più che ragionevoli. «Laureare l’esperienza» era lo slogan della riforma, anche questa voluta dalla Moratti e partita nel 2002. Mussi non contesta il principio, ma la sua applicazione pratica, spesso di manica larga, visto che molte università sono ben liete di attirare studenti lavoratori e relative rette. Qualche esempio? L’Università Kore di Enna, dove i dirigenti della Regione Sicilia possono laurearsi in economia aziendale dopo un anno, invece che tre: il loro lavoro d’ufficio vale 124 crediti formativi sul totale di 180 del corso. Oppure la San Pio V di Roma, dove ai dipendenti del ministero dell’Interno i crediti riconosciuti sono un po’ meno, 113, ma sempre sufficienti per saltare più della metà degli esami e diventare dottori a tempo di record. Naturalmente in cambio di 1.900 euro l’anno, contro i 3.800 della retta piena. Per eliminare del tutto il sistema serve una legge e non è detto che non arrivi. Ma, nell’immediato, Mussi ha emanato un atto di indirizzo che limita i danni: sui 180 crediti formativi di un corso di tre anni quelli riconosciuti al lavoratore non possono essere più di 60. Si risparmia un anno (non poco, comunque) ma non di più.

IL PROF-COMPUTER - Potenziali esamifici sono considerate anche le università on line , dove a far lezione non sono professori in classe, ma computer collegati in Rete. Mussi - ex normalista e amico del direttore Salvatore Settis, tra i primi a parlare del rischio esamifici - ha congelato tutto. Prima saranno riscritte le regole per il riconoscimento, poi chi vorrà potrà presentare domanda al ministero.

IL NUOVO MODELLO - Ma fra gli interventi di Mussi c’è anche qualcosa che riguarda la struttura generale dei corsi universitari. Letizia Moratti aveva voluto superare il modello del 3 ? 2 (laurea di base più laurea specialistica) per passare al sistema cosiddetto ad Y: primo anno in comune e poi la scelta fra laurea breve (altri due anni) o lunga (altri quattro). Anche in questo caso è stata sospesa l’applicazione che, in via sperimentale e su base volontaria, sarebbe dovuta partire a settembre. Entro l’estate saranno decise le modifiche necessarie. E probabilmente non saranno le uniche novità che studenti e professori vedranno prima di tornare in aula.

Lorenzo Salvia

 La fabbrica delle lauree?A Enna tutto in discesa:«gratis» 124 crediti su 180


da Unità
Mercoledì, 7 Giugno 2006
La fabbrica delle lauree?A Enna tutto in discesa:«gratis» 124 crediti su 180

I laureati lampo di Enna Marzio Tristano


I contatti, dicono ad Enna, finora sono stati centinaia.


Richieste di informazioni, di moduli di iscrizione, e di versamento delle tasse universitarie da parte di impiegati e funzionari attirati dal miraggio dei supercrediti.


Si parte a settembre, con l’anno accademico 2006-2007, tre i corsi di laurea abilitati: Scienze della comunicazione multimediale, Studi internazionali e relazioni euromediterranee ed Economia aziendale.


Gli studenti più fortunati sono i dirigenti della Regione siciliana D5 e D6 di prima, seconda e terza fascia: entrano direttamente al terzo anno.


CREDITI PER TUTTI E a loro vengono automaticamente riconosciuti 124 crediti formativi su 180, due terzi del cammino già compiuto per portare a casa una laurea triennale in economia aziendale. Ma anche i funzionari di livello inferiore e gli istruttori hanno le loro buone chances: rispettivamente 100 e 80 crediti riconosciuti non appena mettono piede all'Università «Kore» di Enna, fiore all'occhiello della formazione siciliana, con un occhio verso il futuro euromediterraneo e qualche maneggio antico per perpetuare privilegi da prima repubblica reclutando, nuove, facili iscrizioni.


