In questo
periodo la scuola fa discutere per il maggior numero di voti alti alla
maturità tra gli studenti meridionali e per i trasferimenti dei docenti
dal Sud al Nord
IN TEMPI di vacanze scolastiche, la scuola resta, comunque, un
argomento di discussione. Nelle famiglie e nella vita quotidiana.
D’altronde tutti hanno figli, nipoti, parenti che studiano. Frequentano
scuole di vario ordine e livello. E, parallelamente, molti sono gli
insegnanti. Così non sorprendono le polemiche che “accendono” questa
pausa estiva. Fra un anno scolastico e l’altro. Riguardano, in primo
luogo, i voti conseguiti alla maturità dagli studenti. In secondo
luogo, i trasferimenti dei docenti, nella scuola primaria e nella
scuola secondaria. In entrambi i casi, il “terreno” (letteralmente) del
contendere coinvolge la storica differenza, meglio, frattura fra Nord e
Sud.
Nel caso dei voti attribuiti negli esami di maturità, infatti, è emerso
un evidente squilibrio di punteggi favorevoli, a tutto vantaggio del
Mezzogiorno. I dati diffusi dal ministero dell’Istruzione, infatti,
hanno sottolineato una vera crescita di 100 e lode, soprattutto a Sud.
In Puglia, Campania, Sicilia. Tutte al di sopra della media nazionale.
Mentre le principali regioni del Nord e del Centro – Lombardia, Veneto,
Toscana – risultano indietro nella graduatoria nazionale. Si tratta di
dati che contrastano con le indagini di Ocse Pisa e con i test Invalsi,
a cui sono sottoposti gli studenti per verificarne il livello di
apprendimento. In questo caso, infatti, si ripropone il divario fra
Nord e Sud. Ma in senso inverso. In quanto le regioni del Sud ottengono
risultati peggiori rispetto a quelle del Nord.
Come si spiega questa prospettiva rovesciata? Al di là delle riserve
sui criteri adottati nei test di verifica dei livelli di apprendimento,
appaiono legittime le perplessità sui metri di valutazione adottati dai
docenti. In base al contesto. Gian Antonio Stella, sul Corriere della
Sera, alcuni giorni fa, ha sostenuto la tesi che “i professori del Sud,
per una sorta di solidarietà meridionale basata sul comune sentimento
di emarginazione e di abbandono, abbiano verso gli studenti la manica
un po’ più larga”. Questa disparità di giudizi, peraltro, condiziona
anche i canali di reclutamento, soprattutto nel pubblico impiego.
Dunque, nella stessa scuola. Dove il punteggio ottenuto nella maturità
assume importanza.
Si spiega anche così l’altra questione che scuote la scuola, in questo
periodo. Riguarda l’assegnazione degli incarichi agli insegnanti, da
parte del ministero. Un provvedimento che prevede numerosi
trasferimenti. In larga misura, dal Sud verso il Nord. Al proposito,
alcuni docenti e sindacalisti hanno parlato di “deportazione coatta”.
Tuttavia, le ragioni di questo “esodo” sono ben chiarite in un recente
Focus preparato da Tuttoscuola. Che apre rammentando: “Lo spostamento
del baricentro della scuola italiana: più studenti e più posti al Nord,
sempre meno al Sud, dove però risiede l’80% di chi vuole insegnare”.
Così, ha commentato, ancora, Stella: “Non potendo spostare scuole e
studenti, devono spostarsi i docenti”.
Queste polemiche intorno alla scuola riflettono le questioni storiche
che attraversano il Paese. Anzitutto: la tensione fra Nord e Sud. In
altri termini: la “questione meridionale”. Tuttavia, tanta attenzione
richiama, anzitutto, l’importanza della Scuola, per gli italiani. Non
solo sul piano dell’organizzazione sociale, ma, prima ancora, della
“reputazione” dei cittadini. La Scuola, infatti, è al terzo posto fra
le istituzioni più stimate, secondo il rapporto “Gli italiani e lo
Stato” realizzato, nel 2016, da Demos per la Repubblica. Riscuote,
infatti, la fiducia del 56% dei cittadini. Superata solamente da papa
Francesco e dalle forze dell’ordine. E gli insegnanti della Scuola
pubblica, a loro volta, risultano tra le figure professionali che
dispongono di maggiore prestigio sociale. Per primi, i “docenti
universitari”, superati solo dai medici. Quindi, gli insegnanti delle
scuole elementari, superiori e medie. Ottengono, tutti, un credito
superiore al 55%. In crescita significativa, negli ultimi anni. Segno
che la scuola, per quanto criticata, per gli italiani, conta molto.
Come, d’altronde, gli insegnanti. In tutte le aree del Paese. Nel Sud,
infatti, la fiducia nei loro riguardi risulta superiore alla media
nazionale. Ciò si spiega, a mio avviso, per la loro “funzione sociale”.
L’istruzione. Spesso svalutata, a parole. Mentre, nella realtà, gode di
grande reputazione. Anche per questo ai “professionisti” della cultura
e dell’istruzione è richiesta mobilità territoriale. Il problema,
semmai, è che la considerazione sociale e il prestigio professionale
non sono sostenuti adeguatamente dal punto di vista delle condizioni
normative e di reddito.
Io, comunque, per insegnare, da 26 anni mi reco a Urbino. In auto. Da
Vicenza. Con cadenza settimanale. Certo, un paio d’anni fa mi sarei
potuto avvicinare. Ma ho preferito restare. Perché, nel tempo, ho
“cresciuto” una scuola, con alcuni studiosi e ricercatori di valore. E
perché mi trovo bene. Naturalmente, me lo posso permettere. Perché la
mobilità “settimanale” non mi sarebbe possibile se insegnassi alle
scuole medie o alle superiori. Tuttavia, insegnare, fare ricerca,
scrivere sui giornali, insomma, poter fare quel che mi piace,
nonostante la fatica: è un privilegio. Che io stesso ho “coltivato”.
Perché le valutazioni scolastiche contano. Ma non sanciscono il nostro
destino. Per anni, a Padova, alla facoltà di Statistica, ho potuto
seguire i lavori di Lorenzo Bernardi. Che se n’è andato, troppo presto.
Si occupava, in particolare, dei percorsi scolastici-professionali.
Dalle sue ricerche ho appreso che non c’è una relazione stretta e
diretta fra il successo scolastico alle Scuole superiori e le
performance in ambito professionale. Ma, francamente, me n’ero convinto
prima. Anche senza condurre studi specifici. D’altronde, io e Gian
Antonio Stella abbiamo fatto il liceo insieme. Per tre anni siamo stati
vicini di banco. E agli esami di maturità siamo usciti, entrambi, con
un voto basso. Fra i peggiori.
Ci siamo rifatti più avanti. Perché gli esami, come ha scritto il
grande Eduardo, non finiscono mai. Per fortuna.
Ilvo Diamanti
la Repubblica