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Didattica: La difficile scommessa dell’istruzione professionale / 6 - L’assetto didattico

Redazione
Metodologia
I testi normativi di riferimento, ( la Relazione di accompagnamento allo schema del Decreto Legislativo, il Decreto legislativo n. 61, il Pecup) sono disseminati di prescrizioni didattiche, a dir la verità tra di loro coerenti nel disegnare il nuovo volto dell'istruzione professionale e tutte in qualche modo correlate al modello dell'istruzione per adulti. Per mantenere fede alle intenzioni proclamate nelle disposizioni di legge gli istituti professionali sono autorizzati a disporre di un'ampia libertà nell'organizzazione dell'attività didattica. -Nel biennio, che normativamente è unico e non la somma di due diversi anni scolastici, si esprime innanzi tutto nella gestione dei tempi di lavoro delle attività didattiche. Non ci dovrebbero essere più trimestri o quadrimestri, ma periodi didattici determinati dalle dimensioni delle unità di apprendimento, che potrebbero oltrepassare un anno scolastico e agganciarsi a quello seguente, in funzione dei gruppi di livello venutisi a costituire dopo il bilancio delle competenze, sulla base del quale viene in seguito formulato il Progetto Formativo Individuale di ogni studente, che si iscrive al primo anno.

Quest'opzione non è prevista per il triennio in cui resta la specificità di ogni suo anno di attività didattica, fermo restando, però, che anche nel triennio si dovrebbe lavorare per unità di apprendimento, perchè "rappresentano il necessario riferimento per il riconoscimento dei crediti posseduti dalla studentessa e dallo studente, soprattutto nel caso di passaggi ad altri percorsi di istruzione e formazione"(art. 5 lettera f). La modularità dei percorsi si avvale nel biennio e nel triennio dell'aggregazione delle discipline e di una intensa attività laboratoriale; l'aggregazione delle discipline avviene per assi culturali sia al biennio, come prescritto nelle norme sull'obbligo scolastico, sia al triennio e deve avvalersi di metodi induttivi, esemplificati, se non prescritti, nelle esperienze in contesti operativi, nell'analisi e soluzione dei problemi relativi alle attività economiche di riferimento, nel lavoro cooperativo per progetti, nella gestione di processi in contesti organizzati. Gli assi culturali presuppongono sia la condivisione degli obiettivi, sia l'unitarietà dei temi da sviluppare. E' tutto da vedere, però, come funzionerà la distinzione delle ore tra le discipline che vi afferiscono, se non altro per avere qualche certezza sulla costituzione delle cattedre e degli organici. Per esempio :delle 462 ore dell'asse dei linguaggi nel biennio quante ore vanno assegnate a italiano e quante a inglese? E così via seguitando...

L'insieme di queste sollecitazioni configura un modello educativo, in cui il fare e l'agire hanno il primato (basti pensare all'alternanza e all'apprendistato che vengono evocati come protagonisti possibili di questo orientamento)sul conoscere. Un modello che viene proposto come rimedio certo e adatto per garantire il successo formativo a quel genere di utenza che si prevede per i professionali. L'insistenza sull'intelligenza cognitiva(in particolare modo quella analitica e mnemonica), centrata sulla padronanza del linguaggio e sull'astrazione dalla realtà, per tanti uno dei punti critici del sistema di istruzione, sarebbe uno degli ostacoli per l'appetibilità dell'istruzione professionale. Il nuovo impianto fa una propria ragione d'essere il superamento di quelli che il legislatore ritiene "gli stereotipi di un'interpretazione sequenziale del rapporto tra teoria e pratica e del primato dei saperi teorici". Gli alunni dei professionali devono poter percepire i saperi appresi come utili, significativi e riscontrabili nella realtà, ma dovrebbero anche non essere privi di quell'atteggiamento critico e problematico che solo una solida cultura generale è in grado di favorire.