È anche alla «Kore», infatti, che il ministro dell'Istruzione Fabio Mussi probabilmente pensa quando dice basta alle lauree addomesticate, agli accordi tra le università italiane e le pubbliche amministrazioni per «laureare l'esperienza». Le due convenzioni, con regione Sicilia e assemblea regionale firmate nel gennaio scorso prevedono il riconoscimento di professionalità in misura considerevole anche per i dipendenti degli enti vigilati dalla regione, e cioè camere di commercio, consorzi di bonifica, ausl. Vennero subito bollate, dal capogruppo del Prc, ora deputato, Francesco Forgione, con un aggettivo: «scandaloso». «Si fa del titolo di studio merce da campagna elettorale clientelare - disse Forgione - con un metodo da prima repubblica si ottiene per i dipendenti regionali la possibilità di passare di livello e diventare dirigenti con laurea e per l'Università di Enna un facile canale di nuove iscrizioni. Un metodo inaccettabile che svilisce e offende il ruolo della formazione pubblica in Sicilia». Gli fa eco, adesso, il presidente del corso di laurea palermitano in scienza della comunicazione, Nino La Spina: «Il rischio non è solo quello di svendere le lauree, ma anche di rovinare la reputazione di istituzioni universitarie di giovane età».


Alla «Kore» giurano che il numero considerevole di crediti è solo un tetto massimo, e non un automatismo d'ingresso. «A valutare i curricula e i titoli dei singoli iscritti sarà una commissione di docenti nominati dal Senato Accademico - dice Cataldo Salerno, presidente della Provincia di Enna e del consiglio di amministrazione dell'università, finanziata da provincia e comuni dell'ennese - però il problema esiste. Noi ne abbiamo già parlato con il ministro Mussi quando è venuto a Palermo, e a lui abbiamo consegnato una copia del regolamento e una serie di altri appunti che descrivono la situazione delle altre università italiane».


Già, perchè «laureare l'esperienza» non è un'invenzione siciliana. Cominciarono gli atenei di Torino, Bologna e Siena, capaci, anche, di condurre alla prova di laurea dipendenti pubblici che mai avevano sostenuto un esame ma in grado di pagare tasse «straordinarie». Piano piano si accodarono gli altri. Ma la diga didattica è crollata con il ministro Moratti,che ha acceso il semaforo verde per le università telematiche, spesso gusci vuoti con il solo scopo di fornire lauree facili agli studenti svogliati o diplomi utili, a volte raccolti in un vero e proprio catalogo destinato al mercato degli insegnanti in cerca di titoli per scalare le graduatorie. Per ogni corso di laurea occorrono nove docenti, a questi atenei, decretò la Moratti, ne bastano tre. «Non si sa sulla base di quale criterio» sostiene Salerno.


L'allarme lo lanciò nel febbraio scorso la Cgil: in Italia si stanno diffondendo dei veri e propri «laureifici». «Sta nascendo - disse il segretario generale Enrico Panini - un mercato parallelo di atenei che utilizzando il meccanismo dei crediti formativi gonfia l'accesso degli studenti al solo scopo di poter chiedere un incremento di fondi da parte dello Stato». Che, in questi anni, non ha esercitato alcuna vigilanza: così, casualmente, a fermare una di queste iniziative «avventurose» ci ha pensato persino il Papa, che un mese fa ha cacciato il rettore di uno dei laureifici più attivi, l'Università degli studi europea, con sede a Roma, promossa dalla congregazione dei Legionari di Cristo. Era coinvolto in un'inchiesta per pedofilia, il Papa lo ha invitato a meditare lontano da una cattedra.



«Lauree brevi? Si trova lavoro prima»


da Corriere della Sera
Mercoledì, 7 Giugno 2006
Indagine del Politecnico. «Il 70 per cento ha avuto un’offerta che non poteva rifiutare»

«Lauree brevi? Si trova lavoro prima»

