Premessa
E’
fin troppo ovvio richiamare il fatto che la Scuola non si cambia puntando solo,
com’è stato fatto finora, sulle riforme d’ordinamento ma anche sulla contestuale
revisione dell’organizzazione del lavoro e delle prerogative professionali dei
principali attori che devono realizzarle. Partendo dalla considerazione che
l’Autonomia è la prospettiva da cui partono tutte le riforme ordinamentali
proposte negli ultimi dieci anni ed è la vera Riforma perché dovrebbe cambiare
in modo concreto il modo di fare scuola, quindi incidere in modo sostanziale sul
processo d’insegnamento-apprendimento, è innegabile che il profilo professionale
dell’insegnante deve essere coerente con questo modello. E’ un cambiamento
sostanziale, già affrontato in quei Paesi della UE con le migliori performances
in termini d’apprendimenti, che vede il passaggio da
un modello centralista in cui le scuole sono rigide esecutrici di programmi e
procedure, ad uno in cui esse stesse diventano propositive della propria
“identità culturale e formativa” attraverso la
costruzione di curricoli flessibili. Lo stato giuridico dei docenti risalente a
trenta anni fa, un’eternità per i profondi mutamenti sociali e legislativi
prodottisi nel frattempo, è legato al vecchio modello, e il cambiamento
introdotto dall’autonomia didattica esige una rivoluzione
dell’organizzazione del lavoro degli insegnanti e del relativo profilo
professionale.
E’ quindi inevitabile costruire giuridicamente il passaggio da una figura del
docente monadica, individualista, a quella di un professionista che si realizza
in un’azione professionale collettiva, che per essere efficace ha bisogno di
ruoli professionali formalizzati cui attribuire le responsabilità complesse
della scuola autonoma. Tra i ruoli prioritari e coerenti con il progetto
autonomistico vi è quello che riveste su di sé l’insieme delle diverse
competenze che portano all’esercizio di un orientamento efficace degli studenti
nella costruzione del loro curricolo scolastico. Solo un potenziamento della
flessibilità didattica, prevista dell’autonomia, può, infatti, rendere più
appetibile la scuola e contribuire a risolvere quello che per il nostro Paese è
uno dei problemi principali: l’alto tasso d’abbandoni (oggi al 22% con la
difficile prospettiva di arrivare all’obiettivo europeo del 10% entro il 2010).
Il confronto con l’Europa, non può non evidenziare il modello della scuola
superiore della Finlandia, paese al top delle indagini internazionali in termini
di competenze acquisite dagli studenti quindicenni, dove su 32 ore settimanali
di lezione solo 19
sono imposte dal centro e le restanti 13 costituiscono la quota flessibile
offerta dalle scuole e scelta dallo studente. Ma una scuola flessibile non può
non offrire un supporto qualificato alla costruzione del percorso didattico,
data la rilevanza degli esiti in gioco. Serve pertanto costruire una figura
professionale docente idonea.
Come per i dirigenti, questo ripensamento dei profili professionali spetta al
Parlamento, che però da due legislature non è stato in grado di trovare una
soluzione. E’ doveroso risottolineare l’urgenza per rendere più efficace
l’azione delle scuole, recuperando così posizioni rispetto alle nostre pessime
performaces internazionali e mostrare finalmente che anche il nostro Paese non
ignora quello che gli altri Paesi europei sembrano aver capito, e cioè che per
ogni qualificazione più elevata raggiunta ci sarà un ritorno in termini di
crescita economica.
Innovare in questo senso contribuirà a raggiungere anche altri due risultati:
Rimotivare una categoria profondamente in crisi, appiattita su posizioni
impiegatizie anziché di professionismo responsabile, senza prospettive di
carriera professionale.
Rendere la professione docente una scelta nuovamente appetibile per i giovani
più preparati (estremamente preoccupante a questo proposito la drammatica
penuria di laureati scientifici che decidono di intraprendere la carriera
docente).