Con l'aggregazione negli assi culturali si torna in qualche modo alla cultura generale, alla cultura scientifica di tanti anni addietro, dai quali si era usciti per proporre l'insegnamento di singole discipline per un maggiore approfondimento dei contenuti. Chiaramente l'aggregazione delle discipline puo' funzionare se viene accompagnata dalla progettazione interdisciplinare. I modelli organizzativi, le metodologie didattiche, la crescente attività laboratoriale, come anche l'alternanza scuola -lavoro e ove possibile l'apprendistato devono favorire l'integrazione tra area di istruzione generale e area di indirizzo per potere assicurare l'acquisizione delle conoscenze, abilità e competenze richieste dal mondo del lavoro e delle professioni. Gli istituti professionali sono chiamati "a cogliere l'evoluzione delle filiere produttive che richiedono nuovi fabbisogni in termini di competenze e ad offrire una risposta adeguata alle necessità occupazionali" (PECUP). L'impianto della nuova istruzione professionale intende "favorire stabili alleanze formative col sistema produttivo". Gli istituti devono intrecciare, pertanto, la loro progettazione didattica con i piani di sviluppo locale...

Alternanza scuola-lavoro e apprendistato
L'alternanza scuola-lavoro è stata introdotta formalmente nel sistema di istruzione con l'art. 4 della legge n. 53 del 2003 e definita nelle sue norme generali con il Decreto Legislativo del 15/4/2005 n. 77 "come modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei, sia nel sistema dell'istruzione e formazione professionale" per assicurare conoscenze e competenze "spendibili nel mercato del lavoro". La 107/2015 ha quantificato l'esperienza dell'alternanza per i licei in 200 ore al triennio e in 400 ore per i tecnici e i professionali. Tale attività che di norma si svolge durante l'anno scolastico, "puo' essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche". Che sia necessaria per tecnici e professionali, mi pare che sia indiscutibile, ma l'estensione generalizzata a tutti gli indirizzi di studio sa di opzione ideologica, di assunzione dogmatica dell'aziendalismo come modello formativo; sembra un gesto di sottomissione culturale al mondo economico, un altro segno del prevalente economicismo degli orientamenti in materia di riforme scolastiche.

Che poi si possa realmente produrre alternanza con 400 ore in un triennio mi sembra improbabile; più correttamente si dovrebbe parlare di stage . Dovrebbe dirsi alternanza se i tempi di lavoro e di formazione fossero pressochè uguali e se si andasse dalla scuola al lavoro e viceversa con un percorso strutturato e condiviso tra azienda e scuola con un'attività in continuità tra teoria e prassi, quale che sia il punto iniziale-Non mi pare che sia quello che sta succedendo, anche se si auspicava che si potesse, per gli alunni che l'avessero scelto, realizzare l'intero percorso dai 15 ai 18 anni in alternanza tra azienda e scuola . C'è da dire anche che iniziare l'esperienza dell'alternanza al secondo anno dei professionali, per la stragrande maggioranza degli alunni ancora anno di obbligo scolastico, utilizzando parte delle ore della personalizzazione, mi pare un'esagerazione, perchè come sempre si raccomanda i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro devono essere articolate secondo criteri di gradualità e progressività, tenendo conto degli obiettivi formativi dei diversi percorsi degli indirizzi di studio.

A parte l'insufficienza strutturale dell'alternanza non mi pare esatto dire che serva a incrementare le opportunità di lavoro; puo' servire certamente a sviluppare la capacità di orientamento degli studenti, qualora fosse un'esperienza felice. Le vere finalità sono :correlare l'offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio; realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative col mondo del lavoro e la società civile. Contrariamente a quello che ha pensato l'amministrazione l'alternanza, anche così limitata nei tempi, non è un'esperienza facile da realizzare, senza adeguati supporti logistici, senza personale appositamente formato, senza aziende che rispondano ai requisiti dimensionali e professionali per un'attività di formazione. Fare esperienze degradanti, come è stato denunciato, non è stato per tanti alunni un'eccezione.

