Nella mia carriera
professionale mi sono imbattuto soprattutto in due
tipologie di dirigenti. La prima categoria, forse la più diffusa nel
mondo
della scuola, è quella del preside "hitleriano", o dispotico, che
tratta
l'istituzione in modo autocratico e verticistico, scambiando
l'autonomia
scolastica per una tirannide individuale e stimando i rapporti
interpersonali in termini di supremazia e subordinazione.
Questa figura di preside non ama affatto le norme e le procedure
democratiche, scavalca gli organi collegiali ed assume ogni decisione
in
maniera arbitraria e discrezionale senza consultare quasi mai nessuno.
Costui si pone sempre in modo arrogante, protervo ed autoritario,
dimostra
(intenzionalmente, oppure istintivamente) un cipiglio severo e spietato
per
intimorire e mettere in soggezione gli altri. Abusa spesso dei propri
poteri e tende a commettere facilmente angherie e soprusi verso i
sottoposti, trattati alla stregua di sudditi privi di ogni diritto ed
ogni
libertà, con i quali si comporta in modo inclemente.
La seconda tipologia, probabilmente la più pericolosa, è quella del
dirigente affarista e demagogo, che spesso si confonde e si sovrappone,
o
coincide, con il tipo assolutista. Tale soggetto concepisce anzitutto
la
scuola come una sorta di proprietà privata, la sfrutta per scopi di
lucro e
prestigio personale, per cui la gestisce in modo da trasformarla nel
più
breve tempo possibile in un vero e proprio progettificio scolastico. In
tal
senso si adopera per reperire ogni finanziamento economico aggiuntivo
messo
a disposizione delle scuole, da cui attinge elargendo i fondi senza un
giusto criterio, applicando logiche clientelari e paternalistiche per
premiare di solito una cerchia oligarchica che è composta dallo "staff
dirigenziale".
Da un simile assetto politico-gestionale scaturisce un carrozzone
progettuale ed assistenzialistico carico di una pletora abnorme di
iniziative didattiche a dir poco eccedenti, che non hanno alcuna
ricaduta o
incidenza positiva sulla formazione educativa e culturale degli
studenti.
Una simile sovrabbondanza di sovvenzioni e di contributi finanziari, in
realtà serve a beneficiare una minoranza assai ristretta che supporta
il
dirigente.
Ma esiste un'altra tipologia, quella del preside umano, con pregi e
difetti. È indubbiamente un esemplare assai raro, ma è l'unico che
ispiri
la mia simpatia la mia stima ed approvazione più sincera.
Infine, qualcuno mi risponda sul potere di nomina diretta dei docenti a
totale discrezione ed arbitrio dei dirigenti scolastici. Come previsto
nel
disegno di legge varato dal governo in materia di scuola. Non mi sembra
sia
il miglior antidoto contro le pratiche clientelari, già diffuse nel
mondo
della scuola. È ovvio che un simile fenomeno si potrà acuire.
In sostanza, la legge 107/2015 ha sterzato bruscamente in una direzione
aziendalista e neoliberista, stravolgendo l'architettura istituzionale
della "autonomia scolastica". Una grottesca, inquietante caricatura di
sceriffo (o una sottospecie burocratica di "manager privato") detiene
il
potere di assegnare, tramite meccanismi di nomina diretta, la sede e la
cattedra di insegnamento in base a criteri arbitrari e discrezionali,
oltre
a decidere addirittura cosa e come insegnare. In altri termini, la
tanto
bistrattata "libertà didattica" è destinata a farsi benedire in maniera
definitiva.
Occorre comprendere l'importanza vitale della scuola pubblica per il
tessuto di una società "democratica". La più grave insidia
dell'autoritarismo fascista ed oscurantista si annida dietro l'eclissi
dell'istruzione statale e della formazione culturale delle giovani
generazioni.
In Italia, a decorrere dal secondo dopoguerra, quando venne istituita
per
legge l'istruzione elementare gratuita ed obbligatoria per tutti (fatto
che
avvenne in coincidenza con il "boom" economico, guarda caso), le classi
inferiori hanno potuto frequentare la scuola e studiare.
Fino ad allora, non soltanto nel nostro, Meridione ma in tutto il
Paese,
l'istruzione e la cultura erano state appannaggio esclusivo delle
classi
sociali alto-borghesi ed aristocratiche, a cui era concesso il
privilegio
degli studi.
È noto che in passato l'analfabetismo era assai diffuso tra le classi
contadine ed operaie. Ma ciò era vero tanto al Sud quanto al Nord. Ogni
tanto gioverebbe ricordare che il dominio politico della monarchia
sabauda
e delle élites "liberali" piemontesi sulle regioni meridionali, si
reggeva
soprattutto sul mantenimento delle masse popolari in uno stato di
ignoranza
ed arretratezza culturale. È innegabile che il dominio imposto sulle
plebi
rurali del Meridione, da parte della dinastia sabauda e del ceto
politico-economico piemontese (di cui Camillo Benso conte di Cavour fu
tra
i massimi esponenti) si reggeva anche e soprattutto sullo stato di
ignoranza e di analfabetismo in cui versavano le classi subalterne del
Sud,
nonché il proletariato industriale delle regioni settentrionali.
Lucio Garofalo