Pertanto la nuova legislatura dovrà farsi carico di
1. Potenziare e sostenere tutte le prerogative di tipo giuridico-organizzativo
che realizzano
l’Autonomia didattica, organizzativa e finanziaria degli istituti;
2. Costruire una leadership professionale dei docenti in grado di guidare il
cambiamento attraverso l’individuazione e la definizione di ruoli professionali
definiti, legati alle funzioni più complesse proprie della scuola autonoma, e
attraverso questa leadership far transitare competenze che altrimenti, legate al
solo individuo-insegnante, si disperderebbero non divenendo patrimonio della
scuola;
3. Definire per legge (art. 97 della Carta costituzionale) un nuovo stato
giuridico degli insegnanti che preveda livelli di carriera (7-8-9) da conseguire
a domanda e su contingenti programmati, sia attraverso una formazione in
servizio universitaria che la valutazione per merito dei titoli e delle
competenze professionali acquisite, da realizzarsi con un moderno sistema in
grado di valorizzare le risorse umane;
4. Per ottenere questa valorizzazione della professione docente e sottrarla
all’appiattimento cui i sindacati l’hanno confinata è necessario realizzare per
legge un’area di contrattazione specifica per gli insegnanti, nell’ambito del
comparto scuola, analogamente a come avviene per tutti gli altri laureati del
P.I. Da questo discenderebbe finalmente un’equa rappresentanza nelle RSU che
oggi sono unitarie (il che vuol dire che bidelli, amministrativi e docenti sono
tutti insieme e tutti incongruamente a contrattare materie di tutti);
5. Portare rapidamente a compimento la riforma degli Organi collegiali di
governo della scuola, risalenti ormai a trenta anni fa, attraverso una normativa
coerente con le innovazioni introdotte con l’autonomia e con i nuovi ordinamenti
della scuola, snodo centrale per l’autogoverno e il buon funzionamento delle
scuole. La ripartizione dei poteri e delle responsabilità del sistema educativo
d’istruzione e formazione sono, infatti, inscindibili da un disegno riformatore
responsabile e costituiscono le condizioni di contesto necessarie a coloro che
devono attuarle;
6. Ridimensionare il ruolo delle RSU d’istituto: nella scuola italiana, in luogo
di un auspicato quanto necessario inquadramento dei docenti in una dimensione
professionale, come ipotizzato in Europa, con “strumenti” propri dei
professionisti, si sono spinti invece
verso una sindacalizzazione esasperata, contrapponendo RSU che progressivamente
inglobano, ad ogni rinnovo contrattuale, materie che sono di competenza degli
organi professionali della scuola. Con il risultato che questa espropriazione
riduce sempre più l’autorevolezza dei docenti come corpo professionale e dei
loro già obsoleti organismi collegiali di rappresentanza;
7. Concorrere a risolvere una delle anomalie italiane: quella di una
rappresentanza professionale degli insegnanti, praticamente inesistente nel
nostro Paese, perché impropriamente assorbita in tutte le sue funzioni dai
sindacati di comparto. L’associazionismo professionale dovrà trovare la sua
collocazione in spazi istituzionali di consultazione e di ascolto, relativamente
a tutte quelle materie, come
la formazione iniziale e in servizio, che riguardano la professione e che
inevitabilmente incidono sulle scelte di politica scolastica, sulla via indicata
dalla recente costituzione dei
Forum nazionale delle associazioni professionali dei docenti istituito presso il
M.I.U.R.;
8. Portare a compimento un percorso coerente di formazione iniziale specifica
degli insegnanti in ambito universitario, così come è stato ipotizzato nei
principi della legge 53/03: (”la formazione iniziale si svolga nelle Università
presso i centri di laurea
specialistica, a numero programmato, con attività di tirocinio e
subordinatamente al possesso di requisiti”). Poiché un insegnante professionista
di qualità non può che costruirsi dalle sue origini, sarà necessario
abbandonare, per il suo reclutamento, le prassi tipiche del nostro paese: la via
concorsuale riservata e ope legis, il criterio della priorità cronologica e le
periodiche e generalizzate (tanto a destra che a sinistra) sanatorie.
Per rivalutare la professione docente con una positiva ricaduta sulla qualità
del sistema istruzione occorre quindi puntare su un criterio di selezione
iniziale per attitudine e merito. Inoltre, se il quasi totale ricambio della
categoria docente che si realizzerà entro pochi anni, (conseguentemente alla
massiccia immissione in ruolo di circa 600.000 insegnanti alla fine degli anni
’70, il cui turn-over si completerà entro il 2010), non avverrà attraverso nuove
leve di docenti formati, specializzati e valutati idonei ad insegnare secondo i
criteri della qualità e dell’eccellenza, si sarà persa l’occasione storica sia
di riformare il sistema istruzione, che poggia non solo e non tanto sulle
architetture di sistema quanto sulla idonea preparazione professionale delle
persone che devono realizzarle, sia di risolvere una volta per tutte quella che
è una nostra autentica vergogna nazionale: il precariato infinito e stabile
degli insegnanti.
Paola Tonna
presidente dell’A.P.E.F.