Non è solo questione di carta dei diritti e dei doveri, e nemmeno di registro delle imprese idonee(peraltro quante sono innovative per processi e prodotti e sicure?Quante in grado di ospitare una classe intera?). E'un problema di rigorosa programmazione didattica. I periodi di alternanza vanno progettati, attuati e valutati passo dopo passo, con l'alta vigilanza della scuola, altrimenti è meglio fidarsi dei propri reparti di lavorazione, delle proprie aziende agricole, dei propri ristoranti. Una buona capacità di iniziativa e un buon rapporto con la società e il territorio con i propri mezzi opportunamente utilizzati si puo' dare agli alunni molto di più di tante esperienze di alternanza raffazzonate alla meno peggio, perchè bisogna farle ad ogni costo.

L'apprendistato nei testi normativi sulla nuova istruzione professionale a volte è autonomo, a volte sembra una declinazione dell'alternanza; ma la stessa cosa non possono essere se non altro perchè l'apprendistato è un contratto di lavoro, finalizzato alla formazione, mentre l'alternanza non lo è. "L'apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all'occupazione dei giovani"(art. 1 del Decreto Legislativo n. 167-Testo unico sull'apprendistato); si articola nelle seguenti tipologie :a)apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione superiore; b)apprendistato professionalizzante; c)apprendistato di alta formazione e ricerca. (art. 41 del Decreto Legislativo n. 81 del 15-giugno-2015-Disciplina organica dei contratti di lavoro).

Non essendo materia facile da maneggiare con Decreto interministeriale del 12-ottobre -2015 si è pensato di definire gli standard formativi dell'apprendistato e i criteri generali per la realizzazione dei suoi percorsi. L'organizzazione didattica dei percorsi di formazione in apprendistato si articola in periodi di formazione interna ed esterna. I percorsi, chiaramente, devono essere concordati tra istituzioni scolastiche e datori di lavori. Il contenuto e la durata della formazione dei percorsi di apprendistato vengono stabiliti nel Piano Formativo Individuale(non è poi tanto difficile passare dal Piano al Progetto Formativo Individuale...).

La formazione interna è quella che viene sviluppata nel posto di lavoro, la formazione esterna è quella che si svolge nelle istituzioni scolastiche. La formazione esterna non puo' essere superiore al 70%dell'orario obbligatorio previsto al secondo anno degli indirizzi di riferimento e al 65% dell'orario previsto per gli anni del triennio.
Ammesso che tutto ciò sia valido, mi pare evidente ancora più che per l'alternanza come non sia per nulla facile dare seguito a questa novità, a meno che non ci si riferisca ai CPIA, istituzioni dell'istruzione per adulti, come partner, in cui poterla realizzare per le esperienze maturate sul campo. Con l'apprendistato ci sono obblighi per l'azienda, come luogo di lavoro e come centro formativo, ma è in molte regioni una sfida complicata reperirne qualcuna idonea sia per le medie dimensioni aziendali, sia per le tradizioni industriali e anche per la mancanza di personale adeguato a svolgere le funzioni in modo proficuo di tutor aziendale.

La complessità dell'operazione risiede tutta nel fatto che il lavoratore è uno studente o viceversa è uno studente che lavora e ha obblighi in tutte e due le realtà e nel fatto che solo un'istituzione scolastica che lavora e sa lavorare per unità di apprendimento puo' ospitare nei corsi diurni/serali tale specie di studente/lavoratore. Non meno complessa è tutta l'attività che conduce gli apprendisti a raggiungere i risultati di apprendimento che consentono di procedere nel curriculum e di accedere agli esami. Hanno diritto alla valutazione solo gli alunni/apprendisti che abbiano assicurato la frequenza ai 3/4 delle attività di formazione interna ed esterna ed abbiano ottenuto i risultati stabiliti nel Piano Formativo Individuale. Gli esami conclusivi dei percorsi di apprendistato si svolgono secondo le modalità dei percorsi ordinamentali.
Continua ...

Raimondo Giunta








Postato il Venerdì, 08 dicembre 2017 ore 07:30:00 CET di Nuccio Palumbo
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