Quali saperi per un
curriculum per competenze.
I curricoli richiedono un elevato grado di coerenza e di
unitarietà di tutti gli elementi che li costituiscono:
contenuti, attività, metodi, valutazione e le competenze come risultato
atteso di un curricolo diventano orientamento, guida alla scelta dei
saperi e anche dei processi conoscitivi, che permettono di
pensare la realtà e se stessi in rapporto alla realtà. Le competenze
comportano delle opzioni curriculari; non possono lasciare tutto come
prima. Bisogna chiedersi, allora, se ci saranno saperi che verranno
promossi; se ci saranno saperi che verranno emarginati o addirittura
esclusi nei curricoli per competenze. (E. Damiano).
E' da tenere sempre presente che le conoscenze, sulle quali si
fondano le competenze, non sono prese in considerazione solo dal punto
di vista gnoseologico, ma in funzione della loro utilità a realizzare
azioni che devono raggiungere degli scopi e che devono assolvere a dei
compiti. Non solo. Nell'approccio per competenze i risultati di
apprendimento non si misurano in funzione dell'adeguamento ai contenuti
disciplinari, ma in funzione della loro utilizzazione in molteplici
situazioni, per nuove classi di problemi, interni ed esterni ai saperi
disciplinari.
In un curricolo pensato con un evidente orientamento operativo puo'
essere data preferenza, rispetto ad altre, solo a:
CONOSCENZE
EFFICACI, capaci di rendere il soggetto abilitato a incidere nella
realtà secondo criteri di utilità;
CONOSCENZE PROCEDURALI, costituenti
il repertorio del "sapere come", collaudato e aggiornato per eseguire
interventi mirati;
CONOSCENZE METACOGNITIVE, relative alla capacità di
riflettere e di autoregolare le proprie operazioni di pensiero in
ordine alle circostanze e agli scopi che il soggetto si
prefigge (E. Damiano).
In questo caso, però, c'è da chiedersi se le
conoscenze che non rispondono a questi requisiti debbano per forza
essere ridimensionate e se questa sia una soluzione inevitabile
dell'approccio per competenze.
Un sapere per essere assunto in un curriculum deve essere prerequisito
di altri insegnamenti, elemento di cultura generale(fonte d'ancoraggio
identitario e culturale), base di riflessione sul rapporto al
sapere, materiale per l'esercizio del saper fare intellettuale,
elemento
per fare funzionare situazioni di apprendimento, risorse per competenze
identificate. (Ph. Perrenoud). Questo non vuol dire che tutto debba
rientrare nella logica della competenza e nemmeno che debbano essere
sviliti i contenuti valoriali e di cultura generale. Le Boterf afferma
che in ambito scolastico è giusto dare spazio alla letteratura, alla
filosofia, alle scienze umane e alle lingue perchè risorse di cui si
alimentano le competenze e Perrenoud stesso sostiene che non ha senso
tradurre tutto in termini di competenza, soprattutto quel che riguarda
la socializzazione degli alunni e l'educazione alla cittadinanza.
Uno studioso come B. Rey, che di sè dice di non essere un militante
delle
competenze, ma solo un osservatore critico, afferma: "Trovo vana e
vanitosa la pretesa di insegnare agli allievi a osservare, a comparare,
a
pensare, a dedurre, ad adottare strategie riflessive etc, etc, Che essi
apprendano, piuttosto, un po' di matematica, un po' di letteratura, un
po' di storia, un po' di biologia, un po'di lingue straniere". A scuola
dovrebbe esserci spazio per differenti tipi di sapere, purchè si sappia
per quali motivi li si insegna e questi motivi non possono essere solo
quelli di natura pragmatica. L'approccio per competenze non puo'
pretendere di escludere alcuni saperi, perchè se così dovesse essere,
avremmo un impoverimento della formazione intellettuale e un
asservimento della formazione alle minute esigenze della società.
L'IMPOSSIBILE PROFESSIONALIZZAZIONE DEI CURRICOLI SCOLASTICI
L'approccio per competenze evoca una postura professionalizzante nei
confronti dei saperi di un curriculum; fatto che è comprensibile e
naturale nei confronti dei saperi cruciali delle scuole ad indirizzo
tecnico-professionale, ma che tuttavia deve scontrarsi con irriducibili
difficoltà. Secondo B. Rey l'approccio per competenze deve
misurarsi con un certo grado di incompatibilità tra struttura
curriculare e professionalizzazione. Inserite nella forma scuola le
competenze assumono una specificità che le distingue dagli aspetti
abituali presentati nelle pratiche sociali.
La costruzione di un curricolo per competenze non elimina la
separazione fra il tempo dell'apprendimento e quello della pratica
effettiva, speranza forse invano inseguita dai cultori più
entusiasti di questo approccio. Nelle stesse attività pratiche, cioè,
si
resta dentro la logica della formazione scolastica. Per organizzare una
progressione curriculare le pratiche da apprendere devono essere
"decostruite"nei loro elementi costitutivi ed estrapolati dalla loro
concretezza. Le pratiche in questo processo di analisi e di
esplorazione
vengono OGGETTIVATE e diventano TERZE rispetto al docente e
rispetto all'alunno. L'inserimento in un curricolo di una pratica
equivale alla sua collocazione in un "discorso". Alla parola
organicamente compresa nell'azione si aggiunge la parola che la
trascende, la descrive e la controlla. Una parola "scritturale" secondo
Rey. L'azione nella forma-scuola è oggetto di questo tipo di parola. La
parola(orale e scritta) che descrive, esplicita e giustifica le
pratiche
porta due conseguenze:a)conoscenze e saper fare si rendono autonomi
rispetto agli atti di esecuzione e rispetto agli esecutori. Al saper
fare carismatico e ineffabile si sostituisce la tecnica
codificata, serie di azioni di cui si puo' esporre la sequenza
necessaria in vista del fine perseguito; b)l'allontanamento dalle
circostanze particolari permette alle conoscenze di essere trasmesse in
modo didattico, ovvero in modo esplicito e secondo un ordine
sistematico (B. Rey).