Lasciano l’università dopo tre anni, ma non perché hanno poca voglia di studiare. Hanno circa 21 anni, ma non temono contratti a progetto e stipendi bassi. Non hanno la laurea «nobile», ma spesso trovano lavoro prima dei dottori quinquennali. Sono i laureati «junior» del Politecnico: secondo un’indagine dell’istituto di ricerche Piepoli, 22 dottori triennali su cento (su un campione di 691) non proseguono gli studi. Di questi, il 70 per cento «ha preferito iniziare a lavorare o ha avuto un'opportunità che non poteva rifiutare», mentre il 73 ha attualmente un’occupazione continuativa. «Questi dati - sottolinea Giulio Ballio, rettore dell’ateneo che per primo ha inaugurato il modello 3?2 - testimoniano la validità del percorso di studi breve. I nostri ragazzi (tremila, finora) hanno tutti trovato lavoro e, tra qualche anno, in alcuni campi avranno posizioni migliori rispetto ai laureati quinquennali». ( A. Sac. )



Buoni propositi e primi atti concreti del nuovo ministro dell’Università


da Tecnica della scuola
Martedì, 6 Giugno 2006
Buoni propositi e primi atti concreti del nuovo ministro dell’Università

di Andrea Toscano
Mentre “richiama” dalla Corte dei Conti, dove erano in attesa di valutazione, alcuni decreti del precedente ministro, Fabio Mussi parla di confronto ed interventi condivisi: per molti è il segnale di un cambiamento di rotta rispetto alla gestione Moratti, accusata da più parti di indisponibilità al dialogo.
Il ministro Fabio Mussi ha evidenziato la volontà di confrontarsi in modo ampio con il mondo universitario per realizzare interventi condivisi.
Ma il nuovo Ministro dell’Università non si fermato alle dichiarazioni di principio e ai buoni propositi: i primi atti concreti, infatti, sono consistiti nel richiamare dalla Corte dei Conti, dove erano in attesa di valutazione, cinque decreti del ministro Moratti, riguardanti la determinazione delle nuove classi di laurea e di laurea magistrale, l’avvio ravvicinato della modifica del cosiddetto “3+2” (laurea di primo livello e successivo biennio specialistico) con l'instaurazione del percorso ad “Y”, che prevede un anno di base comune nel segmento di primo livello (nell'intervento in cui si dispone il "ritiro" dei decreti, si specifica che una volta registrate definitivamente le norme, l'attuazione delle stesse da parte degli Atenei potrà avvenire soltanto a partire dall'anno accademico 2007/2008), il varo dell’Università privata “Franco Ranieri” di Villa San Giovanni (RC), il decreto n. 216 del 10 aprile 2006 sulle linee di indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2007-2009, il decreto n. 217 dell’11 aprile 2006 (varato, quindi, subito dopo le elezioni perdute dalla coalizione di centro-destra) sull’individuazione dei parametri e dei criteri per il monitoraggio e la valutazione dei risultati dell’attuazione dei programmi delle Università.
Da più parti è stata espressa soddisfazione per questa che sembra una inversione di tendenza rispetto alle scelte del precedente Ministro e soprattutto rispetto alle modalità di attuazione delle stesse da parte della Moratti, spesso accusata di indisponibilità al dialogo.
Per quanto riguarda i sindacati, plaude la Flc-Cgil, che comunque ritiene “necessario riproporre all’attenzione del nuovo Ministro l’urgenza dell’assunzione di scelte strutturali non rinviabili, nonostante la difficile situazione dei conti pubblici”, necessarie “per il mantenimento di un credibile sistema pubblico di alta formazione.



 Terapie d’urto per l’Università


da Unità
Lunedì, 5 Giugno 2006
Terapie d’urto per l’Università

Giunio Luzzatto

Come per molti altri settori, anche per l'Università il nuovo governo dovrà muoversi su due piani. Da un lato occorre affrontare immediatamente alcune scadenze urgenti, determinate in parte dai guasti provocati da chi lo ha preceduto, e su ciò si devono ottenere risultati concreti in tempi brevi; d'altro lato, occorre avviare azioni di ampio respiro, per modificare sia situazioni negative consolidate nel tempo, sia recenti deviazioni pericolose.


Una scelta di metodo deve però accomunare gli interventi di pronto soccorso e quelli destinati a curare malattie croniche: la terapia deve essere preceduta da una diagnosi, e questa deve partire da un attento esame dei dati risultanti da analisi di laboratorio.


