Entro febbraio verrà
approvata la bozza del nuovo testo unico sul pubblico impiego, nella
quale si prevede la possibilità concreta del licenziamento, in caso di
sovrannumero. Prevista, però, anche la fine di quegli aumenti
automatici in busta paga, legati all’anzianità di servizio, che in
certi comparti, come la scuola, si tradurrebbe nella cancellazione
dell’unica forma di carriera professionale. Per accedere agli aumenti,
i dipendenti pubblici dovranno passare per la valutazione annuale del
loro dirigente: sulla base di questa valutazione, verrà quindi
assegnato un aumento, erogato a non più del 20% dei dipendenti. Se a
questo si sommano le intenzioni ribadite oggi dal ministro Madia di non
voler integrare le “briciole” previste dalla Legge di Stabilità 2016
per il rinnovo contrattuale e di destinare gli unici aumenti a chi
percepisce redditi più bassi, il cerchio si chiude.
Marcello Pacifico (Anief-Cisal): il Governo ha sbagliato approccio,
perché alla luce del desolante quadro tracciato alcuni giorni fa dalla
Corte dei Conti, bisognava garantire a tutti il recupero almeno
dell’indennità di vacanza contrattuale e l’aumento stipendiale minimo:
si tratta di un incremento complessivo di circa il 20%. Solo dopo tali
dovuti “aggiustamenti”, si sarebbe potuto parlare di merito ristretto
al 20%. Non bisogna dimenticare, però, che il lavoro, con un salario
minimo garantito per soddisfare le esigenze di vita, rimane un diritto
costituzionalmente garantito e decidere di abolire gli aumenti comporta
dei rischi notevoli da un punto di vista giuridico.
Per i dipendenti pubblici italiani il futuro si prospetta sempre più
cupo: la bozza del nuovo testo unico sul pubblico impiego, da approvare
entro il prossimo mese di febbraio e rivelata stamane dal
Corriere della Sera, prevede, tra le varie nuove disposizioni, la
possibilità concreta del licenziamento, in caso di sovrannumero.
Prevista, anche, la fine di quegli scatti automatici in busta paga,
legati all’anzianità di servizio, che in certi comparti, come la
scuola, si tradurrebbe nella cancellazione dell’unica forma di carriera
professionale del personale docente e Ata.
Scorrendo la bozza di decreto, che applica la cosiddetta riforma Madia,
ogni anno tutte le amministrazioni comunicano al proprio Ministero le
"eccedenze di personale" rispetto alle "esigenze funzionali o alla
situazione finanziaria", in modo tale che i dipendenti in esubero,
d’ora in poi, potranno essere trasferiti in un altro ufficio. Il
trasferimento potrà avvenire purché l’ufficio di arrivo si trovi a 50
chilometri da quello di provenienza, attraverso la cosiddetta mobilità
obbligatoria. Altrimenti, le unità in eccedenza possono essere messe in
'disponibilità', ossia non lavorano e percepiscono l'80% dello
stipendio. Se entro due anni non trovano un'altra occupazione, anche
accettando un inquadramento più basso, si viene licenziati. La vera
novità di questa norma sono le sanzioni da comminare agli uffici che
non comunicano le eccedenze e l'avvio del procedimento disciplinare nei
confronti del dirigente; tali procedure, ad oggi, non erano previste.
Sugli scatti di anzianità, invece, la bozza del nuovo testo unico
prevede la loro cancellazione definitiva. Per accedere agli aumenti, i
dipendenti pubblici dovranno passare per la valutazione annuale del
loro dirigente responsabile. Sulla base di questa valutazione, verrà
quindi assegnato un aumento, variabile a seconda delle risorse
disponibili e comunque erogato a non più del 20% dei dipendenti per
ogni amministrazione.
Se a queste intenzioni del Governo si sommano quelle prospettate oggi a
Roma dal ministro Madia ai sindacati, con l’impegno finanziario per il
rinnovo contrattuale che si ferma alle “briciole” della Legge di
Stabilità 2016 e gli aumenti stipendiali indirizzati solo a chi
percepisce redditi più bassi, si può cogliere la vera essenza di quello
che i nostri governanti stanno preparando per i dipendenti pubblici:
una precarizzazione estrema del posto di lavoro, stipendi ridotti ai
minimi termini e nemmeno più agganciati al costo della vita, aumenti da
conferire solo ad una minima parte del personale, che non sempre è
quello più meritevole, ma viene premiata solo perché figura tra gli
‘adepti’.
“Peccato – commenta Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e
segretario confederale Cisal - che il lavoro, con un salario minimo
garantito per soddisfare le esigenze di vita, sia un diritto
costituzionalmente garantito. Forse al Governo non hanno compreso che
insistere su questa strada, considerando il dipendente pubblico
nell’80% dei casi un lavoratore precario e di serie B, che non merita
più aumenti, comporta dei rischi notevoli da un punto di vista
giuridico. Secondo il nostro parere, si doveva partire con un altro
approccio: alla luce del desolante quadro tracciato alcuni giorni fa
dalla Corte dei Conti, con la scuola vera Cenerentola del comparto
pubblico, tanto che in in sei anni la spesa per gli stipendi è
sprofondata del 16%, si è cancellato un istituto su tre e sono stati
cancellati quasi 200mila posti di lavoro, bisognava garantire a tutti
il recupero almeno dell’indennità di vacanza contrattualee l’aumento
stipendiale minimo. Si tratta di un incremento complessivo di circa il
20%; solo dopo, si sarebbe potuto parlare di merito”.
Secondo il sindacalista Anief-Cisal, però, è probabile che “i nostri
governanti non si rendono conto di cosa significhi vivere, anzi
sopravvivere, con mille euro al mese, quale è lo stipendio di un
collaboratore scolastico. E che dire dell’umiliazione che deve subire
un insegnante, dopo una vita di studi e di specializzazioni, nel
vedersi corrisposta una busta paga bloccata pari a 1.280 euro al mese,
oppureun dirigente scolastico che percepisce meno di un insegnante
francese? Noi, come sindacato, lo avevamo detto da tempo: il rischio
concreto, applicando la riforma Brunetta del 2009, è che si sarebbero
sacrificati pure gli scatti di anzianità. Non si può illudere il
personale, confondendo gli aumenti previsti per legge, su stipendi
fermi da oltre 6 anni, con il merito”.
“Il Miur,quando lo abbiamo detto, annunciando che la stragrande
maggioranza del personale scolastico sarebbe stato collocato allo
stipendio minimo senza più possibilità di incrementi, si è indignato
smentendo questa ipotesi. Ora che è scritta nero su bianco, nella
riforma del nuovo testo unico sul pubblico impiego, cosa diranno a
Viale Trastevere? Che la scuola è esente da questo processo? Speriamo,
saremmo i primi a dire che a un milione di lavoratori è stato
risparmiato di trasformarsi in dipendenti d’azienda. Altrimenti,
qualora l’addio agli scatti di anzianità valesse pure per la Scuola,
per noi – conclude Pacifico – sarà inevitabile ricorrere al giudice del
lavoro e delle leggi”.
Anief, assieme a Cisal e Radamante, già oggi, si batte in tribunale per
l’adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale al vero costo
della vita, quello certificato dal ministero: ciò comporterà aumenti
degli stipendi, per almeno il 10%. Per richiedere, pertanto,
l'adeguamento dei valori dell'indennità di vacanza contrattuale alla
metà dell'inflazione, come registrata a partire dal settembre 2015
rispetto al blocco vigente dal 2008, basta cliccare sul seguente link.
Anief.org