L'oggettivazione, l'esplicitazione e la messa in discorso producono una
depersonalizzazione della pratica, che in questo modo diventa un fatto
pubblico. L'inserimento di una pratica in un curriculum è possibile
solo
con una necessaria operazione di teorizzazione, la cui validità dipende
dalla coerenza interna del discorso con cui viene formulata e dalla sua
conformità alla realtà di riferimento. Diventando pubblici i discorsi
sulle pratiche si puo' procedere alla standardizzazione delle
attività di formazione e di valutazione e si apre la via della ricerca
e del cambiamento. Con la teorizzazione si creano le condizioni per la
trasferibilità e la generalizzazione dei saperi pratici, che di per sè
sono locali, contestuali, singolari.
Non è sufficiente un curricolo di formazione per competenze per
acquisirle, perchè è indispensabile l'esercizio effettivo di una
pratica
professionale e perchè una parte interessante di un'attività
professionale competente, quella legata alla particolare fisionomia
intellettuale e psicologica di chi la esercita, sfugge all'evidenza
degli accertamenti e quindi alla logica curriculare. Le competenze si
realizzano e si manifestano con la mobilitazione di tutte
le dimensioni del soggetto e solo alcune di esse possono essere
ricondotte al processo di formazione. D'altra parte è anche vero che le
competenze non si acquisiscono solo con la pratica. L'esperienza in
quanto tale e da sola non è generatrice di competenze di grande livello
e lo sapevano gli antichi greci che distinguevano tra empeiria e
tecnè. "Non c'è esperienza senza categorizzazione e sistematizzazione
dei dati in una sintassi di concetti"(Bruner) e l'apprendimento che
unisce pratica e spiegazione concettuale è più stabile e
significativo. E' molto difficile apprendere saperi complessi e formare
competenze di alto livello solo attraverso la pratica.
La scuola non è il luogo delle situazioni reali e pertanto di
competenze si puo' parlare in modo diverso da come se ne parla nel
mondo del lavoro o nella vita quotidiana. A scuola non c'è l'onere
della
prova. E' una pretesa ingiustificata, pertanto, chiedere alla scuola
cio'
che per natura non puo' dare, di procedere per logiche che ne possono
mettere a repentaglio la funzionalità, forzare i limiti della sua
logica
costitutiva. La scuola riconduce ogni novità, ogni esperienza alle
proprie procedure, alla specificità della propria logica e della forma
che in essa assumono saperi e pratiche.
La scuola resta fondamentalmente legata alla formazione di una cultura
concettuale e strumentale non immediatamente operativa. L'operatività è
il contesto dell'esercizio di una professione che deve affrontare e
risolvere problemi, che fatti reali e situazioni reali sollevano.
Nel
mondo del lavoro un punto essenziale delle competenza è
l'adattabilità. E' singolare e appartiene in proprio ad un individuo e
si deduce a partire da ciò che fa, a partire dall'attività
riuscita. L'accento è messo non sul possesso dei saperi, del saper
fare, sulle tecnice etc., quanto sulla capacità di mobilitarli e
combinarli per rispondere a situazioni sempre nuove. A scuola, luogo di
apprendimento e non di esercizio delle attività della vita sociale, la
preoccupazione è quella di sapere come e in che cosa rendere competente
una persona. Compito che puo' essere affrontato se si stabilisce
che cosa siano le competenze da acquisire e quali siano le
evidenze, le azioni oggettivamente osservabili che fungono da
indicatori della loro esistenza. Si è dentro una particolare
procedura, per certi aspetti standardizzata, che è quella della
formazione, dove è necessario delineare in modo esplicito il
percorso che devono compiere gli alunni per dimostrare su richiesta, al
termine di un determinato segmento del curriculum, di essere in grado
di
realizzare quanto gli viene richiesto e come gli viene richiesto.
Se il curriculum di formazione non puo' essere per intero assorbito da
una logica di professionalizzazione, se l'addestramento diretto sul
posto di lavoro non è la migliore soluzione utilizzabile per formare
competenze professionali di un certo spessore, allora per avere in
questo ambito dei buoni risultati è necessario ricorrere ad altri
strumenti, che contemperino formazione ed esperienza di
lavoro:stage, alternanza scuola lavoro, situazioni di lavoro
simulato, situazioni di lavoro accompagnato, visite aziendali e viaggi
d'istruzione, partecipazione ad incontri professionali etc.
La tensione delle competenze verso una visibilità operativa dei saperi
non riesce a cancellare lo scarto tra formazione e mondo del lavoro, la
necessaria distinzione dell'una e dell'altro. Le distanze si
accorciano, ma non scompaiono. I problemi della vita reale sono sempre
nuovi e diversi rispetto a quelli affrontati a scuola, ma non tanto
lontani da impedire alla scuola di inquadrarli e di comprenderli. Per
tutto questo, basta che la scuola faccia su serio il lavoro
che sa fare.
continua. . .
prof. Raimondo Giunta