La metafora clinica può apparire lapalissiana, ma quando si tratta dei mali dell'università la procedura è spesso diversa: sparare affermazioni in parte false, in toto non documentate, dalle pagine culturali di un quotidiano a grande diffusione (ogni riferimento a Pietro Citati, 23 maggio su La Repubblica, non è casuale).


Quale esempio importante di dati disponibili può essere citata l'analisi sui 175.906 laureati 2005 delle 38 Università che aderiscono al Consorzio AlmaLaurea; si tratta del 60% circa del totale dei laureati italiani. L'analisi (www.almalaurea.it/universita/profilo) è stata presentata e discussa, pochi giorni fa, in un Convegno all'Università di Verona; l'attiva partecipazione al Convegno del neo-sottosegretario Nando Dalla Chiesa - alla sua prima uscita pubblica - va nella direzione, sopra auspicata, di un Governo che parta dalle analisi della realtà. Tra i molti dati presenti, l'attenzione va concentrata su quelli che si riferiscono al nuovo ordinamento universitario, con i titoli a due livelli (laurea; laurea specialistica).


Oltre metà dei laureati è ormai «nuova», e per oltre la metà di questi la laurea è stata raggiunta «in corso», cioè senza ritardi rispetto al triennio previsto; quattro anni fa, cioè per i laureati 2001, la percentuale in corso era del 10, 2%. La frequenza alle lezioni è nettamente aumentata (in questo caso non si tratta di un dato misurato, bensì delle risposte a un questionario): la percentuale di chi dichiara di aver seguito più del 75% dei corsi passa dal 57,3 al 72%.


Questi, e molti altri, elementi positivi non devono far trascurare talune indicazioni negative, né l'esigenza di approfondire le questioni sulle quali i dati mancano; ma, come ha detto a Verona Luciano Guerzoni, solo se si distinguono nettamente i diversi aspetti si possono individuare le cause di ciò che nella riforma didattica ha funzionato meno, e operare per rimuoverle. Per citare un solo esempio, in numerosi casi vi è stata una frammentazione degli insegnamenti: questa però dipende non dalla normativa nazionale sugli ordinamenti didattici (né, tanto meno, dal principio della doppia laurea, ormai adottata da tutta l'Europa con la parziale eccezione della sola Germania), bensì da una scarsa capacità, da parte degli organi di governo universitari, di imporsi rispetto alle pretese individualistiche di molti docenti. A riprova di ciò, in molti Corsi di studio - soprattutto di area scientifica - la parcellizzazione non vi è stata. Si pone perciò il problema di un efficace governo degli Atenei.


Preoccupazioni, fondate, vi sono rispetto alla qualità della formazione. Ciò non riguarda il «3+2»: è ovvio che le competenze di un laureato di primo livello saranno più limitate - come per i «Bachelor» di tutto il mondo - rispetto a quelle dei precedenti laureati di corsi di fatto quinquennali (o più). Riguarda invece (oltre alla questione delle competenze all'ingresso) gli effetti perversi di meccanismi di finanziamento centrati su parametri solo quantitativi, e in termini ancora più generali di logiche per le quali occorre «tenere il cliente»: spinte lassiste a promuovere con troppa generosità sono iniziate ben prima della riforma.


Bene ha fatto Paolo Prodi ( l'Unità del 28 maggio) a richiamare l'attenzione su queste deviazioni mercantilistiche, manifestate anche dalla affannosa caccia, da parte degli Atenei, a convenzioni e commesse private; ma anche qui occorre non confondere le cause. La riforma didattica non c'entra nulla; c’entra la carenza nel finanziamento della ricerca di base, sicché il ricorso a fondi destinati a ricerche applicate diviene una priorità (mentre esso, se fosse solo un complemento, potrebbe essere utile per favorire il rapporto tra università e sistema territoriale e produttivo); c'entra l'assenza di un corretto sistema di valutazione delle università.


Proprio l'istituzione di una Autorità indipendente a ciò preposta è, probabilmente, il principale snodo tra gli interventi urgenti e le soluzioni organiche: i primi non possono certo attendere i risultati dell'attività di tale istituzione, ma le seconde non possono essere validamente attuate senza la presenza di essa. I Ds hanno elaborato, al proposito, un preciso progetto, che va rapidamente portato a conclusione. Sulla questione specifica della valutazione della didattica, importanti sviluppi possono derivare anche dalle ricerche di gruppi di studiosi già operanti sul tema; negli stessi giorni dell'iniziativa AlmaLaurea, un Convegno della Facoltà di Scienze della Formazione di Torino ha presentato utili contributi.


Un'ultima considerazione: guai se la divisione in due Ministeri impedisse di guardare unitariamente alle problematiche del sistema educativo, globalmente inteso. In via immediata, lo scioglimento del nodo formazione/reclutamento degli insegnanti è a cavallo tra Università e Istruzione. Nella prospettiva più generale, l'idea ormai centrale di apprendimento per tutto l'arco della vita non consente segmentazioni rigide tra i diversi livelli.



 Mussi scrive agli Atenei: stop alle lauree facili


da Unità
Lunedì, 5 Giugno 2006
Mussi scrive agli Atenei: stop alle lauree facili

BASTA CON LE LAUREE addomesticate. Sono da rivedere quelle convenzioni tra atenei e pubblica amministrazione che consentono una super valutazione dei crediti formativi degli studenti «dipendenti pubblici» grazie a quel riconoscimento, che la legge prevede, delle «conoscenze e abilità professionali certificate». Non possono pesare più degli esami da sostenere. Possono valere al massimo 60 crediti per una laurea triennale per cui ne servono 180. È questa l’indicazione fornita dal neo ministro dell’Università e della Ricerca, il «normalista» Fabio Mussi con un «atto di indirizzo» inviato lo scorso 30 maggio a tutti gli atenei. Pare deciso a mettere ordine in quella che è oramai una vera e propria giungla. Il sistema della «convenzione» con gli enti pubblici ha finito per deresponsabilizzare gli atenei, in particolare quelli privati e di piccole dimensioni, che il ministero pur nel rispetto dell’«autonomia sulla valutazione delle singole esperienze», ha richiamato ad un reale accertamento «di reali periodi di formazione pregressi, di apprendimento, conoscenze e abilità professionali».
Sotto accusa sono per lo più le convenzioni stipulate tra atenei e studenti con le «stellette», militari o dipendenti del ministero degli Interni, ma ve ne sono pure per chi lavora negli enti locali e nelle Regioni, all’Aci e all’Inps ed anche giornalisti, ragionieri, commercialisti, giornalisti, ispettori del lavoro. Che si sia arrivati a situazioni paradossali con atenei come la libera università Konè di Enna dove sui 180 crediti necessari per conseguire la laurea breve, ne vengono «scontati» ben 135 ai dipendenti della regione Sicilia, o all’ateneo San Pio V di Roma dove un ispettore di polizia, sostenendo soli sette esami, può conseguire la laurea triennale, lo testimonia da ultimo la documentatissima inchiesta realizzata dalla trasmissione Report di Rai 3. Proprio sollecitato da questa inchiesta Mussi ha deciso di vederci chiaro. In una nota dello scorso 29 maggio, nella quale fa esplicito riferimento alla «circostanziata segnalazione della trasmissione televisiva “Report”» che - assicura - «sarà tenuta nella massima considerazione, come si deve a chi, sulla stampa, alla televisione o su altri media, si fa portavoce documentato dell’opinione pubblica», annuncia che si cambia registro. Il ministro «valuterà con estrema attenzione la situazione dei percorsi abbreviati per la laurea riservati a dipendenti di vari enti e amministrazioni pubbliche, tra cui alcuni ministeri, in base a convenzioni stipulate tra questi enti e alcune università pubbliche e private». L’operazione «bonifica» è delicata. «Questo tipo di convenzioni tra università ed enti - spiega la nota - ricadono nell’autonomia degli atenei, che il Ministro intende preservare e ampliare». Detto questo si conferma che da viale Kennedy «sarà esercitata, nelle forme dovute, tutta la vigilanza e la valutazione che spetta al Ministero, affinché il sistema universitario italiano continui a godere della fiducia e dell’apprezzamento degli studenti e dei cittadini». L’invito è a tornare allo spirito della riforma, snaturato dalla «liberalizzazione» introdotta dalla finanziaria 2002 che ha finito «col causare atteggiamenti lassisti da parte di alcune università». L’annuncio è chiaro: «saranno adottati gli atti opportuni per modificarla, restituendo serietà alla norma della riforma Berlinguer-Zecchino che stabiliva la possibilità di riconoscere come crediti universitari la competenza maturata da singole persone nel proprio lavoro, purché debitamente e regolarmente certificata». Così viene indicato anche il responsabile di questa situazione: la Moratti che con la finanziaria 2002 ha liberalizzato, eliminando qualsiasi tetto al riconoscimento dei crediti formativi che ha portato all’eccesso di una laurea triennale conseguita con appena sei o sette esami.
L’operazione bonifica è partita. Che Mussi sulle «lauree facili» faccia sul serio lo conferma anche il ritiro in data 22 maggio del decreto di istituzione della libera università Ranieri, di Villa San Giovanni, in Calabria, fortissimamente voluta dal centrodestra. Mancano i requisiti



LA SCHEDA

Scuole e atenei "in un vicolo cieco"
il fallimento del sistema-Europa



L'inchiesta è stata pubblicata nell'ultimo numero di Newsweek Il settimanale americano Newsweek ha dedicato alla sua inchiesta l'intera copertina. Con toni a dir poco allarmanti: "Il fallimento del sistema scolastico europeo", titola. E si basa sul rapporto del Centro londinese per la riforma europea: la maggior parte delle università migliori, si legge nel rapporto, si trovano in una sorta di "serie B", con i migliori cervelli che "scappano" per andare a lavorare e studiare negli Stati Uniti o in Giappone. Una sconfortante conferma delle conclusioni cui è giunta la Ue.

Il problema principale è quello del denaro che i singoli stati riservano al settore dell'educazione. E i numeri parlano chiaro: per i fondi destinati all'istruzione primaria, secondaria e universitaria Stati Uniti e Giappone oltrepassano di gran lunga l'Europa: nel 2005 gli Usa hanno destinato il 2,6% del Pil al solo mondo accademico, rispetto all'1,1% di Germania, Italia e Francia. Perfino la Turchia nel 2005 ha investito di più. "D'altra parte - si legge - meno di un quarto della popolazione europea in età lavorativa ha una laurea, contro il 38% degli Stati Uniti e il 36% del Giappone".

L'allarme è confermato anche dallo scioccante studio dell'Organizzazione per la Cooperazione economica e lo sviluppo e dal "tour ispettivo" che il Commissario delle Nazioni Unite ai Diritti Umani, Vernor Muñoz Villalobos ha condotto girando i principali paesi europei. In Germania, ad esempio, gli immigranti vengono "tenuti confinati" in scuole di infimo livello e senza sbocchi. Stessa situazione in Francia, Spagna e Olanda, dove le cosiddette "scuole nere" sono diventate sinonimo di povertà, insufficienza e violenza.
(7 giugno 2006)
 

I più numerosi sono gli albanesi, mentre i cinesi sono raddoppiati
Le facoltà più frequentate, Medicina e Economia. Record alla "Sapienza"

La carica degli studenti stranieri
per una laurea arrivano in 45 mila
di MARINA CAVALLIERI

ROMA - Vengono dall'Albania e dalla Grecia, dal Camerun, dal Marocco, dalla Croazia, dalla Romania ma anche dalla Cina. Sono aspiranti medici, ingegneri, economisti, farmacisti, sono migliaia i ragazzi che vengono ogni anno a studiare nelle aule delle università italiane. Arrivano a Roma, a Bologna, a Padova, il loro numero aumenta in modo costante, quelli presenti ai corsi di laurea e di diploma nell'anno appena passato erano 38.298, nel 2002/03 si contavano invece 31.343 iscritti, e considerando anche quelli iscritti ai corsi di post laurea oggi gli stranieri nelle aule italiane sono più di 45 mila.

Secondo un'indagine promossa dall'Ucse - Ufficio centrale studenti esteri in Italia, c'è un aumento progressivo e costante di studenti stranieri, quella che è cambiata in questi anni è la geografia, sono i paesi di provenienza, mutazioni che testimoniano trasformazioni politiche e generazionali. Se un tempo erano in maggioranza greci oggi il record spetta all'Albania, sono albanesi il 25 per cento degli studenti stranieri, seguiti da greci, romeni, da quelli provenienti del Camerun, dalla Germania, dalla Croazia.

Si è consolidata in questi anni la tendenza alla diminuzione degli studenti provenienti dalla Ue, crescono invece gli studenti degli altri paesi europei dalla Bulgaria, all'Ucraina, alla Russia. Tra i paesi africani è il Camerun quello che invia il maggior numero di studenti: 1.287, erano 831 due anni fa. Segue il Marocco e, distanziati, la Tunisia e l'Egitto. C'è anche un drappello di studenti che arriva dalla Cina e dall'India, i dati indicano un raddoppio degli studenti cinesi.

Cosa studiano gli stranieri in Italia? Si conferma il predominio di Medicina e chirurgia con il 17,9 per cento, anche se la percentuale è scesa di 3 punti rispetto a due anni prima. Prosegue l'incremento netto e costante di Economia che accoglie il 13,9 per cento degli studenti stranieri, anche Lettere e Filosofia ha un incremento lento e costante da anni, lo stesso si può dire di Ingegneria (9,5 per cento). Gli atenei più affollati sono La Sapienza di Roma e l'ateneo di Bologna, seguono Padova, Firenze, Milano, Torino e Trieste.
(31 maggio 2006) 

A 10 giorni dall'insediamento il neo-ministro ritira tre discussi decreti della Moratti. Poi annuncia: "Più soldi e più dialogo con studenti e professori"

Ecco le priorità del ministero Mussi
"Ricerca e atenei, servono più fondi"
Il viceministro Luciano Modica: "Ecco perché abbiamo bloccato i decreti"
di DANIELE SEMERARO



Il neo-ministro dell'Università e della Ricerca Fabio Mussi ROMA - A circa dieci giorni dall'insediamento del nuovo governo Prodi, Fabio Mussi, nuovo ministro della Ricerca e dell'Università (il dicastero è stato diviso da quello dell'Istruzione, dov'è andato Giuseppe Fioroni) è già a lavoro. Con una priorità: "Occorre subito incrementare le risorse, perché siamo alla metà o a un terzo di quello che spendono paesi a noi equivalenti". L'Italia, prosegue "perde colpi e non riesce a valorizzare l'enorme potenzialità che ha". Sottosegretari all'Università e alla Ricerca sono stati nominati Luciano Modica (senatore Ds ed ex-presidente della Conferenza dei Rettori) e Nando Dalla Chiesa (ex-senatore della Margherita e docente di Sociologia economica).

Tra gli obiettivi principali del nuovo ministero, quello di portare al 2% la percentuale del Pil destinata alla ricerca e all'università, che oggi è la metà: i fondi che vengono elargiti per il settore dell'istruzione "oggi sono troppo bassi - ha ribadito Mussi nel suo primo incontro pubblico all'università di Palermo - e bisogna spendere di più e soprattutto spendere bene. La spesa non può rimanere invariata".

E che fare, poi, della tanto discussa legge Moratti? Il nuovo ministro per prima cosa ha deciso di ritirare tre tra gli ultimi decreti emessi. Il primo è quello che riguarda l'istituzione dell'Università di Studi Europei legalmente riconosciuta (non statale) "Franco Ranieri", di Villa San Giovanni (RC) in attesa di "ulteriori valutazioni". Il decreto era stato emesso il 16 maggio scorso dall'ex-ministro Moratti.

Poi è toccato al decreto 216 del 10 aprile scorso, "Definizione delle linee generali d'indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2007-2009", al cui interno, il punto riguardante le classi di laurea, rendeva totalmente autonome le università di sperimentare la nuova organizzazione delle classi. Infine è stato il turno di quello dell'11 aprile n. 217, "Individuazione dei parametri e dei criteri per il monitoraggio e la valutazione dei risultati dell'attuazione dei programmi nelle università". Su questi ultimi due punti è intervenuto anche il presidente del Consiglio Romano Prodi, che nel documento inviato ai presidenti delle Camere per indicare le prime misure che il govenrno intende prendere in avvio di legislatura ha scritto che è necessario "correggere i decreti sulle nuove classi di laurea e sulla programmazione triennale 2007-2009".

"Ho ritirato" i decreti emessi "negli ultimi giorni della legislatura", spiega Mussi, per "riemetterli rapidamente, e tutte le classi di laurea partiranno dal 2007. Poi ho ritirato anche quello sulla programmazione triennale, perché avrebbe effetti collaterali indesiderati. Infatti, dei 175 milioni di euro previsti, una norma apparentemente inoffensiva attribuisce il 75% delle risorse al Nord, e specificatamente a Milano, e qui ci sono onde sospette, il 20% al centro Italia e solo il 5% da Roma in giù".

Mussi, inoltre, ha detto di aspettarsi che, in base al terzo punto programmatico del governo Prodi, che prevede maggiori stanziamenti per università e ricerca scientifica, ci sia "un incremento delle risorse e una loro equa redistribuzione". La situazione del finanziamento per la ricerca italiana secondo il ministero è "catastrofica": "Oggi - fanno sapere - c'è una situazione di precariato simmetrica nel lavoro e nell'università. Bisogna organizzare la società e bisogna che nelle università ci sia meno precariato perché niente è più contrario alla scienza che il precariato".

Tra le prime priorità anche quella di un viaggio nel mondo accademico per tastare con le proprie mani il malessere di professori, rettori e ricercatori e ascoltare la loro voce: "Ho sentito la necessità - spiega Mussi - di guardare a fondo nel mondo dell'università italiana" e da subito "inizia il mio viaggio tra ricercatori, docenti e studenti. E proprio agli studenti faccio un appello: dite la vostra e mettetevi in gioco, perché dall'università e dalla ricerca dipende il destino del nostro Paese e del Mezzogiorno. Visiterò tutte le università, non solo quelle più grandi. Non credo al riformismo dall'alto, occorre andare in giro, guardare le persone negli occhi, rettori, accademici, ricercatori. Entro qualche mese penso di poter presentare un piano più preciso di interventi legislativi e amministrativi ispirati al valore della libertà".
(26 maggio 2006

25/05/2006
Il Ministro Mussi visita la Normale di Pisa, 25 maggio


L’allievo diventato ministro torna alla “sua” Normale. Giovedì prossimo, 25 maggio, il ministro dell’Università e della Ricerca scientifica, on. Fabio Mussi, sarà a Pisa, alla Scuola Normale Superiore, per una giornata densa di appuntamenti e di incontri.

Il direttore Salvatore Settis accompagnerà il ministro e il sottosegretario, prof. Luciano Modica, negli storici edifici e nei nuovi collegi e laboratori di ricerca della Normale.

Nel corso della giornata, all’interno della Scuola pisana, Fabio Mussi incontrerà le autorità locali: il prefetto di Pisa, Maria Fiorella Scandura, il presidente della provincia di Pisa, Andrea Pieroni, il sindaco di Pisa, Paolo Fontanelli; esponenti del mondo accademico: Marco Pasquali, rettore dell’Università di Pisa, Riccardo Varaldo, presidente della Scuola Superiore Sant’Anna, Luigi Donato, presidente dell’Area di Ricerca di Pisa CNR, Aldo Pinchera, vicepresidente CUN; alcuni rappresentanti della Normale: il vicedirettore Fabio Beltram, i presidi Massimo Mugnai e Fulvio Ricci.

Alle ore 16 il ministro Mussi incontrerà in assemblea gli studenti normalisti.

Alle ore 17, presso la Sala Azzurra della Normale, è prevista una conferenza stampa finale (per partecipare, prendere contatto con l’Ufficio Stampa SNS).


 









Postato il Domenica, 11 giugno 2006 ore 12:16:53 CEST di Salvatore Indelicato
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